CAPITOLO 38 - UNA STRANA TELEFONATA

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<<Dove andiamo?>>, gli domandai appena fummo pronti per uscire.

<<Aspetta e lo vedrai, ti piacerà! Ah, dimenticavo. Torno subito>>. Salì la scalinata di corsa, due gradini alla volta.

Ne ridiscese due minuti dopo con... Bacon tra le braccia?

<<Lui viene con noi?>>.

<<Ho pensato che gli piacerà sicuramente il posto in cui andremo. Spero solo che Niall non si arrabbi troppo non trovandolo al suo risveglio. Gli ho lasciato un biglietto>>.

<<Hey, è pur sempre il mio cane!>>. Intanto Bacon, forse euforico per l'improvvisa scampagnata, aveva ricominciato con la sua odiosa abitudine di leccare il viso delle persone che lo tenevano in braccio.

<<Bacon, smettila!>>, lo rimproverai. Harry fissò i suoi ardenti occhi nei miei e un lampo divertito li attraversò chiaramente.

<<Non preoccuparti, non mi da fastidio anche se... preferirei fosse qualcun altro a leccarmi la faccia>>. Era evidente che si riferiva alla sottoscritta.

<<Sei disgustoso. Ti piacerebbe che io ti leccassi la faccia?>>. Come poteva piacergli una cosa del genere?

<<Beh, non solo la faccia... a dire il vero... >>, e mi fece l'occhiolino.

È inutile dire che avvampai per la ventesima volta da quella mattina. Era imbarazzante. Dovevo piantarla di farlo ogni cinque minuti, ma di certo Harry non mi aiutava con le sue continue battute. D'altronde per lui era molto più che divertente vedermi arrossire in preda ai miei attacchi di timidezza e dubitai fortemente che vi avrebbe rinunciato.

Prima di salire sulla Range Rover dove Harry stava sistemando Bacon mi ricordai di una cosa. Presi le chiavi della mia macchina dalla borsa e andai di corsa ad aprirla.

<<E quello cos'è?>>, mi chiese incuriosito quando mi accomodai sul suo sedile.

<<Un CD>>, gli risposi sghignazzando per la mia risposta ovvia.

<<Quello lo vedo, intendevo dire di chi è?>>.

<<È mio, ovviamente!>>. La sua espressione fintamente arrabbiata era esilarante.

<<Credi di essere così spiritosa?>>.

<<No, affatto. Rispondo solo alle tue domande>>. Intanto lui aveva avviato il motore e io accesi lo stereo e infilai il CD nel lettore. Le note dolci di Hey Angel inondarono l'abitacolo e un'improvvisa gioia mi pervase.

Adesso sì che era un buon giorno.

<<Fossi in te non aggiungerei alla già lunghissima lista altri motivi per farti sculacciare, ragazzina!>>.

Cosa?

Il mio stomaco a quella frase, e al modo in cui l'aveva detta, fece un triplo salto carpiato. Distolsi lo sguardo da quelle calamite che si ritrovava al posto degli occhi e lo ignorai iniziando a canticchiare.

Il sorriso dalle mie labbra però non voleva andarsene.

<<E comunque, posso sapere cosa stiamo ascoltando, visto che hai deliberatamente ignorato la mia domanda?>>. Poi senza darmi il tempo di rispondere proseguì. <<No, non dirmelo>>.

<<Non te lo dico, se non vuoi>>.

<<Non saranno mica quei cinque ragazzini scemi che fingono di saper cantare?>>.

Ero indignata. Anzi no, molto peggio... ero furiosa! Mi schiarii bene la gola.

<<Punto primo: non sono più cinque ma quattro, purtroppo. Punto secondo: non sono affatto scemi e non fingono di cantare. Loro cantano. E il fatto che siano in vetta alle classifiche di tutto il mondo da circa cinque anni ne è la prova. Punto terzo... >>.

<<Ok, ok, ho capito. Non devo toccarti gli One Direction. Sei suscettibile, eh?!>>.

<<Come ho già detto in passato, ho ucciso per molto meno>>.

Harry per tutta risposta scoppiò a ridere per niente intimorito dalla mia velata minaccia e purtroppo la sua risata fu altamente contagiosa, perché non facemmo altro per i venti minuti successivi, battibeccando sui nostri divergenti gusti musicali.

Parcheggiammo davanti a Starbucks, lasciando Bacon in macchina ad aspettarci. Chiacchieravamo allegri, mentre eravamo in fila alla cassa per ordinare, ma poi il telefono di Harry probabilmente vibrò, perché non emise alcun suono, ma lui lo tirò fuori dalla tasca dei jeans. Guardai lo schermo solo per un attimo prima che rispondesse ma tanto bastò per notare che aveva una chiamata in corso e che proveniva da un numero lunghissimo.

<<Ordina anche per me. Quello che prendi tu andrà bene. Ah, e fatti incartare tutto, lo portiamo via>>, mi disse prima di uscire e porgendomi una banconota da cinquanta sterline.

Io misi via la sua banconota e ordinai due Frappuccini alla cannella e due Breakfast Sandwiches con uova e pancetta, per rimediare al danno di poco prima. Feci incartare tutto come mi aveva chiesto, e mi apprestai a uscire da Starbucks.

Appena Harry vide che mi stavo avvicinando con le nostre colazioni nei sacchetti congedò il suo interlocutore e chiuse la telefonata. Mi aprì la portiera e risalì in macchina. L'atmosfera allegra e spensierata di pochi minuti prima era sparita.

Harry tamburellava le dita sul volante e si era calato un paio di Ray-Ban neri sugl'occhi. Quando non era intento a fissare la strada si voltava di lato, verso il suo finestrino. Accese l'autoradio fingendo di ascoltare la musica, ma si capiva benissimo che era distratto. Quando non ne potei più di quel silenzio mi decisi a parlare.

<<Ok, che hai?>>, sputai.

<<Io? Niente>>, tentò di vagheggiare ma gli riuscì miseramente.

<<Mi prendi in giro? Fino a cinque minuti fa ridevi e scherzavi e ora non riesci neanche a guardarmi in faccia e vuoi farmi credere che vada tutto bene? È per qualcosa che ho fatto?>>.

<<Tu? Ma scherzi? Tu non c'entri niente, credimi>>.

<<Allora che hai?>>.

Lui sembrò riflettere sulle mie parole, anche se la sua mente sembrava lontana chilometri e chilometri da quella macchina. Tuttavia non mi rispose. Tentai di parlare il più dolcemente possibile.

<<Senti, non so che genere di telefonata tu abbia ricevuto e sinceramente neanche mi interessa saperlo (questa non era propriamente la verità, ma a lui non lo avrei mai detto), ma ora siamo qui, ok? Se posso fare qualcosa per aiutarti dimmelo e sarò felice di farlo. Magari finisci la tua colazione e poi ce ne andiamo, va bene?>>.

Lui si riscosse.

<<Hai ragione, ti chiedo scusa. Ho avuto un notizia diciamo poco piacevole dal lavoro, ma niente di irrisolvibile e definitivo, per ora. Per cui godiamoci questi due giorni>>.

A quelle parole e alla malinconia dei suoi occhi un peso assurdo mi piombò sullo stomaco, dandomi la nausea. Ma che significava niente di irrisolvibile e definitivo, per ora?

Harry probabilmente si accorse del mio stato d'animo e si affretto ad alzare il volume dell'autoradio, sorridendomi e prendendomi la mano, intrecciando le nostre dita sulla leva del cambio.

Ma neanche quelle tanto adorate note e il tocco della sua mano riuscirono a placare la bruttissima sensazione che si era acciambellata nella mia mente come un viscido serpente.

Poachers || H.S. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora