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Nel frattempo, Denti da squalo si stava abbassando la cerniera dei pantaloni, girai il viso per non sentire il suo odore nauseabondo, un misto di sudore, di poca dimestichezza col sapone, di ragazzino violento che si mascherava dietro alla facciata di uomo cattivo.
Trattenni a stento un conato di vomito, chiusi forte gli occhi, cercando di cancellare la realtà che si stava materializzando a pochi centimetri dal mio naso.

Sarei morta, prima di dargli quello che voleva, piuttosto lo avrei morso, gli avrei staccato un pezzo di ciò che mi stava per sbattere in faccia, ma non avrei mai fatto quello che pensava di farmi fare.
Mai.
Strinsi i denti, aprii di scatto gli occhi, serrai la mascella, mi morsi entrambe le labbra e lo guardai con aria di sfida, sfidando, al tempo stesso, il senso di repulsione che provavo nei suoi confronti.

Scossi la testa, in un cocciuto cenno di diniego che lo mandò in bestia.
Strinse più forte la presa sui miei capelli, mi pizzicarono gli occhi, sentii le ciocche strapparsi, ma non dissi nulla, nemmeno un lamento, niente di niente: non distolsi lo sguardo, ma ressi il confronto, perché, tanto, non avevo nulla da perdere.
Dopotutto era un male sopportabile, aver perso mio fratello era stato molto peggio: non cedetti, lo sfidai, pronta ad accettare le conseguenze.
Solo che ogni mio sforzo per essere forte e spavalda, sembrò solo eccitarlo di più.
Tirò ancora più forte, mi spinse violento verso il suo bacino, mi prese la mascella, infilando con rabbia e frustrazione le dita ruvide dentro alla mia bocca, sforzandola per aprirla, poi, vedendo che non otteneva alcun risultato, mi chiuse il naso, perché, da qualche parte, dovevo pur respirare.
Protesi le braccia, i pugni, le unghie in difesa, pronta a lottare e, all'improvviso, ricordai ogni mossa del corso di autodifesa, ogni singola, precisa mossa.
In un momento di lucida follia, mentre allentava impercettibilmente la presa sui miei capelli, gli diedi una testata violentissima, proprio lì.
Sì.
Lì.
Ululò di dolore come un cane randagio, tenendosi il pube con entrambe le mani, lasciandomi andare di colpo, come l'avesse percorso una scarica elettrica:
-Tenete ferma questa puttana! - strillò come il coro delle voci bianche, verso i propri scagnozzi che non sapevano se ridere o preoccuparsi.
Ma quell'ordine non fu necessario.
Non ebbi bisogno di dimostrare quanto potessi difendermi da sola e i due scagnozzi di Denti da squalo non riuscirono a muovere un muscolo.
La figura alta e prestante di Gabriel si stagliava chiaramente all'ingresso ancora aperto del capannone, proiettando un'ombra minacciosa e oblunga fino al punto dove eravamo noi, ebbi appena il tempo di rendermi conto di ciò che stava accadendo, di trarre un sospiro di sollievo, di sentirmi al sicuro, di vedere qualcuno intorno a lui, riconobbi Alex e un altro ragazzo, viso sconosciuto e una vistosa giacca rossa, tipo quelle dei college americani.
Vidi l'espressione sul viso di Gabriel cambiare: da preoccupata, senza fiato, passando per il sollievo di vedermi ancora viva, fino a deformata dall'odio, capendo ciò che stava per succedere, gli occhi verdi assunsero una tonalità scurissima, i pugni stretti, pronti al combattimento. Come una bestia feroce, prese a correre verso di noi, saltando addosso a Denti da squalo con un balzo atletico, circondò il suo collo con un braccio e gli sibilò all'orecchio:
-Hai davvero commesso un grave, grave errore. Avrei dovuto farti fuori qualche settimana fa.
Strinse forte la presa, mentre Denti da squalo strabuzzava gli occhi, Alex metteva rapidamente ko uno dei miei due guardiani privi di neuroni e midollo, un altro faceva fuori il secondo, in tutto questo, io, alla ricerca di aria, scivolavo lentamente contro il muro scrostato. Mi ci appiattii contro sperando di svanire nel nulla, di ritrovarmi di colpo nella sicurezza di casa, che poteva essere anche un posto un po' freddo e privo di amore, ma, almeno, lì nessuno mi minacciava o forzava a fare cose spaventose, cose che non avevo mai fatto, ma che avrei dovuto fare senza averne la minima intenzione, una mano premuta sulla nuca, l'altra ad aprirmi la bocca o a turarmi il naso, mentre sentivo i capelli che si strappavano uno dopo l'altro, rannicchiata tra sudiciume e calcinacci, terrorizzata. Senza più alcuna difesa, senza più un briciolo di coraggio, appoggiai le mani sul pavimento, grattando disperatamente le unghie tra polvere e sporcizia, mentre infuriava una rissa che coinvolgeva almeno sei persone, annichilita dalla violenza che mi balenava davanti agli occhi in flash spaventosi: Alex stava letteralmente massacrando a pugni uno dei due scagnozzi di Denti da squalo, l'altro amico di Gabriel si preoccupava del secondo, seduto a cavalcioni sul suo corpo immobile, menando colpi alla cieca, quasi stesse cercando di levargli la vita, di tirargliela via a suon di botte.

Ancora sangue, ancora violenza.
Una parte di me gridava di porre un freno a quella rabbiosa vendetta: non valevo così tanto da richiedere, in risarcimento, il pagamento di tre vite.
Ma un'altra parte, quella più oscura, più profonda, quella che non aveva esitato a guardare il mio aggressore negli occhi, a rispondergli per le rime, a prenderlo a testate, mi sussurrava all'orecchio che era giusto così: meritavano di soffrire, di pagare, meritavano ogni singolo pugno, ogni calcio, ogni colpo, perché avevano avuto a che fare con la morte di Claudio, per ciò che stavano per farmi e, data la loro dimestichezza in gesti, azioni, parole, probabilmente avevano già fatto ad altre ragazze come me, in una specie di associazione a delinquere di adolescenti fuori controllo.
Malgrado Gabriel fosse fisicamente meno vistosamente muscoloso e piazzato di Denti da squalo, era comunque più atletico e scattante, più alto e concentrato, più motivato.
Anche questa volta non ci volle molto perché ne avesse la meglio.
Solo che, invece di reagire sbigottita e spaventata, inorridita dalla ferocia di quei colpi sferrati alla cieca, ma con studiata attenzione, questa volta rimasi ad osservare la scena con le braccia aperte, appoggiate per terra, senza chiudere gli occhi, senza battere ciglio, con una freddezza che non credevo di avere, inspiravo lentamente, espiravo a fondo, cercando di calmare il mio battito cardiaco, ma non avevo alcuna fretta di porre fine a quel regolamento di conti.
Meritava quella lezione e, in fondo al mio cuore, volevo soffrisse.
Volevo che Gabriel lo spaventasse, gli facesse male al punto da non rivedere mai più la sua faccia. Volevo capisse che non avrebbe dovuto farlo, non avrebbe mai dovuto ripeterlo.
Ormai quasi privo di sensi, Gabriel lo lasciò agonizzare sul pavimento polveroso, si alzò dandogli un'occhiata di spregio e gli sputò addosso, lui non reagì, non mosse un muscolo, non so nemmeno se se ne rese conto.
Poi, quasi riscuotendosi da un brutto sogno, mi guardò a corto di fiato, le nocche rosse, gli occhi sgranati, di un verde scuro, spaventoso, che ricordava i mari in tempesta, oceani in grado di inghiottire navi intere, facendo stragi:
-Come stai? - chiese, la voce roca, profonda, un ruggito alle mie orecchie: non lo avevo mai sentito parlare in quella tonalità così bassa e, in tutta onestà, non sapevo se trovare la cosa più spaventosa o, paradossalmente, data la situazione, eccitante.
Non seppi cosa rispondere, perché fisicamente stavo benissimo, a parte qualche livido e graffio di nessuna importanza, ma dentro ero spezzata, infranta, sconvolta.
Annuii, senza distogliere gli occhi dal suo viso preoccupato e non riuscii a dire niente, per qualche secondo la voce rimase bloccata a metà tra polmoni ed esofago.
Era preoccupato per la mia incolumità o perché aveva paura di avermi spaventato di nuovo?
A carponi, tra la polvere, mi raggiunse e, inginocchiandosi di fronte a me, mi prese tra le braccia:
-Sto bene – sussurrai tra i suoi ricci, inspirando a fondo il suo profumo che sapeva di sicurezza, di cose tranquille, di casa.
Ricambiai il suo abbraccio con gli occhi chiusi, semplicemente grata per l'ennesimo pericolo scampato. Percepii sollievo in quell'abbraccio disperato, quasi avesse paura che potessi accusarlo di nuovo.
Gabriel mi aiutò a rialzarmi, mi prese le misure con gli occhi, accertandosi che avessi ancora tutte le dita delle mani attaccate, gli arti funzionanti, mi sistemò una ciocca di capelli, tolse la polvere dalla mia guancia, poi, trovando il coraggio, chiese:
-Ti ha toccato?
-No. - mi avvicinai al corpo esanime di Denti da squalo, piegandomi verso di lui e guardando da vicino il suo volto distrutto, una maschera di sangue, nemmeno del tutto cosciente – è uno che parla molto, ma alla fine non combina nulla.
Lo superai con disgusto, non prima di avergli lasciato un calcio nelle parti basse, facendolo gemere ancora di più.
-Ti trovo, so dove abiti – sussurrò con un filo di voce. Gabriel si irrigidì, ma lo trattenni con una lieve pressione della mano sul braccio.

Mi voltai di scatto e, quasi con un senso materno, quasi fossi un angelo della morte che cinge nell'estremo abbraccio fatale l'ultimo dei suoi angeli caduti dal Paradiso, mi chinai verso quel corpo contorto, sanguinante, inerte.

-Non osare minacciarmi, credimi, non ti conviene. Tu sai da dove sgorga il mio sangue, sai bene da dove vengo, sai bene che non si gioca con la mia famiglia. Non ti avvicinare di nuovo, perché se ti vedo ancora circolare vicino a casa mia, o se ti azzardi ad avvicinarti, a toccarmi, o a rivolgere lo sguardo su di me, anche solo a pensarmi... giuro su Dio che ti faccio ammazzare come un cane dagli uomini di mio padre. E tu non vuoi avere a che fare con gli uomini di mio padre, credimi. – sussurrai al suo orecchio, di rimando, sputandogli addosso quella frase come un'offesa.

In realtà non avevo idea se "gli uomini di mio padre" potessero in effetti uccidere qualcuno, ma la minaccia nemmeno troppo velata che papà aveva fatto qualche giorno prima nei confronti di Gabriel mi sembrava attendibile.
E, con ogni probabilità, Denti da squalo era troppo preoccupato a rendersi conto di essere ancora vivo per ribattere o, in un secondo momento, verificare le mie parole.

Digrignai i denti e nessuno poté trattenermi dallo sferrargli un altro calcio, con tutta la rabbia che covavo. 

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora