Una serata tra amici

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Durante la doccia ebbi modo di riflettere e di riprendermi, dopotutto era ora di darsi una calmata. Ero andata avanti benissimo tutti quegli anni senza Michele e solo perché ora era tornato temporaneamente nella mia vita, non dovevo lasciarmi sopraffare da sentimenti che risalivano a quando ero ancora una ragazza sola, che non doveva badare né a una figlia, né a un'attività.
La cosa che più mi preoccupava al momento era il destino di Camilla. Chi altri aveva intuito chi fosse il suo vero padre, oltre a mia sorella? Chissà se Massimiliana ne aveva mai parlato a mia madre.
In paese non avevo mai sentito quel pettegolezzo - le voci giravano veloci - quindi ero abbastanza sicura che nessuno si fosse accorto della somiglianza tra la bambina e Michele.
Forse era arrivato il momento di dire al mio ex la verità? Ma come avrei potuto farlo, ora che stava per sposarsi ed era sul punto di costruirsi una famiglia sua.

Sentii bussare alla porta della camera e chiesi chi fosse.
«Sono Max, aprimi Missi.»
Andai ad aprire indossando solo l'accappatoio e tamponandomi i capelli con un asciugamano.
Mia sorella sorrideva ed era come se poco prima non avessimo avuto una discussione.
«Pensavo che stasera potremmo andare a mangiare una pizza tutti e tre. Tu, Micky ed io. Come ai vecchi tempi.»
Più che una proposta, la sua sembrava un ordine.
«Non credo che sia disponibile, sai com'è.»
Lei sbuffò. «Avrà tutto il tempo per stare insieme alla sua nuova famiglia, mentre non sappiamo quando tornerà a trovare le sue vecchie amiche.»
Dentro di me pensai che probabilmente non l'avremmo più visto per molto tempo. Notai che Max stava evitando apposta il discorso della paternità di Camilla, non sapevo se accennarvi, ma decisi di stare al suo gioco.
«E che mi dici della sua fidanzatina?» Ridacchiai. «Non hai visto come ti ha fulminata con lo sguardo quando hai accennato un saluto troppo affettuoso al suo promesso?»
Max sbuffò di nuovo e si scompigliò i corti capelli rosso fiamma. «Può andarsene tranquillamente a quel paese. Vado a parlare con Michele giù alla spiaggia. Prenoto per le venti al Club 8.»
Il Club 8 era la pizzeria più alla mano del nostro paese ed era anche quella meno frequentata dai turisti. Ci andavamo sempre ai tempi della scuola per le classiche cene di classe. Distava solo una decina di minuti a piedi dal casale.
Scossi la testa, rassegnata, ma cercai di sorridere. «Dovrò chiedere a Giò e Mario se possono badare a Cami, altrimenti dovrò disturbare mamma all'ultimo minuto. Ovviamente ti darò la colpa.»
Lei mi fece la linguaccia e prima di schizzare via osservò ironica: «Puoi lasciare la piccola con Manuel. L'ultima volta che sono passata li ho visti giocare insieme, erano molto affiatati. Lui fa un'ottima imitazione della Regina Isabella di Castiglia!»
Risi pensando a Manuel che con una vocina squillante impartiva ordini in un pesante accento spagnolo a Cami, fingendo che quest'ultima fosse la sua dama di compagnia.
Dopo tutti quegli anni, non avevo ancora capito da che parte stesse il nostro giardiniere.

Quel pomeriggio, quando andai a prendere Cami all'asilo, la piccola si lamentò del fatto che non avessi portato Roberto con me.
«Ti sta aspettando per salutarti prima di partire» le spiegai pazientemente.
L'appuntamento, il primo cui avessi partecipato da quando avevo avuto mia figlia, doveva averle dato false speranze. Era una bambina di quattro anni e mezzo ma era molto sveglia.
Mi sentii in colpa, riceveva molte attenzioni dai nostri amici e amiche, perlopiù avventori del bed and breakfast, ma a parte la nonna, Paola, Manuel e me, non aveva delle figure stabili nella sua vita.
Se solo le cose non fossero state così complicate. Avevo creduto giusto per una sera di poter stare con un uomo che non amavo per il bene della piccola, ma sarebbe stato ancora peggio farla crescere con dei genitori che non provavano dei sentimenti sinceri l'uno per l'altra. Forse Roberto era infatuato di me, ma ero convinta che anche a lui sarebbe passata, una volta che mi avesse finalmente avuta.
Riuscii a portare a casa Camilla senza che rimettesse il broncio e poi salutammo Roberto che stava per ripartire.
«Perché te ne vai sempre via?» gli domandò la piccola candidamente.
Lui rimase per un attimo spiazzato, poi le rispose: «Per il mio lavoro. Ci rivedremo presto, però.» La prese in braccio e la strinse a sé, poi mi lanciò uno sguardo significativo da sopra la testolina della bambina.
Io ricambiai il suo sguardo, seria, cercando di comunicargli che tra noi non avrebbe mai potuto funzionare.
Lui parve capire, non disse altro, lasciò la bambina e salì in macchina. Rimasi con Cami a fare "ciao" con la mano finché l'auto sportiva non fu arrivata in fondo al viale, poi comunicai alla piccola che quella sera la sua mamma sarebbe uscita con la zia.
«Dove andate, mamma? Perché non posso venire anch'io?»
Evidentemente la stavo confondendo con tutte quelle uscite, visto che da quando era nata la mia vita mondana era stata pressoché inesistente.
«Non puoi venire perché è una serata tra grandi e ti annoieresti. Puoi decidere se rimanere qui con Mario e Giò oppure andare da Paola e stare con lei e la nonna.»
Camilla prese a strillare e saltellare. «Voglio andare da Paola!»
«Allora vorrà dire che andremo tutte e tre insieme a trovare la nonna, tu, io e la zia Max.»
Lei rise felice. Dopotutto era una bambina serena, la mia piccola, non le avevo fatto mancare mai niente e avrei cercato sempre di darle il meglio, con o senza un padre.

Ricordami di dimenticartiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora