|capitolo trentasei.|

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Il mio sesto anno ad Hogwarts era iniziato nel peggiore dei modi e non accennava a migliorare.
I G.U.F.O erano andati benissimo e per fortuna avevo tutti i requisiti necessari per continuare a puntare alla carriera di Auror.
E fino qui tutto bene.

Il problema era che l'unica persona con cui avrei voluto passare ogni secondo di quell'anno nemmeno mi guardava in faccia.
Perfetti sconosciuti come non lo eravamo mai stati. E a nulla servirono gli aiuti e i consigli di Eleanor e Hermione, mie amiche e compagne da una vita, perché la luna era diventata la mia compagna preferita nelle notti insonni, la causa delle mie occhiaie e della mia disattenzione durante le lezioni.

Persino i miei genitori avevano capito che qualcosa non andava, ma ormai si erano rassegnati a non fare più domande, abituati alle mie risposte vaghe e generiche.
Non potevo dir loro che la causa di tutto questo era un semplice ragazzo che mi aveva rubato il cuore, la mente, la razionalità e qualsiasi cosa sentimentale avessi dentro il corpo.
Erano andate via con lui e dubitavo che sarebbero tornate.

Il problema più grave era che mi ero arresa, completamente.
Ormai avevo rinunciato a salutarlo e mi limitavo semplicemente ad abbassare lo sguardo per evitare di incontrare il suo sguardo di ghiaccio e scoppiare a piangere nel bel mezzo dei corridoi.

Tornai alla mia solita monotona vita: studio, amici, libri. Niente più trasgressione delle regole, niente più uscite notturne, niente più di tutto ciò che mi faceva davvero sentire viva.

In tutto ciò mi stavo terribilmente avvicinando a Blaise Zabini. O meglio, era lui che non si arrendeva ad avvicinarsi ed io ero troppo debole per impedirgli di cadere in una trappola utile solo a star male.
Eppure lui mi parlava, mi abbracciava, cercava di distrarmi durante le ore comuni con i Serpeverde e io gliene ero grata.

Lo consideravo un grande amico, ma niente di più.
Avrei dovuto dargli una possibilità, me lo dicevano tutti che avrei dovuto, ma io non volevo perché avrei preso in giro me stessa e gli altri.
La mia mente e il mio cuore erano ancora legati al biondo dagli occhi di ghiaccio, nonostante tutto.

Era ormai maggio inoltrato, avevamo quasi finito i programmi e già tutti erano su di giri per il ritorno a casa per le vacanze estive.
Persino io non vedevo l'ora di andarmene da quella scuola che era diventata una tortura.

Avevo bisogno di staccare, consapevole del fatto che chi volevo che mi cercasse non mi avrebbe cercato più, che avrei dovuto disintossicarmi e dedicarmi ad altro, cancellarmi la memoria e andare avanti.

Eppure io non ci riuscivo.

Quella sera decisi di concedermi una passeggiata notturna. Avevo bisogno di riflettere e niente era migliore della quiete e del profumo che infondeva il Lago Nero, con le onde calme e il vento che sfiora gli alberi, quasi li volesse accarezzare.

Mi sedetti sulla mia solita pietra, il freddo mi gelava il collo, quindi mi alzai il cappuccio del mantello, e iniziai a pensare ad ogni cosa mi capitasse a tiro, ad ogni problema e a qualche possibile risoluzione e ci riuscii, riuscii a trovare dei compromessi per ogni cosa tranne che per una.

Passi.
Dei passi svelti, veloci e leggeri sulla ghiaia che si dirigevano proprio verso di me, verso la roccia.
Sicuramente erano due ragazzi del settimo anno in una delle loro scappatelle, ormai la situazione era leggermente sfuggita di mano da quando Harry aveva baciato Ginny e andavano felicemente in giro mano nella mano.

"Quella è la mia pietra. Levati."
Rimasi lì, pietrificata, incapace di reagire, con gli ingranaggi del cervello che cercavano di elaborare il fatto che, dopo quasi un anno, l'avevo sentito parlare e rivolgersi direttamente a me.
La sua voce era cambiata, ora più roca e melliflua anziché acuta e un po' gracchiante.
Una lacrima mi rigò il viso.

"Sei sordo per caso? Devi andartene dalla mia pietra. C'è incisa una D, se magari tu sapessi leggere."
"Accanto alla D c'è anche una A, quindi ho tutto il diritto di rimanere qua." Risposi cercando di sembrare il più fredda e distaccata possibile.
"A-Angel?" Balbettò lui.
"Quello che ne rimane."

Piombò un terribile silenzio, come era solito tra di noi quando eravamo davvero in imbarazzo o bisognosi l'uno dell'altro.
Quella volta, però, nessuno aveva semplicemente voglia di parlare per la reazione di chi aveva vicino, così mi limitai ad osservare il lago e lui non so cosa facesse perché era alle mie spalle e non avevo per niente intenzione di guardarlo.

Dopo un tempo indefinito decisi che era meglio andare.
Mi alzai e mi sistemai il mantello prima di camminare a passo svelto verso il portone d'ingresso.
"Aspetta."
"Ho smesso di aspettare, Draco."
"E io non ho smesso di venirti dietro. Parliamo, ti prego."

Mi girai per guardarlo meglio, una prima volta dopo tanto.
I capelli gli erano cresciuti e avevano assunto una sfumatura più giallina, aveva un principio di barba incolta sul mento e il naso ancora più appuntito.
Il mio sguardo incontrò il suo nel modo più duro e scontroso di sempre.

"Non abbiamo parlato fino ad adesso, non vedo perché dovremmo infrangere le regole del gioco." E, piangendo, andai via.

Hidden words. |Draco Malfoy|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora