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-Dove andiamo? - chiesi una volta saliti in macchina.
Gabriel sorrise al volante, senza distrarsi dalla guida. In sottofondo, una canzone voce e piano, che diventava il battito del mio cuore.
Non mi guardò, non mi rispose, ma il suo sorriso la diceva lunga.
-Dove? - insistetti, tenace come un mastino attaccato ad un osso.
Sbuffò, scuotendo la testa.
-Donna, sei testarda.
-Voglio sapere! - piagnucolai, ridendo.
-Perché vuoi saperlo? - chiese estenuato.
-Perché non amo le sorprese, sai, questo è il mio primo appuntamento e non sapere nulla non mi fa sentire tranquilla. Non perché non mi fidi – mi affrettai ad aggiungere – solo che sono una ragazza piuttosto schematica. Mi piace sapere le cose.
-Sei incomprensibile – commentò scuotendo la testa, sorrise, poi si arrese – Comunque non è niente di che. Non so neanche se va incontro a ciò che desideri. Se questa sera va storta, avremo altre sere per rifarci. Magari, se vuoi, posso portarti a vedere Titanic, quando uscirà al cinema. Oppure regalarti fiori, anche se appassiranno domani mattina. Non aspettarti magie, perché non le so fare. Un mio amico ha un locale. Andremo da lui, una cosa tranquilla.
-Bene – annuii soddisfatta. Rimasi in silenzio qualche secondo, poi, guardandolo di sottecchi, ammisi – non mi importa di andare a vedere Titanic. Anzi, io, quel film, lo detesto ancora prima di averlo visto, ne parlano tutti.
-Tutti sono ossessionati da Titanic, pensavo fossi nel gruppo.
-Io non sono tutti.
-Sai, sto lentamente capendo che non sei per niente come tutti gli altri – mi interruppe senza distogliere lo sguardo dalla strada.
Tuttavia, in modo del tutto assurdo e tempestoso, sentii i suoi occhi su di me.
-Non voglio dire che sono speciale o chissà cosa. Sono come tutte le altre. Anzi, mi sono sempre sentita un po' strana. Fuori dal gruppo. Ero sempre il pesce fuor d'acqua, quella che non entrava nel quadretto, il più delle volte facevo da tappezzeria, perché sono timida, impacciata, non so come comportarmi, non so mai che dire oppure parlo troppo, spesso mi sento come se vomitassi parole a casaccio e non è una bella sensazione, specialmente quando perdi il controllo di quello che stai dicendo, che poi è quello che mi sta succedendo ora – scoppiò a ridere, divertito – Non mi prendere in giro! Non ho mai avuto un ragazzo, non ho nessuna esperienza. Non sono una di quelle ragazze che sanno queste cose. Io non so niente. Sono solo una brava ragazza – sottolineai cocciutamente.
-Lo so che sei una brava ragazza. Non ho dubbi al riguardo.
-Ma sono stanca di esserlo – distolsi lo sguardo e strinsi i pugni – Perché, in generale, con l'essere "brava ragazza" si vuole intendere che sono prevedibile, accettabile, scontata. Carina, ecco la definizione che più detesto. Perché "carina" vuol dire banale e io non voglio essere banale. A dir la verità, io non sono affatto banale: io sono speciale, ma non speciale, nel senso di strana. - mi corressi sovrappensiero - Ho passato la vita a compiacere gli altri, a cercare con tutte le mie forze di entrare in quel quadro dal quale tutti continuavano ad escludermi e, onestamente, mi sono stufata di essere sempre ciò che gli altri si aspettano. Voglio diventare ciò che sono davvero. Voglio trovare qualcuno che mi faccia tirar fuori il mio lato selvaggio ed autonomo, perché, da qualche parte, so di averlo. Voglio trovare la mia strada, la mia natura, voglio trovare me stessa. Non voglio più essere cieca, o insensibile, o vivere come un automa. Voglio essere una ribelle, voglio divertirmi e pensare a me, solo a me. Ho voglia di fare pazzie, di vivere come una ragazza di diciassette anni, non come una quarantenne già frustrata.
-Scappa con me – disse all'improvviso.
-Cosa?
-Scappa con me – ripeté convinto – scappiamo, lasciamo tutto alle spalle. I problemi, i pensieri, facciamo uno zaino e partiamo, dobbiamo almeno provarci, anche se non so come andrà. Non so dove potremo andare, ma andiamo.
-Fai il serio – risi aggrottando la fronte.
-Io sono serio: sono divertente, indipendente, ho il mio stipendio, la mia macchina, sono figo, sono il ragazzo che tutte vorrebbero, ma, come tu non sei la principessa che tutti credono, io, in realtà, sono il figlio di un artista di strada, un vagabondo. Mio padre si guadagnava la vita per strada, se sono suo figlio, qualche talento da circo devo averlo per forza. Forse posso leggere nel tuo futuro, forse posso domarti, forse posso farti un incantesimo. Possiamo fuggire di notte, ti cali dalla finestra, ti aspetto e ti porto via. I tuoi impazziranno, forse ci faranno cercare, ma basta che mi tenga la mano e tutto andrà bene. Non posso lasciarti andare, non adesso che ti ho trovata e sei nella mia vita, perché vorrebbe dire rinunciare all'opportunità che le cose possano andare bene anche per me. Voglio che tu stia con me. Voglio proteggerti da tutto, da chi ha cattive intenzioni, dal male nel mondo, da chiunque possa ferirti. Voglio starti accanto e dimenticare il resto del mondo, tutto quello che è concreto, perché, quando stiamo insieme, noi viviamo sulle nuvole. La verità è che ti conosco da poco, ma quando sono con te, il mondo si ferma, quando sono con te mi sento come se non contasse altro. In pochi giorni, in pochissime ore, sei riuscita a cambiare tutta la mia vita, i miei gusti, quello che cercavo in una ragazza, prima volevo solo sesso, ora so che posso stare con te anche solo a guardare le stelle. Ma vorrei baciarti lo stesso. - sorrise, un po' sorpreso dalle sue stesse parole, un po' alla ricerca di una mia reazione -Basta che tu stia con me. Quindi, secondo me, dovremmo scappare insieme e farci una vita nuova, da qualche parte, in qualche posto. Potremmo fare la fame, potremmo essere poveri e non avere di che vivere, potremmo dormire anche sotto ad un ponte, so che non è una prospettiva rosea, ma almeno saremmo insieme. E questo sarebbe sufficiente, perché so che fino a quando saremo insieme, tutto andrà bene. So che il cielo sarebbe un limite per tutti, ma per noi solo un punto di vista.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora