L'ultima volta che avevo visto Michele non era stato in Spagna, durante il nostro romantico incontro in cui Camilla era stata concepita.
Era successo invece il 20 dicembre di due anni dopo, il giorno del secondo compleanno della nostra bambina.
Non so cosa mi era preso, ma avevo sentito delle voci in paese, che dicevano che sarebbe tornato per passare il Natale con i suoi.
Ero stata colta da un dubbio: era giusto nascondere una figlia al padre? Ok, lui aveva la sua vita a Barcellona, ma sapevo quanto sarebbe stato perfetto come genitore, forse anche meglio della sottoscritta.
Col senno di poi mi ero sentita stupida per ciò che avevo fatto, ma al momento avevo agito d'impulso, senza pensarci.
Avevo imbacuccato bene la mia bimba e l'avevo messa nel passeggino. Splendeva un pallido sole quel giorno, nonostante fossimo quasi a Natale. Avevo camminato per le strade del paese, affrontando come d'abitudine sguardi per niente amichevoli e poi mi ero spinta fino a casa di Michele. Cami dormiva tranquilla nel suo passeggino.
Io ero ferma all'incrocio e guardavo verso casa del mio ex, riportando alla memoria tutti i bei momenti passati lì: pomeriggi interi a studiare, per così dire, perché alla fine si rideva sempre troppo, serate a guardare film le cui trame passavano in secondo piano perché trovavamo qualcosa di meglio da fare.
E mentre ripercorrevo con la mente i momenti più spensierati della nostra storia d'amore, l'avevo visto uscire di casa, avvolto in un cappotto pesante, i folti ricci coperti da un berretto di lana. Attorno al collo portava una sciarpa che riconobbi subito, era stata un mio regalo.
Chissà per quale motivo indossava ancora un oggetto che gli ricordava la sottoscritta, quando l'unica cosa che avrebbe dovuto fare era odiarmi e cercare di dimenticarmi.
D'un tratto Camilla si era svegliata e, trovandosi spaesata, si era messa a piangere forte. Michele, sentendo il pianto di un bambino, si era voltato di scatto verso di noi. Non avevo fatto in tempo a nascondermi.
«Artemisia?» aveva chiamato con voce incerta.
Udire quel suono dopo tanto tempo mi aveva provocato una fitta al cuore. Avevo preso Camilla tra le mie braccia e l'avevo cullata brevemente per farla calmare.
«Artemisia, sei tu?» aveva chiamato di nuovo.
I miei propositi di dichiarargli tutta la verità erano andati in fumo, così avevo rimesso Camilla nel passeggino ed ero scappata via, come una codarda.
Michele aveva fatto qualche passo nella nostra direzione, avevo udito il rumore dei suoi scarponi sull'asfalto. Poi però una voce femminile, sua madre, l'aveva richiamato ed era tornato sui suoi passi. E così non l'avevo più rivisto per altri due anni e mezzo.*
Quando Montserrat e i suoi parenti arrivarono, verso le dieci di mattina, sentii un gran vociare e mi precipitai subito fuori dall'edificio per accogliere i miei ospiti al meglio.
Mi ero vestita con più cura del solito; indossavo un abitino in cotone bianco, con delle stampe blu, lungo fino al ginocchio e con una scollatura a V che evidenziava il seno. La stoffa dell'abito, a maniche corte, cadeva morbida modellando la mia figura ma nascondendo la pancetta che mi portavo dietro da dopo il parto, che stavo cercando di eliminare negli ultimi tempi con degli esercizi mirati, oltre alle mie sessioni di corsa su e giù per il paese, sotto gli sguardi critici delle pettegole.
Per fortuna, nonostante la gravidanza e l'allattamento, la mia terza abbondante di seno non ne aveva risentito troppo, ed era una cosa della quale andavo orgogliosa.
Andai incontro ai miei ospiti e li salutai in spagnolo. Fin da piccola ero stata in contatto con gente che proveniva da varie parti del mondo e parlava lingue diverse dalla mia, così conoscevo piuttosto bene inglese, francese e spagnolo, e ultimamente facevo grossi progressi con il tedesco.
«Buongiorno e benvenuti a tutti! Io sono Artemisia e sarò felice di ospitarvi per le prossime due settimane.»
Un coro di saluti e ringraziamenti seguì le mie parole. Notai che Michele non c'era, poi fui raggiunta da una ragazza alta almeno quindici centimetri in più del mio metro e sessantatre (quei tre centimetri valevano molto per la sottoscritta), magra, con neanche un filo di ciccia superflua sul corpo perfetto e una pelle abbronzata, come se non bastasse il suo bel colorito color caffelatte. I capelli neri raccolti lasciavano sfuggire qualche ciocca che incorniciava un viso dai lineamenti particolari, belli in un modo non convenzionale. Indossava un paio di shorts talmente attillati da sembrare una seconda pelle e un top nero che evidenziava la sua figura snella; l'unica cosa che non le invidiavo per niente era la sua prima scarsa. Del resto, con un corpo del genere, non credevo che molti si soffermassero su quel particolare insignificante. Già, proprio insignificante.
Mi sorrise cordiale, poi mi abbracciò stretta, come se fossimo amiche di vecchia data.
«Ciao Artemisia! Che piacere!» mi parlò in italiano, poi proseguì in spagnolo: «Io sono Montserrat, la fidanzata di Michele. Questo posto è molto più bello dal vivo che nelle foto su internet.» Spalancò gli occhi scuri e si guardò intorno.
Come avevo sospettato non appena l'avevo vista venire verso di me, quella era la futura moglie del mio ex. Era bella, più giovane e sostanzialmente l'opposto di me. La cosa mi lasciò turbata e perplessa.
Le sorrisi a mia volta. «Il piacere è mio e ti ringrazio per i complimenti.» Non sapendo che altro dire, gli occhi mi caddero sui bagagli del gruppetto. «Vi mostro le vostre camere, va bene?»
Lei annuì raggiante. «Sì, voglio darmi una bella rinfrescata. Sai, tra poco arriva Michele e mi porta a conoscere i suoi.» Mi afferrò entrambe le mani, poi si mise a saltare come un'adolescente. «Sono così emozionata!»
Proruppe in una risata isterica, finsi di ridere con lei, quando in realtà ero sbalordita.
Allora era questa la donna che Michele voleva accanto a sé per tutta la vita?
Guidai gli ospiti nelle camere, il che mi occupò un bel po' di tempo, poiché ci tenevano tutti a presentarsi e scambiare qualche parola con me.
Per fortuna, al contrario di quello che riportavano i documenti, nessuno pretendeva di essere chiamato con entrambi i nomi e cognomi. Faceva eccezione solo la madre di Montserrat, perché si chiamava María come le sue sorelle, che sarebbero arrivate per le nozze e quindi per distinguersi usavano il loro secondo nome, in questo caso Teresa.
C'erano i nonni paterni di Montserrat, Francisco e Catalina, due vecchietti dall'aria simpatica. Lui era molto alto con uno stomaco prominente e capelli bianchi, lei di media statura e magra, con i capelli grigi raccolti in una crocchia.
I nonni materni avevano al contrario un'aria compita e austera, entrambi con dei capelli bianchissimi e leggermente sovrappeso, si chiamavano Ildefonso e Aurelia.
Il nucleo famigliare della sposa era composto da quattro persone. Il padre di Montserrat, Igmar, aveva l'aria simpatica ed era piuttosto alto e robusto, ma non grasso, i capelli brizzolati e l'abbigliamento gli conferivano un'aria giovanile. La madre di Montserrat era una bella donna, di corporatura media, con un perenne sguardo severo e indagatore.
La futura sposa mi aveva già informata che era stata soprattutto la madre a non volere che lei venisse ospitata a casa di Michele e che la sua mentalità all'antica l'aveva spinta a disapprovare fin dall'inizio la convivenza dei due prima del matrimonio: avevano abitato fino a quel momento sotto due tetti diversi.
Con Montserrat e i genitori avrebbe dormito anche il fratello della futura sposa, Eduardo, un ragazzo smilzo dall'aria timida e intellettuale, con una massa di capelli scuri e scarmigliati e un paio di occhiali dalla montatura spessa.
Altrettanto affascinante, ma più formosa dei suoi fratelli, era la sorella maggiore di Montserrat, che occupava una camera col marito e il figlio. Inés era la versione un pochino più bassa e con più seno e forme di Montserrat, mentre il consorte, Luis, era snello, e dei riccioli corvini gli incorniciavano il volto dai bei lineamenti. Adrián, loro figlio, era il più giovane della compagnia, di quattro anni.
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Ricordami di dimenticarti
ChickLit[COMPLETA - DISPONIBILE IN EBOOK E CARTACEO] Artemisia ha ventiquattro anni e gestisce da sola il bed and breakfast di famiglia, dove vive con la figlia Camilla. Da tempo i pettegolezzi delle vecchie comari del paese non la toccano più: non vuole fa...