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-Gabriel fermati, lo stai uccidendo! - mi trascinai come un marine a pezzi, ginocchia e gomiti, fino a lui, buttandomi al suo fianco, in tempo per bloccare il suo braccio pronto a calare feroce sulla faccia del malcapitato. Le mie piccole dita avvolsero l'avambraccio di Gabriel all'ennesimo pugno alzato e mai avrebbero potuto trattenerlo, se non si fosse coscientemente fermato di colpo, rivolgendomi uno sguardo trasognato, sfigurato, quasi l'avessi risvegliato da un bel sogno e non da un proposito omicida.

Avevo lacrime agli angoli degli occhi, in un misto di choc, paura e sbigottimento, ero scarmigliata e mi si era rotta una spallina del vestito, che trattenevo a stento con la mano libera, Gabriel mi guardò stravolto, facendo fatica a riconoscere in me la ragazza che aveva lasciato ad aspettare contro la carta da parati verde solo qualche minuto prima.

Venti minuti e le nostre vite erano stravolte, passando dalla pura perfezione di un sogno quasi irreale al dramma totale, sangue, lacrime e minacce.
Evidentemente, era così che funzionava, se avevi a che fare con Gabriel.
Lo guardai incapace di riconoscere il ragazzo che avevo frequentato negli ultimi due giorni: sul suo viso l'espressione cambiò da rabbiosa a sorpresa, fino a diventare una maschera di sensi di colpa sulla quale non leggevo nulla se non vergogna e rammarico.

Lui, al contrario, leggeva chiara e tonda, come se fosse stata tatuata sulla pelle, la mia paura, il disgusto e il rimprovero che non riuscivo a celare, per quanto sapevo mi avesse salvata, per quanto gli potessi essere riconoscente: non c'era una giustificazione per quella violenza.
Non era umana.

Non ero abituata.
Non risolvevo così i miei problemi.
Per quanto quel ragazzo mi avesse terrorizzata e maltrattata, non volevo certo che morisse, ma i pugni di Gabriel avevano ridotto la sua faccia un pasticcio futurista.
E, adesso che mi guardava, sapeva che avevo paura di lui.
Spostai, inorridita, il mio sguardo dal suo viso al ragazzo che ormai giaceva esanime al suo fianco: una maschera tumefatta, completamente privo di conoscenza, il naso rotto, la bocca aperta grondante sangue, gli occhi cerchiati di nero e poi tutto quel sangue, sangue ovunque, sangue, sangue, sangue in schizzi e macchie, sangue schizzato, sangue ormai sul punto di coagularsi, sangue fresco, rosso come solo il sangue fresco poteva essere.
Odiavo il sangue.
-Perché ti sei allontanata? - ruggì come un leone, a pochi centimetri dal mio viso. Mi prese per l'avambraccio, stringendomi forte, ricaddi all'indietro, pesantemente, sul mio sedere, ancora dolorante per la caduta di poco prima.
-Scusa... io... - balbettai presa in contropiede. Strattonai il braccio, cercando di liberarmi: dovevo andarmene, dovevo scappare da tutta quella violenza.
Ormai non sapevo più di chi potessi fidarmi, quindi, tanto valeva fidarmi solo di me stessa.
-Ti avevo detto di non farlo! - gridò senza mollare la presa, fuori di sé dalla rabbia – Non hai idea del pericolo che hai corso!
-Mi dispiace – mormorai sull'orlo delle lacrime. Gabriel, trasfigurato ed incurante del mio stato d'animo, sbatté un pugno sul pavimento, le nocche intrise di sangue.
Lo stomaco mi si contorse, sentii nausea fortissima montarmi dalle viscere, mi premetti una mano sulla bocca e distolsi lo sguardo, inorridita da tutto quel sangue rosso che, col passare dei secondi andava inscurendosi in varie tonalità di marrone.
-Andatevene – disse Alex alle nostre spalle, alzai il viso e lo vidi sulla soglia della camera: nessuna espressione sul volto, quasi stesse guardando la scena di un film qualsiasi in televisione, se non un leggero disprezzo stampato sul viso.
E quel disprezzo non era per Gabriel, per la sua violenza e per il gesto tremendo che aveva appena compiuto, ma per il ragazzo che restava svenuto al nostro fianco.
Era assurdo.
Era inconcepibile.
Erano tutti fuori di testa.
Gabriel aveva quasi ammazzato una persona e nessuno era intervenuto.
In che diavolo di pasticcio mi ero ficcata?
Ma non avevo tempo per moralizzare o giudicare, Gabriel si alzò di scatto e, senza lasciare la presa sul mio braccio, mi aiutò bruscamente a rimettermi in piedi:

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora