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Dopo aver affidato Samuele alla segretaria alla reception, Gabriel si prese la giornata libera e, un po' goffamente, ci avviammo a prendere un caffè.
Un po' goffamente, perché, malgrado fosse percepibile che tra di noi ci fosse un'alchimia speciale, erano comunque passati diversi anni, non poteva semplicemente impossessarsi delle mie labbra, baciarmi e farmi sua come avrebbe fatto prima.

Camminammo fianco a fianco, senza essere in grado di sfiorarci, per paura che, toccandoci, avremmo preso fuoco.
Se avessi potuto, avrei toccato il suo braccio nudo, pieno di tatuaggi, anche solo per controllare se le mie iniziali fossero ancora lì, dove le avevo lasciate l'ultima volta.

Se avessi potuto, avrei passato la mano tra i suoi ricci, per avere la conferma che la sensazione fosse sempre quella, come mangiare le nuvole, come quando il cuore scoppiava di gioia, per una sensazione positiva troppo forte da gestire, come accarezzare le ali degli angeli.

Se avessi potuto, gli avrei detto che, nei momenti peggiori della mia vita, mi era bastato pensare a lui, per sorridere. Che era stato la mia forza, la mia ispirazione, l'appiglio al quale mi ero aggrappata con le unghie e con i denti, ogni volta che ero scivolata, caduta, mi ero ferita.

Se avessi potuto, gli avrei detto che nessuno al mondo mi aveva mai amato come lui, ma che, al mondo, nessuno l'avrebbe mai amato come me e, pertanto, ero riemersa dall'ombra. Per renderci felici e darci un'altra possibilità.
Se avessi potuto, gli avrei anche solo tenuto la mano in silenzio e mi sarebbe bastato, perché, dopo essere stati così distanti, anche un semplice tocco sarebbe stato magia.

Ma non dissi nulla e non feci nulla, perché il semplice stargli accanto era, di per sé, già una vera benedizione.

Tenni, quindi, le braccia conserte, strette al petto, giusto per soffocare la tentazione selvaggia di saltargli al collo.

Lo avevo amato fin dal primo momento in cui l'avevo visto, lo avevo amato e mi aveva insegnato ad amarlo, lo avevo amato quando ci avevano separati, per tutti gli anni in cui eravamo stati lontani, lo avrei amato per ogni giorno che mi restava da vivere: il mio amore per lui era qualcosa che era destinato all'eternità, perché, nonostante tutti i fiumi tortuosi, gli ostacoli, nonostante la paura, le incertezze, nonostante le difficoltà, le negazioni, nonostante mio padre, la sua vita sconsiderata, il mio essere patetica ed inadeguata.. eravamo lì, ad un soffio l'uno dall'altra e sapevo con una certezza matematica che niente al mondo ci aveva mai davvero allontanati: in un modo molto buddista e surreale, in realtà, io e Gabriel eravamo rimasti insieme da sempre.

Di tanto in tanto, nel silenzio di quella tarda, pigra, mattinata, ci lanciavamo sguardi sornioni, giusto per accertarci che stesse davvero accadendo, che fossi lì, che fosse lì, che fossimo ad un palmo di distanza l'uno dall'altra.
-Sto ancora cercando di capire se è vero o se è un altro sogno – disse alla fine, trattenendo un sorriso e scuotendo la testa, ancora incredulo.

-È vero, se vuoi, per provare, puoi darmi un pizzicotto – risposi, arrossendo come una bambina.
-Nei miei sogni è successo tante volte – si morse un labbro e mi guardò di nuovo, per accertarsi che fossi ancora lì – Mi sembra così irreale, mi sembra come se, di punto in bianco, la sveglia mi strappi di nuovo da questa sensazione.
-Quale sensazione? - chiesi aggrottando la fronte.
-Quella di essere ad un passo dal tenerti la mano e sentire ancora la tua pelle, per poi vederti scivolare via nel nulla.
-Non me ne andrò. E, se vuoi – sussurrai, timidamente – puoi prendermi la mano, vedrai che non svanirò.
Tese all'improvviso una mano grande e forte verso di me e prese la mia piccolissima, stringendola. Trasse un respiro, come se avesse trattenuto il fiato a lungo:
-Non te la prendere se non ti lascerò la mano per molto, molto tempo, è l'unico modo che ho per tenerti stretta, se mai dovessi scivolare via. Non ti lascerò andare un'altra volta, adesso che ti ho qui con me. Abbassai gli occhi, arrossendo ancora di più.
Mi sistemai una ciocca di capelli dietro all'orecchio e mi mordicchiai il labbro.
-Non andrò da nessuna parte. Qualsiasi cosa succeda, ora sono qui.
-Mi sembra impossibile – disse aprendo la porta di un bar qualsiasi, ci sedemmo, ordinammo ad una cameriera che guardò Gabriel con occhi interessati e famelici, mentre lui non distolse lo sguardo da me, facendomi sentire il centro del suo mondo, come aveva sempre fatto, facendomi sempre sentire come la cosa più importante che gli fosse mai successa – dopo tutto quello che è successo, dopo tutti questi anni...

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora