Dubbi e lacrime di madre e figlia

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Per tutto il resto della giornata e di quella successiva cercai di chiudere fuori dalla mente e dal cuore ciò che era successo con Michele. Per fortuna, mi riuscì semplice, perché i due piccioncini erano in gita a Venezia e quindi li avrei avuti fuori dai piedi per un po'.

Mi tenni occupata con le faccende al Sogni Tranquilli e prendendomi cura di Camilla.
Ignorai le chiamate di Max sul cellulare, sebbene sapessi che comportandomi così l'avrei insospettita ancora di più. Il fatto era che non volevo pensare a niente. Avevo inserito il pilota automatico e volevo arrivare a quello stramaledetto sabato, quando quella coppia così male assortita si sarebbe finalmente sposata e tutti se ne sarebbero andati dal Sogni Tranquilli, lasciandomi tornare alla mia routine, così com'era, prima che venisse sconvolta.

Certo, i genitori di Micky sapevano di avere una nipote ora, ma chissà, magari l'euforia delle nozze e l'arrivo del figlio che Montserrat aspettava li avrebbe distratti.
Forse le mie speranze erano un po' campate per aria, ma del resto, se il padre di Cami non ne voleva sapere niente di lei, di sicuro non l'avrei forzato oltre. Non gli avrei permesso nemmeno per un minuto di far sentire la mia bambina indesiderata o non amata. Né a lui, né alla sua futura moglie dalle sembianze di una modella.
Nei miei ragionamenti senza senso mi dissi che se Montserrat fosse stata più brutta e avesse portato una taglia o due in più della mia, forse, non sarei stata così gelosa del fatto che si fosse presa l'unico uomo che avessi mai amato, ma mi diedi della cretina. Sapevo che non contava l'aspetto della fidanzata di Micky, ma l'identità, e cioè, che non ero io a doverlo sposare ma un'altra.

Stavo ritornando ai miei pensieri deprimenti e sapevo che ciò non andava bene, così mi alzai dal letto.
La sveglia non era ancora suonata, quel mercoledì mattina, però avevo passato la notte insonne e non potevo sopportare di rimanere un minuto di più sdraiata a rimuginare.
Accesi il cellulare e trovai vari messaggi di Max, in cui m'insultava e mi domandava con insistenza perché non rispondessi o non la richiamassi. Posai con un gesto stizzito il telefono sul comodino, facendo rumore e mi voltai subito a controllare se avessi svegliato la mia bimba, a cui mancava ancora più di un'ora di sonno prima di doversi alzare per andare all'asilo.
Per fortuna stava dormendo, così scesi dal letto, mi cambiai, indossai un abito prendisole bianco lungo fin sopra al ginocchio, non avevo voglia di pensare a come vestirmi quel giorno, e andai in cucina.
Una bella dose di caffeina mi avrebbe tirato su il morale e mi avrebbe schiarito la mente.
Preparai il caffè, senza smettere di sbadigliare e non osai andare in bagno per guardarmi allo specchio, sicura che le mie occhiaie mi facessero assomigliare a uno zombie. Poco importava del mio aspetto, se l'unico uomo che io desiderassi non voleva neanche sentirmi nominare.
Quando il caffè fu pronto, lo versai in una tazzina e uscii in giardino, a godermi quell'ultima mezz'ora di tranquillità, prima di cominciare a lavorare.
Nonostante fosse ancora presto, il sole era già tiepido e mi sedetti su un muretto a qualche metro dall'ingresso del casale, oltre i tavolini che avevo sistemato per le colazioni.
Sorseggiai la mia bevanda e mi sentii un poco rincuorata. Mi guardai attorno.

I miei bisnonni avevano messo su un'attività propria, che negli anni era andata sempre meglio. Solo negli ultimi dodici mesi c'era stato un calo di affluenza, ma del resto la crisi colpiva ovunque e speravo che quel momento di difficoltà passasse in fretta. Di sicuro non avrei mai abbandonato l'attività di famiglia. Il Sogni Tranquilli aveva visto crescere me, mia madre e mia nonna prima ancora. Ora anche Camilla stava vivendo i suoi primi anni di vita in quell'ambiente imprevedibile ma allo stesso tempo accogliente e confortante.
Il casale era stato testimone delle vite dei miei famigliari, dell'amore tra i miei bisnonni, nonni, genitori e persino, anche se per meno tempo, del mio con Michele.
Mi ritrovai ad avere gli occhi lucidi al pensiero che, se le cose avessero dovuto peggiorare per qualche imprevisto, avrei perso quell'edificio magnifico, insieme a tutti i ricordi che conteneva.
«Hola, Artemisia.» Fui riscossa dal saluto di Manuel, che, strappando erbacce qua e là, aveva fatto il giro del casale ed era giunto fino al muretto dov'ero seduta.
«Buongiorno Manuel. Ti trovo bene.» Effettivamente era così. Per una volta non portava degli inguardabili pantaloncini troppo corti, attillati e strappati in punti improbabili, ma dei normali bermuda in tessuto leggero e una canottiera azzurra. Sembrava anche ingrassato di qualche chilo, cosa che non avevo notato prima.
Lui sorrise e fece un'espressione birichina, come se stesse nascondendo qualcosa.
«Non dirmi che si tratta degli appuntamenti galanti dell'ultimo periodo? Voglio sapere chi è che ti ha rubato il cuore.»
Lui ridacchiò. Non avevo, volutamente, accennato a una donna, ancora non capivo che gusti avesse il nostro giardiniere, ma l'importante era che fosse felice.
«Oh, la vedrai. Te la presenterò a giorni, ho intenzione di farle la proposta.»
Spalancai gli occhi, stupita. «Cosa? Quindi sarò invitata a un altro matrimonio a breve? Per anni niente e adesso persino due!»
Lui smise di sorridere. «Artemisia, non dirme che parteciperai al matrimonio di Michele e Montserrat?»
Annuii, per niente convinta. «Mi hanno invitata, anche se con poco preavviso. Lui è un mio caro amico d'infanzia e...» Mi costrinsi a proseguire: «Lei mi sembra una brava ragazza. Perché non dovrei andare?» domandai retoricamente, ma Manuel non capì e rispose.
«Perché tu lo ami. Sai che è lui il tuo único amor
Scoppiai in una risata falsa e stridula. «Oh, Manuel! Non mi incanterai con le tue frasi sdolcinate. Io e Michele abbiamo chiuso. Per sempre.»
Lui scosse la testa. «Se ti preoccupi che lui non voglia la bambina, sai che chi ti ama è disposto ad accettare tutto, passato e presente.»
Quanto avrei voluto credere a quelle parole, al fatto che Michele avrebbe accettato tutto, così com'era, perdonandomi per avergli tenuto nascosta una cosa tanto grande. Sentii gli occhi inumidirsi e cercai di celare il fatto che fossi sconvolta con un sorriso che dovette apparire come una smorfia, visto lo sguardo che mi lanciò il giardiniere.
«Suvvia Manuelito, non perdiamoci in inutili fantasie. Vado a preparare la colazione per gli ospiti.»
Mi posò una mano sul braccio mentre mi alzavo dal muretto e mi sussurrò.
«Artemisia, non buttare via la tua vita. Cerca sempre di far sì che la verità trionfi.»
Dio, ma dove eravamo finiti, in una telenovela di quart'ordine?

Tornai in camera per controllare se Camilla si fosse svegliata e la trovai che piangeva, doveva aver fatto un brutto sogno.
«Tesoro, cosa è successo?» le domandai, sedendomi sul suo letto e prendendola tra le braccia.
«Mamma, dov'è il mio papà?» mi chiese, con un'aria disperata e gli occhi arrossati.
Ogni tanto se ne usciva con richieste del genere e fino a quel momento me l'ero cavata seguendo consigli trovati visitando community online che contenevano discussioni sull'argomento.
Sostenevano che ai bambini va sempre detta la verità.
A Camilla non avevo mai detto bugie, ma non avevo mai raccontato tutta la verità. Ora che Michele aveva reagito male quando gli avevo rivelato che era lui il padre non potevo di certo dire alla mia bimba come stavano realmente le cose. Così le mormorai la solita frase, col tono più rassicurante che mi riuscì, nonostante sentivo gli occhi riempirsi di lacrime.
«Sai che il tuo papà ha scelto di abitare lontano e non può prendersi cura di te, ma la mamma c'è sempre. Ci sarà sempre per te.»
«Mamma, ma come si chiama il mio papà? Gli altri bambini sanno il nome del loro papà.»
Aveva quattro anni e mezzo ma era molto sveglia.
Sospirai. «Su, fa' la brava ora. Ci vestiamo e andiamo a preparare la colazione, va bene?»
«Ma mamma...»
«Piantala, Camilla. Ascoltami e non farmi arrabbiare.»
Non dovevo essere molto convincente, perché ormai stavo piangendo, una cosa che succedeva fin troppo spesso nell'ultimo periodo. Accidenti a me.
«Mamma, non piangere. Ti prometto che faccio la brava.»
Scossi la testa e mi passai il dorso della mano sugli occhi, per asciugarli, poi l'abbracciai stretta.
«Ti voglio bene, tesoro mio» le sussurrai, con le labbra premute sulla sua testa.
«Anche io ti voglio bene, mamma.»

***

In questo capitolo è lampante quanto la scelta fatta da Artemisia, di lasciare Michele, quando non aveva ancora vent'anni, non sia stata per niente ragionata. Dettata solo dall'amore passionale e non dall'affetto che invece nutre ora per la figlia. Vorrebbe mettere a tutti i costi sua figlia davanti a tutto, ma sbaglia e ha mille dubbi.

Ringrazio chi sta seguendo, votando e commentando la storia. Pubblicare il mio libro su Wattpad me lo sta facendo vedere sotto una luce nuova, nonostante abbia finito di scriverlo ormai da qualche anno. Grazie di cuore, senza i lettori una storia non sarebbe nulla!

Maria C Scribacchina

Ricordami di dimenticartiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora