CAPITOLO 73 - IL BRACCIALETTO

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Troppo silenzio. Intorno a me c'era troppo silenzio. Era innaturale. Non un respiro, il fruscio delle lenzuola, il clacson di un'auto. Niente. Aprii lentamente gli occhi e constatai che i miei sensi non si sbagliavano, pur essendo offuscati dal sonno. Il silenzio nella stanza era quasi assordante.

Harry era seduto sulla sedia di fronte alla piccola scrivania della nostra stanza, con indosso jeans e camicia. Il suo sguardo era rivolto verso il basso, le sue mani giocherellavano con uno dei suoi anelli.

<<Harry>>, lo chiamai tirandomi a sedere sul letto e coprendomi istintivamente il seno nudo con il lenzuolo. Lui non si voltò a guardarmi, ne mi rispose. Continuava a far girare il cerchietto in acciaio con fare distratto.

<<Harry, parlami. Che hai? Mi stai spaventando>>. La mia voce lasciava sicuramente trapelare la mia apprensione.

<<Fai bene ad avere paura>>.

Cosa?

A quel punto capii. Sulla scrivania c'era la ventiquattrore ed era aperta. I fogli sparsi alla rinfusa, così come li avevo gettati dentro il giorno prima. Il sangue mi si gelò nelle vene. Iniziai  a tremare per l'agitazione ma mi scaraventai giù dal letto per andargli incontro.

<<Volevo dirtelo, te lo giuro!>>, gridai terrorizzata e tentando di afferrare le sue mani.

<<Non mi toccare>>, mi disse ritraendosi e allontanandosi da me. Una pugnalata al petto mi avrebbe fatto meno male.

<<Cosa? Perché? Ti prego, Harry, non fare così>>. Intanto gli occhi iniziavano a pizzicarmi e la voce mi uscì incrinata.

<<Perché? E me lo domandi? Io mi fidavo di te, Christine!>>. Era nero, e purtroppo non si trattava della tintarella del sole africano.

<<Puoi ancora fidarti di me, ti prego Harry, non fare così... che posso fare?>>. Intanto il pizzichio agli occhi mutò in un vero e proprio pianto dirotto, mentre tentavo di avvicinarmi a Harry. Lui, vedendomi piangere, sembrò addolcirsi leggermente, ma non bastò.

<<Se proprio vuoi fare una cosa per me, smettila di piangere. Non lo sopporto. Io esco. Con me hai chiuso>>. E così dicendo mi lasciò sola, tra un mare di lacrime e altrettanti sensi di colpa.

"Accidenti a me e alla mia dannata curiosità".

Mi maledissi per almeno mezzora, tirando pugni ai cuscini e urlando, finché fui stremata. Il dolore nel petto era insopportabile. Mi feci una doccia bollente per tentare di scaldarmi, ma fu inutile, il freddo nelle ossa stentava a lasciarmi e non riuscivo a smettere di tremare. Immagini di noi mi tornavano alla mente come pezzi di film: il primo bacio, Harry disteso sul prato, la prima volta in cui confessò di amarmi, il materasso sotto le stelle, il sesso in quella stessa doccia solo il giorno prima e le sue ultime parole... con me hai chiuso.

Dio, doveva essere uno dei miei peggiori incubi. Ma purtroppo non lo era. Era la realtà e io avevo rovinato tutto.

Quando l'acqua calda iniziò a scarseggiare e la pelle delle dita assunse l'aspetto di una tartaruga mi decisi ad uscire da quella doccia. Aprii la porta del bagno pregando Dio di farmi trovare Harry di nuovo a quella scrivania, ma non fu così. Quella piccolissima stanza senza di lui sembrava enorme e allo stesso tempo soffocante. Mi vestii il più in fretta possibile, mi asciugai i capelli alla meno peggio e uscii, afferrando la chiave della stanza. La lasciai in reception e mi catapultai fuori da quell'albergo.

L'aria fresca mi restituii immediatamente un po' di lucidità. Mi diressi verso il parco di fronte all'hotel, per sedermi su una panca e riflettere sul da farsi. Accesi una sigaretta e aspettai che la nicotina facesse il suo effetto, quello di calmarmi. Era una cosa stupida da fare, lo sapevo bene, ma al momento non era neanche paragonabile all'idiozia di sbirciare tra i documenti personali di un'altra persona.

Poachers || H.S. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora