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Dopo qualche giorno di ferie, durante i quali vivemmo praticamente chiusi in camera da letto, Gabriel tornò di malavoglia al lavoro, con un orario un po' ridotto rispetto alle normali dieci ore che era solito lavorare, prima che tornassi. Lo raggiungevo in pausa pranzo, portandogli, come una perfetta mogliettina anni '50, il cestino della merenda con il cibo etnico che gli avevo preparato. Certo, probabilmente, le mogliettine anni '50 non cucinavano la shorba sudanese o il cous cous alle spezie, ma non importa. Mangiavamo insieme, spesso in ufficio da lui, per godere dell'aria condizionata, altre volte, in un parco poco distante da dove lavorava.

Rividi suo zio, che trovai leggermente meno minaccioso di quanto ricordassi, conobbi la sua compagna, iniziai ad interagire con Samuele, il bambino che, a prima vista, avevo trovato identico a Gabriel, ma che, in realtà, non aveva in comune con lui neanche un tratto somatico.

Rividi Samantha, la mamma di Gabriel, che mi stritolò in un abbraccio in stile boa constrictor, come se non avessi mai lasciato la vita di suo figlio, come se fossi sempre stata la sua ragazza. Ripeté mille volte quanto non fossi cambiata, quanto il nostro amore fosse unico, da favola, "ci si dovrebbe far su un film". Mi faceva ridere, con quella sua voglia di vivere contagiosa, così che, mentre rideva lei, finivo per ridere anche io e credevo ad ogni sua singola parola, come se davvero la mia storia con Gabriel fosse da romanzo d'amore.

Lui, intanto, scuoteva la testa, in imbarazzo per l'entusiasmo irrefrenabile di sua madre.

Il tempo era stato molto clemente con Samantha, era invecchiata con grazia ed eleganza, diventando una quasi cinquantenne molto affascinante in un fisico ancora invidiabile. Conobbi suo marito, Giovanni, e la loro bambina, che aveva in comune con Gabriel bellissimi occhi verdi e una massa di ricci ribelli. Grazie alla mia esperienza al campo, riuscii subito a fare amicizia sia con lei che con Samuele, tanto che, spesso, passavo più tempo a giocare con loro, che a parlare "coi grandi". Una sera, organizzammo una grande cena per tutta la sua famiglia e fu una serata memorabile, che si protrasse fino a tarda ora, mentre i piccoli sonnecchiavano sul divano. Mentre mi lanciavo in uno scatenato gioco in cortile,

Samuele e Stella che tentavano di acchiapparmi, mentre io sgusciavo veloce tra le loro risate quasi isteriche, sentii su di me lo sguardo di tutta la tavolata. Mi fermai di botto, mentre entrambi i bambini mi saltarono addosso, l'uno aggrappandosi al mio ventre, l'altra, alla coscia, gridando come pazzi.

-Sei brava, coi bambini – commentò Samantha con un sorriso divertito, dando di gomito al figlio, che non poté fare a meno di roteare gli occhi e tentare di cambiare argomento.

Non avevo mai pensato di avere figli, ma, mentre tentavo di sedare la pseudo-lite tra Stella e Samuele per chi mi avesse acciuffata per primo, pensai, come in una folgorazione, che avrei dovuto seriamente iniziare a pensarci.

Sorrisi, scuotendo la testa e dandomi della sognatrice.

Ma, nel profondo del mio cuore, ammisi che, se mai avessi dovuto avere un figlio con qualcuno, quel qualcuno sarebbe stato Gabriel.

Senza se e senza ma.

Senza rimpianti.

Nel mio tempo che tentavo di definire "libero", andavo a trovare mia madre, l'assistevo nelle varie cure e cercavo di recuperare con lei un rapporto compromesso da anni di silenzi. Guardammo insieme i vecchi album di fotografie che s'era portata via dalla villa quando aveva lasciato papà e ci facemmo prendere dai ricordi, ad ogni parte, lei appassiva come un fiore, mentre io mi sentivo lontana dalla realtà mille anni luce. Lontana non perché distante da lei, ma solo perché, per la prima volta, mi sentivo di avere delle radici, delle sicurezze, di appartenere a qualcosa che aveva una storia: lei era mia madre e quello che ci legava era molto più importante del sangue, o dei rancori che ci avevano allontanato.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora