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-Dove sei stata? - ripeté minaccioso, il tono di voce tagliente, ma bassissimo, di certo per non farsi sentire da mamma. Sentivo che cercava di controllarsi, di tenere alta la difesa e freddo il sangue, ma sentivo anche la rabbia montare, intrufolarsi rapida come un fiume in piena, che all'improvviso e senza avvisaglie tracima, travolge tutto e tutto distrugge.

Sentivo che, nel fondo della sua gola, la voce tremava e la sua rabbia, il suo rancore, il suo odio cieco era causato da me.
-Una passeggiata. Ho fatto una passeggiata – risposi alla minacciosa figura seduta sul mio letto, il pigiama addosso, l'aria estenuata per il nervoso, la delusione.

-Fino alle quattro di mattina? Uscendo dalla finestra? - chiese perplesso. Si alzò di scatto, venendomi incontro a grandi passi, mi prese per i polsi e mi scosse violentemente: - Pensi sia completamente stupido?
-No, non... non penso...

-No, infatti, a quanto pare non pensi, - disse, freddo – visto che ti ho pagato un'ottima educazione e, in teoria, dovresti essere dotata di un cervello funzionante, pensa bene a ciò che mi dici senza insultare la mia intelligenza: non mi farò prendere in giro da una ragazzina come te. Dimmi la verità, Chloé. Sai bene che non puoi fare altro che confermare quello che già so.

Prima di quel momento, papà non aveva mai alzato una mano nei miei confronti, non aveva mai nemmeno alzato la voce, perché non gli avevo mai dato motivo per farlo. Rimasi sorpresa dalla sua reazione, osservai stupefatta la mano stretta sul mio polso, una morsa che feriva, come qualcuno, solo qualche settimana prima, aveva lasciato marchi e lividi, poi lo guardai, sbigottita, sapendo che non potevo dirgli la verità, che avrei dovuto negare fino all'ultimo.

Se avessi ceduto, sarebbe stata la fine: se volevo restare in vita e provare ad uscirne indenne, dovevo tentare di aggrapparmi all'impossibile. Avrei dovuto mentire e negare fino all'ultimo, fino all'estremo, fino a quando non sarebbero cadute tutte le mie difese.
Non potevo semplicemente ammettere la verità: per come leggevo le sue emozioni chiare sul suo viso, stava per esplodere e io non dovevo in alcun modo dargli la possibilità di farlo.

-Non so cosa credi di sapere, la verità è che sono uscita, non riuscivo a dormire, ho fatto una passeggiata, non vi volevo svegliare e mi sono allontanata dalla finestra. È stata una cosa molto sciocca, ti chiedo scusa, ma... non vedo perché farne una tragedia. - mi arrischiai anche a fare un piccolo sorrisetto dolce, il sorriso che, in genere, lo conquistava e lo faceva pendere dalla mia parte - Sono qui, non è successo niente, credimi, mi dispiace se ti sei preoccupato.

Questa volta non accettò le mie scuse.
Non bastavano e, chiaramente, non erano credibili.
Mi diede uno schiaffo.
Rimasi senza fiato, con la testa voltata dall'urto, un po' per lo choc, un po' per il dolore, poi mi premetti una mano sulla guancia, sentendola rossa e dolorante, i capelli sul viso, a nascondere la mia espressione esterrefatta.
Era stato uno schiaffo forte, dato con rabbia, con il preciso intento di farmi male.
Non ero io, non era rientrare in casa, di notte, dalla finestra.
Era lui.
Era quella reazione spropositata, senza precedenti.
Era tutto in quello sguardo distorto dalla rabbia.
Era chiaro.
Lui sapeva tutto, ecco perché era così fuori di sé.
Nient'altro avrebbe potuto spiegare quella rabbia, niente avrebbe mai potuto infrangere il muro impermeabile che mio padre aveva costruito intorno a sé ed intorno anche a noi nel corso degli anni, creando un mondo tutto suo, dove lui era signore e padrone, dove non rimaneva niente se non l'eco della sua voce che dettava regole e dava ordini.
Lui sapeva di me e Gabriel: la sua figlia perfetta e il topo di fogna.
Lui lo sapeva, dannazione.
Trasecolai, facendo un passo indietro, il pensiero mi colpì ben più forte dello schiaffo che avevo appena ricevuto, perché ora non sapevo proprio che fare.
Non avevo via d'uscita, non avevo scampo.
Era venuto il momento di affrontare la realtà, anche se non sapevo dove avrei trovato il coraggio di guardarlo in faccia ed ammettere il mio amore per Gabriel.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora