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-Sono morta, Maria. Io stasera sono morta.

Mi aiutò a spogliarmi, lavarmi ed infilarmi il pigiama.

Mi aiutò perché io ero in uno stato di choc e confusione tali che, probabilmente, avrei finito per fare qualcosa di molto impulsivo. E sciocco.

Piansi disperatamente, come non avevo pianto nemmeno per la morte di Claudio.

In realtà, quella sera, piangevo la mia stessa morte.

Ero fatta.

Finita.

Era tutto finito.

Andata, l'ultima speranza di essere felice.

Non avevo via di fuga.

Non avevo scampo.

Ero la classica brava ragazza, la figlia che tutti avrebbero voluto, la bimba studiosa, dolce, con gli occhioni blu, che sorrideva ed era così coscienziosa, brillante ed intelligente, non meritavo tutto quel dolore.

Abbracciai il cuscino, singhiozzando senza nessuna vergogna: Maria poteva tranquillamente vedermi piangere, ormai non importava. E, comunque, non sarebbe stata la prima volta.

Niente più importava: se la terra si fosse aperta e mi avesse inghiottita, non sarebbe importato.

Potevo tranquillamente morire quella stessa notte e, forse, sarebbe stato meglio.

Domani sarei partita, chissà quando sarei tornata a Milano.

Chissà come sarebbe stata la mia vita, da domani.

Niente più al mondo importava.

Quello sguardo duro, quegli occhi di ghiaccio, il freddo gelo che era calato quando avevo chiesto pietà, aiuto, comprensione... mi avevano lasciato un segno sulla pelle e nel cuore per sempre.

Aveva semplicemente girato il viso dall'altra parte, aveva voltato lo sguardo, non esistevo più nella sua vita, ero scomparsa, ero annullata, ero zero.

Come si sarebbe scusato, con la propria coscienza, l'indomani mattina?

Cosa si sarebbe raccontato?

Come avrebbe potuto dormire?

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora