Altri pettegolezzi

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Nel pomeriggio andai a prendere Camilla in bicicletta e mi fermai fuori dall'asilo a chiacchierare con Marina.
«Allora, come procedono i preparativi per le nozze?»
Sapeva che Michele era stato il mio ex e doveva immaginare che il fatto di ospitare i suoi parenti mi mettesse in difficoltà.
«Procedono, fin troppo lentamente. Non vedo l'ora di tornare alla cara e vecchia routine.»
«Sei sempre decisa a prendere parte alla cerimonia e a tutto il resto?» mi domandò lei scrutandomi attentamente.
«Sì, sicuro. Non vedo perché non dovrei andarci.»
Lei non sembrava molto convinta della mia risposta, per fortuna in quel momento aprirono il cancello dell'asilo e andammo a prendere le rispettive figlie.
Beatrice e Camilla erano accaldate e affamate, così proposi di portarle a mangiare un gelato.
«Devo andare a prendere Marco a scuola, oggi c'è lo sciopero dei mezzi.»
Subito si levò un coro di proteste da parte delle due piccole pesti.
«Non ti preoccupare, le posso accompagnare io a prendere il gelato, se sei d'accordo, poi ti riporto a casa Beatrice quando abbiamo finito.»
«Perché no? Se lei si comporta bene.» Fece le solite raccomandazioni alla figlia, ci salutò e andò via, dopo che ebbi insistito perché non mi lasciasse i soldi per i gelati.
Dato che la bicicletta mi sarebbe stata d'intralcio con le due bambine e che né casa di Marina né la gelateria distavano molto dall'asilo, decisi di lasciarla lì e tornare a recuperarla più tardi.

Arrivate dal gelataio, le piccole ci misero un'eternità a scegliere i gusti, che si rivelarono poi essere cioccolato per Cami e fior di latte per Bea.
Io presi una granita al melone e tutte e tre ci sedemmo a un tavolino subito fuori dal locale.
Le bimbe erano allegre e chiacchieravano ininterrottamente. Quel giorno erano esaltate perché avevano fatto le prove per lo spettacolo di fine anno che si sarebbe tenuto di lì a breve.
Le guardai felice, Beatrice non faceva sicuramente parte di quei bambini che continuavano a porre a mia figlia domande insistenti su suo padre, perché anche lei stava crescendo senza. Anzi, la sua situazione era ancora più difficile, dato che il marito di Marina era morto.
Mi distrassi un attimo dalle chiacchiere delle bimbe perché notai che c'erano due donne e un uomo ad un tavolo a un paio di metri di distanza da noi che ci fissavano insistentemente.
Distolsi lo sguardo, sperando di sbagliarmi e che non stessero spettegolando come succedeva ogni volta che mi facevo vedere in giro con Camilla. Erano passati quasi cinque anni, la gente non si era ancora fatta una ragione del fatto che l'avrei cresciuta da sola e che non volevo spifferare il nome di suo padre?
Poi però le piccole tacquero per assaporare la loro merenda e udii uno stralcio di conversazione, evidentemente non molta gente al mondo sa regolare il proprio tono di voce quando non vorrebbe essere sentita.
«Quelle due povere bambine non meritavano delle madri così degeneri. Il figlio grande di Marina pare sia un drogato, poi.»
Non risposi più delle mie azioni e mi alzai di botto, dimenticandomi di essere lì con due povere anime innocenti che avrebbero visto una scena non adatta a loro.
La sedia sulla quale ero seduta cadde a terra con un tonfo, facendo zittire i tre pettegoli e gli altri presenti.
Si trattava di una coppia sui sessant'anni, li conoscevo, erano stati presunti amici della mia famiglia fin quando io non avevo partorito una "figlia di nessuno" come avevano osato definire Camilla. L'altra donna era una zitella loro coetanea che non aveva mai trovato un uomo abbastanza coraggioso da sposarla e sopportare quella sua lingua biforcuta.
«Adesso voi mi spiegate perché una madre rimasta vedova e una che decide di crescere una bambina da sola, senza fare mancare niente alla loro prole, debbano essere considerate degeneri?» Non mi diedi nemmeno il disturbo di cercare di moderare il mio tono di voce e urlai. Del resto nemmeno loro se ne erano curati qualche istante prima.
Erano ammutoliti e non si aspettavano che io reagissi così, avendo passato tutti quegli anni a fare finta di niente; la zitella però, mi fissò severa da dietro le lenti dei suoi occhiali a fondo di bottiglia e puntò un dito contro la sottoscritta.
«Tu dovresti vergognarti. Non avevi nemmeno lasciato il tuo ragazzo che già ti eri fatta mettere incinta da uno sconosciuto. Non puoi chiamarti donna o madre.»
Non credevo alle mie orecchie e al momento rimasi interdetta da tanta cattiveria. Se solo avessero saputo la verità, tutto sarebbe stato diverso, ma non l'avrei di certo usata per difendermi dalle parole di un gruppo di persone ignoranti e piene di pregiudizi.
«Che sta succedendo qui?» Sentii la voce di un ragazzo alle mie spalle, ma al momento non la collegai a nessuno di mia conoscenza.
Mi voltai e vidi una persona che avevo quasi dimenticato.

Ricordami di dimenticartiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora