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Gabriel mi prese sotto braccio, protettivo e dolce, anche un po' sorpreso dalla mia reazione tutt'altro che remissiva:
-Stai bene? Ti prego, dimmi che stai bene. - chiese prendendomi il viso tra le dita, cercando i miei occhi. -Sto bene, ma ormai sono stanca di trovarmi questo tizio costantemente addosso. La cosa inizia a diventare molto fastidiosa – gli confermai con un sorriso rassicurante, cercando di alleggerire la tensione – Adesso dimmi come facevi a sapere che mi avevano portata proprio qui.

-Ovviamente non ti sei accorta che, dalla sera della festa a casa di Alex, c'è sempre uno dei miei amici che controlla la situazione. Ti segue, fa in modo che le cose vadano nel verso giusto, che tu riesca sempre ad arrivare a casa, a chiuderti la porta alle spalle. Di notte ti faccio controllare, perché non arrivi nessuno di nascosto ad intrufolarsi in casa tua – mi aprì la portiera della macchina, mentre ancora cercavo di capire le sue parole – stasera, c'era Alex, ha visto tutto, ma non ha fatto in tempo ad intervenire, prima di oggi, non si erano mai presentati in tre, mi ha avvertito dal suo cellulare, mentre vi seguiva a distanza. Saremmo dovuti arrivare prima, ma ci abbiamo messo un po' ad organizzarci. In realtà, avevamo un'idea su dove ti avrebbe portata, perché loro si trovano sempre lì. Mi spiace averci messo tanto. Mi spiace abbia dovuto... subire quello che hai subito.

-Cioè... - rimasi in silenzio qualche secondo, senza sapere come elaborare una domanda ben precisa, ancora in cerca di aria per respirare ed espirare fuori dai polmoni una puzza che mi turbava e sconvolgeva lo stomaco.
-Andiamo, "cioè" non è una risposta da te – fece un mezzo sorriso storto, dandomi un bacio lieve tra i capelli.

-Mi hai fatta pedinare fino ad oggi? - chiesi sgranando gli occhi.
-Così sembra una roba da maniaci. - si giustificò a disagio - Volevo solo prendermi cura di te. Ti avevo promesso che ti avrei protetta, no?
-Grazie – dissi semplicemente, arrossendo. Mi aveva salvato la vita, ancora una volta. Mise in moto la macchina, sgommando via quasi avessimo alle calcagna l'inferno e tutte le anime dannate pronte ad aggredirci, per trascinarci negli inferi – grazie per tutto ciò che fai per me.
-Lui non ti avrebbe preso di mira, non fosse stato per me: sono responsabile. Mi sento in colpa. Ma, dopo stasera, non ti darà più fastidio, ne sono certo.
-Non è che lo ammazzate, vero? - chiesi preoccupata.
-Sei talmente adorabile che ti preoccupi di qualcuno che ti rapisce, - scosse la testa, sorpreso - ti maltratta e ti mette le mani addosso.
-Gabriel, la verità è che vorrei solo che questa violenza cessasse. Non so cosa di preciso l'abbia causata, di chi sia la colpa, ma, conoscendovi, non credo sia qualcosa che possa essere risolto razionalmente. Non è normale, ti rendi conto? Io non so niente di voi, delle vostre beghe o faide o come cavolo definirle, stavo tornando a casa dal mio corso di portoghese, ascoltavo gli Skunk Anansie e mi facevo un film tutto mio con la canzone, camminavo a testa bassa, non li ho visti né sentiti arrivare, e, all'improvviso, come un falco dall'alito pesante e dalla scarsa considerazione per l'igiene, me lo ritrovo addosso. Mi minaccia, mi carica su una macchina e mi porta non so dove, poi mi tocca, mi tira, mi spinge, ma che diamine... ma che cosa gli passa per la testa? Ma in che mondo vivete? Che problemi avete? Lui... mi ha fatto mettere in ginocchio e non so cosa sarebbe successo, se non fossi arrivato. No, - mi corressi bruscamente - la verità è che so benissimo cosa sarebbe successo, non sono così ingenua come pensano tutti, solo che preferisco non pensarci perché ... - mi interruppi, vedendo la presa di Gabriel sul volante diventare una morsa, più che una presa. Stava per scoppiare, non avrei dovuto mettere brace sul fuoco, avrei dovuto placare quel fuoco, fino a spegnerlo. Non sapevo come fare, ma, almeno, avrei dovuto tentare - Ma sto bene. Sto benissimo. Non ti devi preoccupare. Alla fine non è successo niente di grave.
-Non mi trattare come un idiota – disse seccato.
-Non ti tratto come un idiota – risposi piccata – ti voglio rassicurare. Non voglio ti preoccupi, non... non ne vale la pena, perché sto bene.
-Stai bene, ma avresti potuto stare molto male.
-È vero - gli concessi, appoggiando una mano sulla sua, cercando di calmarlo – oggi ho rischiato più di quanto abbia mai rischiato in tutta la mia vita. Ho rischiato più che se avessi deciso di correre bendata in autostrada, all'ora di punta. O di buttarmi in acqua dopo uno dei pranzi letali di mia zia Gabriella. Ho avuto molta paura, ma sei arrivato tu e hai sistemato le cose. Come sempre. Sono sicura che non tornerà, per qualche ragione, usare la minaccia degli scagnozzi di mio padre penso sia servito. Ormai ha capito che non gli conviene. Specialmente se tutto finisce qui, possiamo chiudere la faida così? Avete vinto voi. -Non è una questione di chi vince, o chi perde. Se tocchi qualcosa che mi sta a cuore, io devo reagire. La devi pagare. - rispose, come se non potessi capire la logica dei suoi discorsi. E aveva ragione, perché non la comprendevo.

-Ma io sto bene. Avete dato loro la lezione che si meritano. Probabilmente di più – aggiunsi sovrappensiero - adesso basta. Basta con le provocazioni. Basta con i dispetti. Basta con tutto. Altrimenti farete la fine di quelle famiglie mafiose che si fanno fuori fino all'estinzione, tipo il Padrino. Sorrisi, cercando di sembrare rassicurante, eppure, un'ombra velò il mio sorriso, perché c'era qualcosa che gli dovevo chiedere, anche se non sapevo come farlo, come formulare la domanda.

Lui, tuttavia, se ne accorse.
-C'è qualcosa che mi vorresti chiedere?
-Non so come chiedertelo – ammisi, cercando di essere il più sincera possibile.
-Dimmelo e basta.
-Tu, i tuoi amici... voi non avete mai fatto niente del genere... - non era una domanda, più che altro, una supplica.
Gabriel aprì le braccia, spazientito:
-Non è che se uno ha a che fare con gente di quel tipo, finisce poi per fare le stesse cose.
-Non..
-La domanda è legittima, ma no. Non abbiamo mai fatto niente del genere. Non abbiamo mai minacciato, stuprato, spaventato, aggredito nessuno. Neanche i singoli elementi coinvolti. Tanto meno le loro ragazze, sorelle, amiche. Non lo faremmo mai, non lo avrei mai permesso, anche se qualcuno l'aveva proposto. Il massimo che abbiamo fatto è stato spaccare qualche parabrezza, noi ce la prendiamo con gli oggetti, non con una ragazza che non ha nessuna colpa. Non vorrei vedere nessuno come ho visto te, per ben due volte, così spezzata, così indifesa.
-Non sono indifesa – obiettai, intrecciando le dita della mia mano tra le sue.
Lui sorrise debolmente, dolce, bellissimo, il ragazzo di cui mi ero innamorata e che mi aveva salvato la vita due volte, nel giro di pochissimi giorni.
Poi, un pensiero l'adombrò:
-Non posso pensare a ciò che stava per farti...
-Non ci pensare, non ci penserò neanche io. Sei arrivato al momento giusto, come sempre – rabbrividii al solo pensiero di quell'odore, del suo sguardo da pazzo, della polvere, poi, un altro pensiero mi trafisse: - devo avvisare i miei: saranno morti di paura. E devo, in fretta, trovare una scusa plausibile per giustificare la mia assenza.
Fermò la macchina alla prima cabina telefonica, estrassi qualche moneta dal portafoglio e digitai il numero di casa, cinque squilli, poi sei, sette, alla fine mi rispose Clara, la cuoca.
-Pronto?
-Clara, sono Chloé. Posso parlare con mamma o papà?
-Sono usciti – rispose, gentile.
-Sai dove sono andati? – chiesi passandomi una mano tra i capelli, alzai lo sguardo e nel vetro della cabina telefonica, colsi riflessa la mia immagine sporca, stravolta, spettinata.
-Sono usciti alle otto per una festa da Marina – aggrottai la fronte, sorpresa. Quindi non sapevano nulla, non sospettavano nulla. Erano semplicemente usciti per una festa, mentre io, stupida, sciocca, illusa, pensavo stessero torturandosi tra le pene dell'inferno. Rimasi in silenzio così a lungo che Clara dubitò fossi ancora in linea: - Chloè? Devo lasciarti la cena oppure hai già cenato da qualche parte?
-Sono qui, scusa. Va bene. Sto rientrando a casa – dissi come se le potesse interessare qualcosa.
-Io sto staccando, per favore, dimmi se vuoi la cena o no – rispose preoccupata, temendo volessi chiederle di rimanere fino al mio rientro.
-No, sono a posto, puoi senz'altro andare. Certo. Grazie.
Riattaccai senza attendere la sua risposta.
La mia mano indugiò qualche secondo sulla cornetta, loro non potevano immaginare quello che mi era successo, ma credevo almeno si preoccupassero del mio rientro, credevo si fossero accertati che fossi arrivata a casa sana e salva.
Credevo aspettassero tornassi da loro, dopo che uno dei loro due figli era mancato da così poco tempo.

Credevo che, malgrado tutto, almeno si preoccupassero della mia incolumità, della mia sicurezza. Pensavo, come una stupida ragazzina che crede ancora alle favole, che si preoccupassero per me, per la mia salute, che almeno aspettassero che tornassi a casa, prima di andare ad una qualche festa molto elegante, tutti vestiti a festa.
Ero un'idiota.
Una sciocca.
Dopotutto, chi nasce quadrato, non muore tondo.
Mentre qualcuno mi obbligava a forza e con le minacce a salire su una macchina, verso una destinazione sconosciuta, mentre mi tirava i capelli e mi faceva mettere in ginocchio, loro uscivano di casa, bellissimi, perfetti, nessun problema.
Un figlio sotto terra.
Una figlia che rischiava, a breve, di fare la stessa fine.
Staccai la mano dalla cornetta del telefono, senza avere ancora elaborato tutti i pensieri in fila, mi faceva male al cuore.
Paradossalmente, quello era lo choc peggiore della giornata.
Risalii in macchina in silenzio:
-Tutto bene?
-Parti – dissi semplicemente.
Gabriel mi guardò preoccupato, perché, anche se mi conosceva da poco, sapeva che c'era qualcosa che non andava nel mio stato d'animo e quel qualcosa non aveva niente a che fare con l'aggressione che avevo appena subito.
Strano.
Lui mi conosceva, mi leggeva dentro, mentre i miei genitori non si preoccupavano nemmeno di sapere se fossi viva o morta.
-Chloé, ma cosa è successo? - chiese aggrottando la fronte.
Rimasi in silenzio qualche secondo, poi sussurrai:
-I miei non ci sono. Ti va di salire? 

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora