|capitolo otto.|

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Draco.

Ce l'avevo quasi fatta.
Era nel mio dormitorio, era diventata mia amica e il Cappello Parlante le disse che l'avrebbe messa in Serpeverde.
Ma no.
Lei doveva ribellarsi, doveva dire che non voleva essere come noi, doveva per forza cambiare il suo destino.
Ed è stata smistata in Grifondoro.
Puf.
Tutti i miei piani andati in fumo. Totalmente.

Era così simpatica, così felice ma, allo stesso tempo, così testarda, caparbia e insistente.
Mi era stata simpatica sin dal primo giorno.
E poi, era la nipote del ministro della Magia. Era importante.
Mio padre mi disse che dovevo farmela amica, perché lui doveva trarne vantaggio, naturalmente.
Ma io non volevo averla accanto per quello.
La mia mente da bambino ingenuo mi tamburellava dal giorno del suo compleanno. Era strana. Un mondo da scoprire.
E io volevo scoprirlo. E magari farne anche parte.
Maledetto me e le mie stupide idee.

Era andato tutto perduto.
Dopo il litigio fuori dalla Sala Grande, più a terra che mai, mi diressi verso il mio dormitorio. Avevo bisogno di cambiarmi la camicia che avevo sudato dallo stress e dovevo sciacquarmi la faccia.
Starla a sentire mentre sfogava la sua frustrazione su di me era stato peggio di essere colpito da diecimila lame in pieno petto.
Tutto questo, perché secondo Angel la colpa era mia.
Ma cosa le avevo fatto di male? Eravamo amici. O forse ero solo uno sfizio, un modo per intrattenersi, per colmare un vuoto con la prima cosa che le fosse capitata a tiro.

Quando entrai nella mia Sala Comune, assistetti all'apocalisse.
Ragazze isteriche del primo e del secondo anno che entravano e uscivano dalla camera di Pansy Parkinson e Millicent Bulstrode. Urlavano e correvano come forsennate, sventolando brandelli di vestiti in una mano e stringendo un paio di forbici nell'altra.
Non volli soffermarmi a chiedere e a vedere cosa stesse succedendo nel dettaglio.
Non era di mio interesse, e sicuramente era roba da ragazze che non mi riguardava.
Mentre salivo in camera, colsi una frase che aveva pronunciato una ragazza a me ignota: "Chissà che faccia farà quell'ingrata quando verrà qui a prendersi il suo baule!"

La mia stanza era vuota.
I miei compagni, Crabbe, Goyle e Zabini si stavano trattenendo nella Sala Grande per consumare qualsiasi cosa avanzasse sui tavoli.
Mangiavano come ippogrifi. E no, non sapevo quanto mangiassero gli ippogrifi, ma pensavo che avessero uno stomaco senza fine.
Accanto al mio letto a baldacchino verde era poggiato il mio baule. Grande, con le iniziali del mio nome incise a caratteri argentati.
Afferrai una camicia bianca semplice e la indossai. Faceva caldissimo, ma quella era la nostra uniforme ed ero obbligato ad indossarla. Fastidioso.
Ma, in fondo, amavo le camicie.
Mi sciacquai la faccia e mi pettinai i capelli, come mio solito.
Non mi piaceva per niente quell'acconciatura, ma secondo mia madre mi faceva sembrare più maturo, e secondo mio padre era l'unico modo per tenere i capelli ordinati.

Scesi le scale e davanti agli occhi mi apparve uno spettacolo tristissimo.
Angel trascinava il suo baule dall'aria pesantissima. Aveva il viso basso, ma nell'aria sentivo odore di lacrime, tristezza.
No, non hanno un odore specifico.
Diciamo che me lo sentivo, ecco.
Mi irrigidii.
Volevo correre da lei, dirle che andava tutto bene, ma volevo comunque risparmiarmi un'ennesima strigliata.
"Fudge." Mi limitai a dire.
Lei alzò lo sguardo e incrociò il mio. Aveva gli occhi gonfi, pronti ad eruttare lacrime.
"Malfoy." Disse in un sussurro, e scoppiò, accasciandosi a terra.

Non ci pensai due volte.
Mi precipitai accanto a lei e iniziai a strofinarle la schiena, come se fosse la cosa più normale che io potessi fare.
Era un gesto tipico di mia madre. Quando sfogavo la mia frustrazione piangendo, in quei momenti in cui mio padre era fuori, mamma mi accarezzava la schiena per tranquillizzarmi. E ci riusciva benissimo.
Rimanemmo così, zitti per un po', a comunicare con i respiri e con i gesti.

"Non dovresti essere qui con me. Ti ho trattato male."
Già, mi aveva trattato a schifo. Ma non potevo non consolarla, nonostante fossi un Serpeverde e dovevo comportarmi da tale.
Lei mi faceva agire come uno stupido Tassorosso.
"Io ho innescato questa reazione a catena." Sussurrai senza nemmeno capire a quale pericolo mi stavo esponendo. "Scusa." Aggiunsi poi, mostrandomi debole.
"Scusa." Convenne lei.

"E ora che si fa?" Chiesi, interrompendo il silenzio che si era creato tra noi.
"Ci dimentichiamo. A vicenda. Facciamo finta che sia il primo giorno e che dal primo minuto io sia stata smistata in Grifondoro. Niente giudizi sospesi e permanenza qui. Niente amicizie nate con gli occhi che imploravano di chiudersi per il troppo sonno. Niente litigi. Niente.
Ripartiamo dalla strigliata della troppa gelatina sul treno."
Realizzai dopo poco quello che avevo appena sentito e, mentre lei riprendeva a piangere, il mio cuore iniziava a pietrificarsi, piano piano.
Non potevo. Non potevo proprio permetterle di uscire dalla mia vita con la stessa facilità e spensieratezza con la quale ci era entrata.
Non avevo scoperto nulla. Nulla.

"Non possiamo farlo." Sussurrai più a me stesso che a lei.
"Se lo vuoi, puoi farlo. E io, per quanto sia brutto, lo voglio. Non siamo destinati ad essere compatibili e nella stessa vita, Draco. Abbiamo fatto tutto troppo in fretta."
Ed ero io l'artefice di tutto. Se non me me fossi così tanto interessato, tutto quello non sarebbe successo. Avrei potuto prenderla in giro come facevo con tutti gli altri.
E la dolcezza con cui aveva pronunciato il mio nome mi fece salire un groppo in gola. Volevo sentirglielo ripetere, magari mentre rideva.
Volevo esserle amico, ma avevo chiaramente capito che non potevo.
"Già, troppo in fretta." Convenni.

"Puoi lasciarmi, Malfoy."
Il mio cuore, in un dolore fulminante, si pietrificò totalmente.
Lei, da quel momento, non era assolutamente niente.
"Ma sparisci, Fudge."
E me ne andai lasciandola lì, insieme al mio cuore.

Hidden words. |Draco Malfoy|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora