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Un respiro, leggerissimo come la brezza primaverile che filtrava dentro a quella stanza, che in quel momento, pareva essere tutto il mio mondo.
Un respiro, profumato di menta, di uomo, di ragazzo, in pratica di tutto ciò che volevo, che era importante, che contava.

Un respiro, un brivido, un sussulto.

Un po' di paura.
Un po' d'ansia.
Anzi, no, tanta ansia: ansia da togliere il respiro, da far mancare il terreno sotto ai piedi, da far venire meno i sensi, ansia come si poteva provare la notte prima di un esame importante, come quando dovevi parlare davanti ad una vasta platea con grandi aspettative e sentivi solo sabbia nella bocca, come dover compiacere genitori troppo esigenti e fallivi miseramente.

Il fiato trattenuto a stento, anche solo per non subire quell'alito fresco che aveva tolto il rossore dal mio viso, sostituendolo con un brivido.
Uno di fronte all'altro, come se dovessimo affrontare un match di pugilato.
Narici dilatate, un po' per respirare meglio, altrimenti sarei svenuta, un po' perché il suo profumo riempiva i miei polmoni di aria nuova. Un po' perché i miei stessi polmoni mi sembravano diventati piccoli come la cruna di un ago, piccoli come l'occhio piccolo di una pulce, piccola come la stella più piccola lontana, che brillava nel cielo quella notte.

Labbra protese, gonfie, perché sapevo che il sangue affluiva nei punti più critici, quindi, oltre alle labbra a canotto, sentivo la punta delle dita formicolare e altre parti del corpo a cui non potevo materialmente prestare attenzione, come il petto, come la punta dei piedi, le orecchie, ogni singolo muscolo dello stomaco, come il cuore che batteva ad un ritmo impossibile.

Beh, forse, quello si poteva spiegare col fatto che mi stava venendo un infarto.
La gola chiusa, incapace perfino di ingoiare il respiro che avevo appena inalato, che poi era il suo, perché eravamo così vicini da sentire ogni singola emozione ci attraversasse.
Il cuore in gola, batteva così forte che sicuramente l'intero vicinato si era svegliato a quel battito forsennato, assurdo, incontrollabile, che sentivo nel petto, nelle orecchie, perfino sulla punta dei piedi. Un battito in circolo, in susseguire, in piccoli sussulti che diventavano, via via, sempre più forti, potenti, inaccessibili, inarrestabili.
Lo stomaco attorcigliato, in un'assurda combinazione di nausea, vomito, eccitazione, paura, attesa, felicità cieca, ottusa, spaventata, incontrollabile, pazzesca, adolescenziale, rossa, no, di tutti i colori dell'arcobaleno, perché lo stomaco si contorceva e mi faceva provare ogni sensazione possibile, tutta una gamma diversa, indecifrabile, alle quali neppure il vocabolario che avevo ingoiato poteva dare un nome ben preciso.
Le ginocchia che tremavano, tremava tutto, tremava l'intero palazzo, fino alle fondamenta: tremava il mio mondo, perché nessuno mi aveva mai stretta così, nessuno mi aveva mai fatta sentire più felice, inerme, tremante, incapace, inadatta e non all'altezza, ma in senso buono.
Senza speranza.
Senza senso.
Del tutto innamorata di lui, persa, andata, partita.
Potevano dirmi tutto, dirmi che era il peggiore, quello sbagliato, quello che non faceva per me, non adatto, non raggiungibile, che portava solo guai, che mi avrebbe condotto alla rovina, avrebbe spezzato il mio cuore, mi avrebbe lasciata prostrata sulla nuda, fredda terra, avrebbe giocato coi miei sentimenti, perché lui era un uomo e io una ragazzina alle prime armi.
Eppure...
Eppure, restavo perdutamente ed innegabilmente innamorata di lui.
Si poteva morire d'amore?
Forse il cuore scoppiava e si moriva, tutto lì, freddo, asettico, un boom e nient'altro, niente sentimenti, solo il buio, nudo e crudo.
Forse erano solo troppi sentimenti, tutti insieme.
E sapevo di non poterli gestire.
Avrei voluto farlo, ma, sorpresa sorpresa, non ero all'altezza, quindi stavo per morire.
Forse era una di quelle cose che succedevano solo nei libri d'amore, quelli venduti in rigorosa edizione economica, con ridicole illustrazioni sulla copertina, in cui un lui molto muscoloso e, in genere, parecchio oliato, teneva tra le braccia una lei molto bella e fragile, quasi sul punto di spezzarsi, se solo lui non l'avesse sorretta. Ma tutti sapevano che l'avrebbe sorretta, quindi le cose si sarebbero risolte per il meglio.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora