14- Come Back

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Ormai erano passati due mesi da quel biglietto.
I giorni andarono avanti come al solito. Solita monotonia. Victoria non era ancora tornata. Da quanto avevo capito doveva stare più tempo in Florida per colpa dei suoi genitori.

Non ero del tutto sola durante la sua assenza. Io e Ryan eravamo diventati piuttosto amici. Possiamo dire anche migliori amici, lo consideravo quasi come un fratello. Non litigavamo mai e mi aveva fatto conoscere pure Alan, tutto sommato non era male come ragazzo.

Di Andrew nessuna traccia. Per quei due mesi ricevetti solo suoi biglietti. In ognuno si leggeva che dovevo stare attenta, di non fidarmi di nessuno, ma non capivo. Non capivo da chi dovevo guardarmi le spalle. Inizialmente pensavo ad Alan, ma poi non più. Eravamo diventati amici, o insomma, non c'erano prese in giro da parte sua su di me o sul mio stile.

Pensai anche a Ryan, ma era impossibile, era il mio unico amico. Era l'unica persona con la quale parlavo e che mi ascoltava veramente. Di certo potevo fidarmi di lui.

Ogni giorno speravo di incontrare Andrew. A volte iniziavo ad urlare il suo nome nel mezzo della notte, altre volte mi svegliavo piangendo stringendo le coperte e il cuscino pensando fosse lui. Ma dovetti rassegnarmi. Non lo vedevo da due mesi o qualcosa di più.

Una sera, però, il vuoto che avevo dentro era troppo grande, era insopportabile. Pensai ai vari modi che avevo utilizzato per chiamare Andrew in passato, e me ne venne in mente uno che non facevo da molto.

Corsi in bagno con la mia lametta ed iniziai ad incidere il mio polso sinistro. Speravo che dopo il primo o il secondo taglio apparisse, ma mi sbagliavo. Le lacrime rigavano il mio volto, da cinque tagli fluivano delle gocce di sangue. Involontariamente con la lametta scrissi qualcosa sul mio braccio. Scrissi il suo nome.

Sul mio braccio si poteva leggere in rosso Andrew. Rimasi a guardare la mia opera e pensai a cosa avrei potuto dirgli se lui fosse stato lì con me.

Sei orgoglioso di quello che mi hai fatto? Il tuo nome è inciso sul mio braccio, è un segno indelebile sulla mia pelle.

Non sapevo neanche che reazione avrebbe potuto avere. Se si sarebbe messo a ridere, o se mi avrebbe disprezzata per il mio comportamento da bambina, in un certo senso.

Dopo quell'episodio feci una promessa a me stessa. Non avrei più fatto nulla del genere per un angelo nero, per Andrew. Avevo ragione, io mi ero innamorata, mentre a lui non importava nulla. Amavo illudermi, quindi una parte di me pensava che in realtà, nonostante tutto, anche lui provasse qualcosa per me. Quanto sono stata stupida

Ma tutto questo fino al 3 dicembre.

Erano le 11:25 del 3 dicembre e mi trovavo a scuola. Per me era la classica giornata no e lo stesso era per Ryan, quindi dopo la terza ora decidemmo di tornare a casa.

Una volta usciti da scuola andammo in un parco. Il nostro parco. La nostra panchina era la più nascosta di tutte, sotto un salice piangente. Ci sedemmo e iniziammo a fumare qualche sigaretta.

"Ti giuro che mi stava scoppiando la testa" Si massaggiò le tempie lui.
"A chi lo dici! Per fortuna che mi hai salvata" Gli sorrisi.
"Farei di tutto per te" Mi rispose lui dandomi un piccolo bacio sulla guancia. Lo faceva spesso, ma sapevo bene che, oltre l'amicizia, tra noi due, non poteva esserci altro.

"Ti va se mangiamo fuori oggi?" Mi chiese lui.
"Va bene. Solito cinese?"
"Perfetto" Con la punta dell'indice toccò il mio naso e ci alzammo.

Il pranzo fu come sempre, solite risate e mancava poco che ci cacciassero dal locale per la troppa confusione che facevamo. Io e Ryan, quando eravamo insieme, facevamo la confusine più totale, soprattutto quando ci immaginavamo di andare al concerto delle nostre band preferite.

Tornammo a casa mia che erano le cinque e mezza di sera. Ryan mi accompagnò fino alla porta  e allora lo invitai ad entrare. Accettò volentieri e ci dirigemmo in camera mia. Accesi lo stereo e feci partire della musica in ripetizione casuale, che, a quanto pare era di suo gradimento.

Eravamo sdraiati sul mio letto e lui mi accarezzava i capelli. Stavo bene, era in quei momenti che il dolore per il vuoto provocatomi da Andrew si attenuava leggermente. Ad interrompere quel momento tranquillo fu l'inizio di King for a Day dei Pierce the Veil che ci fece saltare dal letto ed iniziare a ballare come due scatenati. Ballammo malissimo per tutta la durata della canzone e, alla fine, ci sedemmo sfiniti sul mio letto. 

Con il fiatone poggiai la mia testa sulla sua spalla.

"Quanto amo questa canzone" Gli dissi con il fiato corto.
"Già, concordo" Mi accarezzò i capelli lui.
"Ora devo andare" Disse con tono triste, ma senza spostarsi da quella posizione. Alzai la testa per guardarlo negli occhi, come per chiedergli di restare ancora per un po'. Molto spesso noi due parlavamo con lo sguardo. Era una persona davvero speciale per me, ed era molto raro capirmi solo con uno sguardo, ma lui ci riusciva.
"Elice, mi dispiace davvero tanto, ma non posso" Disse giocando con le mie mani.

Annuii e lo accompagnai al piano inferiore.

"Ci vediamo domani allora" Dissi io aprendo la porta.
"A domani piccolina" Si avvicinò a me abbracciandomi.
"Piccolina un corno" Dissi ridendo e dandogli una sberla sul petto.
"Si si, piccolina" Fece un sorriso dolce.

Pesavo che la conversazione finisse lì, ma lo sentii continuare.
"Vorrei solo fare una cosa" Disse quasi sottovoce. Portò la sua mano destra sulla mia guancia, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, per poi avvicinare lentamente il suo viso al mio, fino ad appoggiare le sue labbra sulle mie. Rimasi sconvolta da quel bacio, era decisamente inaspettato.

"Beh, ci vediamo domani" A quelle parole riaprii gli occhi e chiusi la porta.

Voltandomi tolsi la mia giacca in pelle per gettarla sul divano, ma non fece il solito rumore. Qualcuno la aveva afferrata.

Sentii qualcuno fare un applauso dal tono sarcastico, e una frase.

"Ma che bello spettacolo" Una voce roca. Una voce autoritaria.

Mi voltai. Era Andrew.


It isn't just a game  - Andy Biersack -Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora