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Rimasi sdraiata sul letto, leggendo e rileggendo la lettera di mio padre, assorbendone le parole, facendo sì che ogni lettera, ogni frase, ogni parola mi entrasse bene in testa, per coglierne a pieno il significato, la profondità, la portata. Quella lettera cambiava tutto, anche la prospettiva da cui avevo visto le cose fino a quel momento.

Memorizzai l'indirizzo che mi avrebbe portata da Gabriel.

Non riuscii a chiudere occhio se non alle prime luci dell'alba, quando, stremata, crollai in un sonno leggero, senza sogni.

Mi svegliai di colpo, sudata, con la lettera ancora stretta tra le dita.

Non sapevo che fare.

Tornare a dormire?

Cercarlo?

Recuperare sonno?

Farmi un caffè?

Così mi preparai ad uscire.

Non telefonai.

Non avvisai.

Non volevo sapere nulla, non potevo programmare un incontro che attendevo da così tanto tempo, non era possibile, nemmeno per una persona organizzata e quadrata come me. Volevo arrivare lì e vedere che cosa sarebbe successo, senza pensarci, senza pianificare, sarei arrivata all'improvviso, per cogliere di sorpresa il mio cuore e anche lui.

Gli avrei detto: hey, sono tornata dal mondo dei morti, che sorpresa, eh?

Erano undici anni che attendevo quel momento, non potevo aspettare un minuto di più.

Un paio di jeans puliti, la camicetta nuova, le scarpe col tacco (sui quali dovevo gradualmente re-imparare a camminare) ed ero già in strada.

Non sapevo esattamente come arrivare da lui, non conoscevo la città, né il nome delle vie, avevo con me solo il logoro foglietto di carta su cui mio padre, tempo prima, aveva vergato con calligrafia tremolante il nome della strada, ma, dopo una serie interminabile di autobus, tram, due fermate di metropolitana, una via sbagliata, qualche indicazione da passanti distratti che si persero in un sacco di parole inutili, senza sapere che mi strappavano il cuore, girai l'angolo e mi trovai, dall'altro lato della strada, un grande edificio grigio.

Alto più o meno cinque piani.

Una grossa insegna colorata.

Il quartier generale di una delle principali ditte che si occupavano di ricambi ed assistenza auto.

Mi appoggiai, con un senso di nausea, disorientamento, incredulità, al muro più vicino.

Dovetti trattenermi dal non ficcare le unghie nei mattoni rossi, nel non grattare via l'intonaco, perché mi sentii mancare il terreno sotto ai piedi, come se mi si aprisse una voragine spaventosa, pronta ad inghiottirmi. Mi mancava l'aria, era improvvisamente diventato difficilissimo respirare, non sapevo se fosse un attacco di panico, oppure se stessi semplicemente per morire, ma non c'era più aria.

Non c'era più niente.

Non era possibile.

Ero lì.

Ero lì di nuovo.

Tornata davvero dal mondo dei morti.

Riesumata.

Inattesa.

Inaspettata.

Forse, indesiderata.

Se le indicazioni riportate nella lettera di mio padre erano corrette, ora ero ad un passo, a qualche metro di distanza da lui.

Come era arrivato fino a quell'edificio così elegante?

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora