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Il ragazzo se ne accorse subito, vide l'ombra che mi attraversava il viso, annullando il sorriso ebete che avevo stampato in faccia e ogni pensiero positivo, e capì di aver perso la mia fiducia di colpo, con un gesto rapace, mi afferrò per un polso e mi trascinò bruscamente dentro all'ennesima stanza buia. Si chiuse la porta alle spalle così in fretta che non feci nemmeno in tempo ad aprire bocca, a fiatare o opporre resistenza: tutto troppo veloce, troppo scioccante, troppo inatteso.

La stanza era immersa nella penombra della poca luce che filtrava dall'esterno attraverso la porta- finestra chiusa, nascosta da una tenda di leggero cotone bianco. Muovendo disperata gli occhi da un punto all'altro della stanza alla ricerca di una via di fuga, notai un letto, un armadio socchiuso e un tappeto verde, dal soffitto pendeva un lampadario di cristallo, che rimase tuttavia spento.

Niente che potesse aiutarmi a scappare.
Mentre cercavo un'impossibile via di fuga, mi spinse violentemente contro al muro, sbattei la nuca, ma quel dolore, piuttosto che intorpidirmi, risvegliò tutti i miei sensi, mettendoli in allerta: da qualche parte, nella memoria, ricordai che al collegio ci avevano fatto frequentare un corso di autodifesa, non dovevo fare altro che ripensare agli insegnamenti e mettere k.o. quella montagna di muscoli, poi avrei potuto capire chi fosse, cosa diavolo volesse da me e perché si stesse comportando come un vero maniaco sessuale.
Tentai di alzare le braccia per portargliele al collo, proprio come pensavo mi avessero insegnato, ma non si fece cogliere di sorpresa, forse ero stata troppo lenta e prevedibile, forse quella tecnica non era esattamente quella che mi avevano insegnato al corso o forse era troppo grosso per il mio fisico minuto, perché mi bloccò con un solo braccio entrambe le mani contro al muro, con la mano libera mi prese il mento, coprendomi il collo con il palmo aperto fino a poco sopra la carotide, avvicinò il viso a due centimetri dal mio e sentii, orribile e nauseabondo, il suo fiato pesante di alcool e troppe sigarette.
-E così tu sei la preziosa sorellina di Claudio... – girai di scatto il volto, almeno per evitare quel fiato disgustoso, visto che altri movimenti erano impossibili. La presa sul collo non era forte, ma sufficiente a farmi mancare il fiato.
Tentai di alzare una gamba per colpirlo all'inguine, ma non riuscii a muovere un muscolo, perché mi premeva troppo forte contro al muro: quelle braccia robuste non mi permettevano di respirare, di pensare, di coordinare le azioni e i pensieri.
Avrei voluto rispondergli o insultarlo, avrei voluto gridare con tutto il fiato che mi restava nei polmoni, ma il respiro era corto e mi resi conto, con orrore, che ero paralizzata dalla paura e, anche volendo, non sarei riuscita a muovere un muscolo.
Non sarei riuscita a dire nulla, quasi a respirare, tanto che emettevo piccoli singulti, come qualcuno che sta soffocando.
Stavo soffocando?
Oddio, stavo soffocando e a malapena me ne rendevo conto!
Non mi era mai successo niente del genere, prima, nessuno mi aveva mai messo le mani addosso, nessuno mi aveva neppure mai sfiorata con un dito in quel senso e non riuscire a capire perché quel ragazzo si comportasse così con me mi spaventava ancora di più.
Era pazzo?
Aveva qualche conto in sospeso con mio fratello?
Con Gabriel?
Perché mi trattava così, non si rendeva conto che mi stava spaventando?
Non gli avevo fatto nulla di male, non mi interessavano gli odi radicati nel tempo che dovevano legarlo, in modo contorto e assurdo, a mio fratello, a Gabriel, alle nostre vite e, infine, a me stessa: non sapevo nemmeno chi fosse...
Volevo solo mi lasciasse andare, volevo solo respirare.
La mia mente annaspava in cerca di risposte, così come i miei polmoni cercavano ossigeno: mancavano entrambi, come mancava la razionalità di mettere a fuoco l'intera situazione.
Anzi, forse l'assenza di ossigeno faceva sì che non mettessi più a fuoco quello che mi stava succedendo. E non era un buon segno, non era un bel segno affatto.
-Lasciami andare, ti prego, mi stai facendo male – dissi con una vocina sottile e spaventata la cosa più scontata del mondo, la frase che avevo sentito dire mille volte, in quelle occasioni, nei vari film o telefilm alla televisione, dando della sciocca alla stupida protagonista per aver detto una banalità, esattamente ciò che si aspettavano tutti che una donna in difficoltà avrebbe detto.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora