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Chiusi occhio, quella notte?
Ovviamente no.
Mi rigirai nel letto come quando la cameriera di turno friggeva la cotoletta in padella.
Come immagine non è delle migliori, lo so, ma in questo momento ho solo fame.
E voglia di cotoletta.
E di vedere cosa sarebbe successo, se quel bacio non si fosse interrotto sul più bello, quando ero pronta a dargli me stessa, la mia verginità, il mio cuore, tutta la mia vita.
Mi voltai di nuovo, scalciando con rabbia le lenzuola ai piedi del letto.
Comunque rimasi sveglia tutta la notte.
Ore e ore a ripensare a ciò che era successo.
Alla serata che aveva organizzato per me.
Il locale deserto, tutto per noi.
Le candele accese.
La musica, meravigliosa, in sottofondo.
Patatine, vino rosso e coca cola.
Un lento abbracciati.
Mille baci, ancora mi facevano male le labbra.
La frustrazione e la paura di non essere all'altezza.
Poi lui che mi schiacciava contro la portiera, che mi toccava come nei film e ancora sentivo le sue mani addosso, come se mi avesse segnata col fuoco e non con la punta dei polpastrelli.
La sua voce, un sussurro roco contro il mio collo bianco, mentre il fiato mi si bloccava nei polmoni. Sorrisi al pensiero, arrossendo e coprendomi con le lenzuola dal resto del mondo, quasi qualcuno mi potesse vedere davvero ed intuire i miei pensieri.
Proprio in quel momento, l'interfono (sì, avevamo un praticissimo interfono che collegava tra di loro tutte le stanza della villa, quasi fosse uno sforzo eccessivo parlarsi di persona), dopo un sommesso ronzio, trillò:
-Sì? - chiesi con la voce ancora impastata di sonno e, in effetti, avevo dormito solo pochissime ore, una rapida occhiata allo specchio me lo confermò, impietoso e concreto: altro che sogni d'oro o sogni ad occhi aperti, quelle erano occhiaie e, quella mattina, ero un vero incubo.
-Scusa se ti ho svegliata presto – per mamma le undici era un orario decisamente antelucano, quindi non mi sorpresi della premessa – riusciresti ad essere pronta a scendere tra una mezz'ora? C'è una persona che vorrebbe portarti fuori a pranzo.
Pensai subito che i miei genitori avessero deciso di organizzarmi un incontro con uno psicologo per elaborare il lutto della morte di mio fratello: era tipico loro decidere qualcosa che mi riguardava e mettermi di fronte al fatto compiuto, spalle al muro, senza alcuna possibilità di fuga.
Ero stata strappata da mio fratello e dalla mia vita milanese per seguire il loro desiderio di un'educazione all'estero, ero tornata a casa, abbandonando tutto ciò che avevo costruito e che mi legava alla Svizzera (cose che avevo creato per volontà loro), per stare con al loro fianco, anche se non li vedevo mai, anche se a malapena si accorgevano della mia esistenza.
Ma, malgrado tutto, non potevo dire di no, al momento, alle loro richieste non c'era una risposta alternativa ad un'affermazione positiva a capo chino.
-Assolutamente – risposi, passandomi una mano sul viso.
Speravo solo che quell'incontro si risolvesse velocemente, mi vestii per bene, con cura, per evitare qualsiasi conversazione di qualsiasi tipo sulla mia sciatteria: un bel vestitino rosa antico, con la gonna a palloncino e le maniche a sbuffo, un paio di scarpe dal tacco alto, la borsetta in tinta, mi truccai leggermente per nascondere i segni di una notte quasi in bianco e pettinai i capelli in una coda alta, che mi conferiva un'aria ordinata e, al tempo stesso, delicata.
Scesi le scale facendo attenzione a non scivolare col sedere per terra, così poco abituata ai tacchi, entrai in sala con un sorriso sulle labbra che si spense in fretta: mamma stava parlando con un ragazzo poco più grande di me, che di certo non era uno psicologo o uno psichiatra.
Aveva capelli curati, un bel sorriso, era alto ed elegantissimo, giacca nera e cravatta in tinta su una camicia bianchissima, quasi immacolata, unica concessione sportiva: un paio di jeans stirati, di un serio blu scuro. Stivaletti di pelle scura, all'ultima moda.
-Chloé, lui è Daniele, te lo ricordi? È il figlio di Sara e Michele, il socio di papà – lo osservai come si osserva un alieno o una creatura uscita dall'inferno. Poi spostai lo sguardo su mia madre, cercando di capire le sue intenzioni. Lei sorrise, divertita dalla situazione e felice di vedermi vestita come una signorina e non come un maschiaccio senza educazione – Visto che non hai amici, qui a Milano, abbiamo pensato di chiedere a Daniele di portarti fuori a pranzo. È un ragazzo meraviglioso, sono certa che andrete molto d'accordo.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora