4

1K 31 1
                                    

The Bustle in a House 

The Morning after Death

Is solemnest of industries Enacted opon Earth –

The Sweeping up the Heart And putting Love away

We shall not want to use again Until Eternity.

Rimuginavo su quella poesia di Emily Dickinson fin da quando ero rientrata a Milano, anche prima di sapere quello che era successo, ma il giorno del funerale di Claudio me la ripetevo come un mantra nella testa.

Pareva facile mettere da parte l'amore per non doverlo usare mai più, per il resto dell'eternità.

Le cose stavano in maniera molto diversa.

La mattina, mi svegliai dopo una notte tormentata, zeppa di sogni strani e contorti: non avevo sognato Claudio, ma la sua presenza aveva aleggiato sulle immagini confuse che si erano susseguite per tutta la notte, labirinti, siepi troppo alte per essere superate, una grande casa vuota, stanze deserte invase dal ghiaccio, un vaso rotto, una fotografia talmente rovinata dal tempo che mi era stato impossibile riconoscerne il soggetto, il suo sorriso sfuocato, in lontananza, la sua voce dolce che sussurrava parole che non riuscivo a capire, un'eco, un mantra. Non fisicamente, ma lui... lui era ovunque, lui nella testa, nel cuore, nei sogni e nei pensieri, perfino nel sussurrare leggero del vento tra gli alberi in giardino: mi mancava, mi mancava da morire, volevo tornasse, volevo fosse al mio fianco, dannazione, non so cosa avrei dato per averlo ancora con me.

Se solo fosse tornato, anche solo per qualche minuto, avrei avuto l'opportunità di dirgli ciò che non gli avevo mai detto: quanto fosse importante, quanto tenessi a lui, quante volte mi avesse fatta ridere e sentire protetta, che fratello maggiore meraviglioso era stato per tutti gli anni che avevamo vissuto insieme.

Se solo avessimo avuto un'ora.

Un giorno.

Un solo altro giorno da trascorrere insieme...

Mi alzai da letto con il cuore gonfio, avevo dormito col suo pigiama addosso, per sentirlo ancora vicino, ma niente mi riportava da lui, a lui, con lui: niente valeva la sua presenza, stavo solo prendendomi in giro.

Indossai il mio vestito a lutto, nero come la notte, in tinta con il mio stato d'animo, un paio di scarpe con un piccolo tacco sobrio, avevo raccolto i miei lunghi capelli neri in un malriuscito tentativo di chignon, al collegio alcune mie compagne erano abilissime ad acconciarsi così, ma io non ci riuscivo, per quello portavo quasi sempre i capelli sciolti o, al massimo, raccolti in una coda di cavallo. Avevo svuotato la mia borsetta rossa e riposto tutto in una borsa nera, che si abbinava al vestito. La borsa rossa mi osservava dal pavimento come un cane abbandonato, la presi di scatto e la gettai nel cestino: non era un cane, non mi avrebbe perseguitato negli incubi, di notte, non lo stavo lasciando davvero in autostrada, magari, piuttosto, mi avrebbe ricordato per tutta la vita il giorno in cui avevo saputo che Claudio era morto e non la volevo rivedere mai più.

La pigiai sul fondo col piede, con rabbia, con quello che era rimasto di me.

Niente trucco, acqua e sapone come ero sempre stata abituata.

Aprii la porta della mia camera da letto ed inspirai a fondo, mamma vagava per il corridoio come un fantasma in pena, fasciata in un elegante tubino di raso nero, il viso perfetto truccato per nascondere inesistenti occhiaie ed imperfezioni, le scarpe altissime, all'ultima moda, mi lanciò uno sguardo critico e sibilò tagliente:

-Truccati, sei troppo pallida.

Era la prima volta che ci incrociavamo da quando ero tornata ed erano quelle le prime parole che mi rivolgeva dalla morte di Claudio.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora