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-Non sai nulla di lui? - chiesi a bassa voce, cercando di leggere sul suo volto un cenno che potesse tradirla: se sapeva qualcosa sul destino di Gabriel, avrebbe dovuto dirmelo, me lo doveva.

-No – rispose e, malgrado il suo viso imperturbabile, sapevo che era sincera.

-Non sai niente di un incendio?

-Un incendio? - chiese tentando di sgranare gli occhi – Di che parli? Spiegami, dimmi...

-L'officina di Gabriel è stata distrutta da un incendio subito dopo la mia partenza, ne sai qualcosa? Mamma, ti prego, sii sincera...

-Ma di che officina parli? - aggrottò, ok, tentò di aggrottare, la fronte e seppi che era all'oscuro di tutto.

D'altronde, perché papà avrebbe mai dovuto coinvolgerla nei suoi loschi affari?

Lui aveva un modo molto privato e personale di agire, la famiglia era quasi sempre rimasta all'oscuro dei suoi affari e questo era stato anche il motivo che, quando l'azienda era fallita, mamma era caduta dalle nuvole, mentre io, semplicemente, avevo alzato le spalle.

Sempre che papà avesse un ruolo nell'incendio che aveva distrutto l'attività dello zio di Gabriel.

Cosa sulla quale avrei dovuto decisamente indagare.

-Lascia perdere. - scossi la testa, agitando una mano. Non valeva la pena parlare di Gabriel: per mamma era irrilevante, mentre, per me, era tutto il mondo - Dimmi di papà. Raccontami di lui.

Mamma inspirò a fondo, appoggiando la schiena alla poltroncina comoda, foderata di velluto verde: sapeva che quel momento sarebbe arrivato e ora doveva affrontarlo.

-Io... - alla ricerca di parole, come di aria, chiuse gli occhi e si morse un labbro gonfio di silicone.

Guardai mia madre, la bambola di plastica che era diventata e mi fece pena. Non c'era rabbia, rancore o riprovazione in ciò che vedevo: solo rammarico, dispiacere, per l'essere infelice ed inseguito da fantasmi che non riusciva a scacciare. Scosse la testa di capelli biondi e proseguì – non sono stata la migliore delle mogli. Sai che ho tradito tuo padre, non una volta sola. Non importano i dettagli. Sono stata, probabilmente, la peggiore delle mogli. Non mi giustifico. Ad un passo dalla tomba, non posso farlo: ho imparato che la cosa più difficile che si può fare è ammettere la realtà dei fatti. Mi sono giustificata tutta la vita e ora, con te, voglio essere sincera. Ero infelice, anche se avevo tutto. Volevo di più. Avevo un vestito costoso? Ne volevo uno che costasse ancora di più. Facevo una vacanza all'estero? Dovevo essere quella che andava più lontano di tutti. Ero sposata? Non dovevo per forza essere fedele: ero bella, giovane, perfetta, potevo avere qualunque uomo avessi voluto. Avevo figli? Non li volevo davvero. Li avevo fatti solo per rendere felice l'uomo che mi manteneva. Io volevo divertirmi. Ma la vita non è ciò che si desidera, la vita è ciò che si ha. E io avevo tutto. Solo che non lo sapevo, non lo capivo. Non so. - chiuse lentamente gli occhi, sopraffatta dalle emozioni, poi, li riaprii. Inspirò a fondo. Alzò le spalle: - Sono stata cieca, stupida, insensibile. Ho bevuto tanto. Mi sono fatta. Di tutto. Coca, acidi, psicofarmaci, tranquillanti, allucinogeni, crack, erba. Non ho mai provato l'eroina solo perché avevo il terrore delle siringhe. Ma, del resto, ho provato di tutto. Tutto. Tuo padre mi consentiva tutto e io tutto facevo. All'epoca ci sentivamo onnipotenti: credevamo davvero che ci fosse concesso tutto. Se gli avessi chiesto di tagliarsi le vene, lo avrebbe fatto, avrebbe fatto tutto per me. E, così, mi sono persa diversi anni, che avrei potuto passare con voi. Quando ero incinta di te, mi sono fatta così tanto che sono finita all'ospedale. Che donna può permettere una cosa del genere? - una lacrima scorse sulla sua guancia aguzza.

Non potei fare a meno di chiudere gli occhi e sussurrare:

-Va avanti.

-Quando Claudio è morto, quando te ne sei andata...

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora