Una visita inaspettata

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Cinque anni dopo la mia rottura con Michele le cose andavano meglio per me, mi ero messa l'animo in pace e mi godevo la mia vita, così com'era. Anche se la gente continuava a mormorare, ormai non me ne importava. Avevo ricevuto un grande dono dalla vita, mia figlia Camilla; era soprattutto grazie a lei che affrontavo ogni giorno con un sorriso sulle labbra. Ero diventata una donna molto determinata e da quando avevo deciso di chiudere la mia storia con l'uomo che amavo, la mia esistenza era stata una serie di scelte difficili, ma che avevo preso nel modo più sereno possibile, accettando con forza la mia nuova situazione. Ero una madre single, né la prima né l'ultima. La cosa che mi differenziava era che ero costretta a dire bugie sulla paternità di mia figlia ogni giorno. Mentivo a tutti, familiari, amici e conoscenti, perché nessuno doveva sapere la verità, nessuno doveva strappare Michele alla sua vita in Spagna.

Non avevo sue notizie da tempo, ma ero sicura che se la stesse passando alla grande, come l'ultima volta in cui ero andata a trovarlo cinque anni prima, durante il week end in cui Camilla era stata concepita. Non avevo ancora compiuto venticinque anni e mi trovavo con una figlia di quattro anni e mezzo a gestire il bed and breakfast da sola, dopo che mia madre si era dovuta trasferire al mare, da una sua amica, a seguito di una grave malattia che l'aveva molto debilitata. Quell'amica era la stessa che avrebbe dovuto aiutarla con il bed and breakfast se io fossi rimasta a Barcellona. Ma così non era stato.

Non che mi lamentassi di ciò, anzi avevo insistito io affinché mia madre trovasse una sistemazione che le permettesse di riposarsi. Il rapporto con lei era sempre stato buono, ci comportavamo più da amiche che da madre e figlia, del resto eravamo tutte donne in famiglia, da quando mio padre ci aveva lasciato. E dopo che Massimiliana, mia sorella maggiore, da sempre uno spirito libero, se ne era andata via di casa, la mamma mi aveva insegnato come badare alla perfezione al Sogni Tranquilli ed io ero stata un'ottima allieva.
Adoravo stare in mezzo alla gente che frequentava il bed and breakfast perché, al contrario di quella del paese, non passava tutto il tempo a mormorarmi dietro le spalle, dato che non conosceva affatto la mia storia. Le uniche risatine che ogni tanto si facevano a discapito della sottoscritta erano quando mi presentavo loro porgendogli la mano sorridente e annunciando : «Benvenuti! Io sono Artemisia e sarò a vostra completa disposizione per la durata del vostro soggiorno. Mi auguro che vi troverete bene qui.»
Mi immaginavo quello che pensavano nelle loro menti: "Artemisia, che nome strambo e antiquato!"
Il fatto era che mio padre e mia madre non erano proprio dei tipi da nomi banali, mia sorella era stata fortunata, perché quando l'aspettavano erano indecisi se chiamarla Aureliana o Massimiliana. Non che fossero dei nomi semplicissimi da portare, ma almeno col secondo avevamo trovato un diminutivo perfetto per quel maschiaccio che era poi diventata: la chiamavamo "Max".

Quel giorno era il 15 di maggio e, come di consueto, attendevo l'annuale arrivo dei miei clienti più affezionati.
Si trattava di fratello e sorella, gemelli, che avevano già passato da un po' la settantina, e che ogni anno alloggiavano al casale per un mesetto, per poi tornare quello successivo, sempre e immancabilmente a metà maggio.
Stavo controllando lo stato delle prenotazioni, preoccupata per il fatto che ancora nessuno avesse chiamato per i mesi di giugno e luglio. Di solito avevo già qualche richiesta da famiglie o da coppie di pensionati, ma la crisi ormai si faceva sentire ovunque.
Udii i sassi del vialetto scricchiolare ed uscii, convinta di accogliere Mario e Giovanna, i due gemelli.
Erano le dodici e trenta, di solito loro arrivavano nel pomeriggio, ma avrebbero potuto essere in anticipo.

Mi sbagliavo. Chi mi trovai davanti non erano di certo i due anziani, ma una donna sulla cinquantina che conoscevo benissimo. La osservai stupita scendere dall'auto e chiudere lo sportello, guardandosi intorno, come se, cosa vera, non mettesse piede al Sogni Tranquilli da anni. Aveva ancora lo stesso taglio di capelli, molto corto, con dei colpi di sole color miele e degli occhiali dalla montatura colorata e il suo volto dalla forma rotonda era ancora solcato da meno rughe rispetto alle sue coetanee.
La madre di Michele era una delle persone più dolci che avessi conosciuto in vita mia. Eppure, da dopo che avevo lasciato il figlio non ne aveva più voluto sapere di me. Ogni volta che mi incontrava in giro per il paese voltava la faccia dall'altra parte e obbligava il marito a fare lo stesso. Ci era rimasta proprio male quando quella che aveva chiamato "nuora" in tono scherzoso per anni, aveva mollato di punto in bianco il suo unico figlio per poi farsi mettere incinta dal primo che passava.

Ricordami di dimenticartiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora