Capitolo 2

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Una settimana dopo..

Era già passata una settimana da quel maledetto messaggio di Addio. Claudio aveva tentato più volte di ricontattare Mario. Messaggi, chiamate, email, contatti Facebook, ma niente. Non rispondeva. Si era isolato, era come sparito dal mondo. Aveva persino provato a contattare Nadia e Valentina, ma anche loro avevano ignorato ogni tipo di richiesta di aiuto. Nessuna risposta da nessuno. Aveva deciso per il bene di suo figlio di partire con Paola, che la mattina dopo gli aveva telefonato con aria molto presuntuosa e gli aveva detto

"Che hai deciso di fare bello? Che ti pensi che ti do il tempo di pensarci nove mesi? Non se ne parla. O parti con me o addio per sempre! Lascialo perdere quell'ometto da quattro soldi che ti chiama Amore, lui ti ha solo illuso che possa esistere l'amore tra finocchi. Ma non potrà esserci mai davvero! Mica lui potrà mai darti un figlio. Te lo sogni con lui"

e Claudio in quel preciso istante si sentì morire. Quelle parole fecero male come un grosso macigno sul petto. Bruciavano dentro e invadevano i lati più oscuri del cuore distruggendo anche quelli.

"Non permetterti mai più a nominare Mario, Paola. Non te lo permetto. Tu non sai un cazzo di cosa significhi essere gay, tu non sai un cazzo di che cosa significhi amare. Tu non sai e non sei un cazzo. Sei una persona che per anni ha avuto l'avidità del denaro, una persona che ha rinunciato alla propria vita, al proprio amore, per costruire sopra di sé un'immagine sulla quale adesso potresti solo sputare sopra per quanto schifo faccia. La stessa avidità adesso ti percorre le vene. Sei vuota Paola, vuota come non so neanche io cosa. Io sacrificherò la mia vita per nostro figlio, mi sposerò con te se servirà a proteggerlo e averlo nella mia vita, ma non chiedermi mai più di amarti, perché tu non sai cosa sia l'amore, perché tu non sai che nella mia vita io ho amato, amo e amerò una sola persona, Mario. Quindi non ti permettere mai più di nominarlo. Non ne hai il diritto, non sei degna di pronunciare quel nome con la tua bocca. Detto ciò ci vediamo all'aeroporto più tardi. Ciao!"

E senza dare modo alla ragazza di ribadire, chiuse quella telefonata, lanciò il telefono sul comodino, si voltò e si rannicchiò su stesso piangendo come un bambino impaurito. Le lacrime scendevano a dirotto, le urla di dolore bruciavano in gola, i pugni stringevano forte quel lenzuolo che ormai era cosi zuppo. Sentiva il freddo Claudio dentro di sé. Mario era stato l'unico in grado di dargli emozioni forti e adesso era tutto sparito nel vuoto. Il pianto non si interrompeva, la rabbia saliva, il rinnegare il cielo era ormai diventato un rito per quante volte aveva rinnegato Dio. Si strappò la flebo che aveva collegata al braccio con forza, si vestì e abbandonò quel luogo che gli ricordava troppe cose della persona che aveva amato. Aveva voglia di urlare al mondo quanto lo amasse e invece una volta fuori dall'ospedale sotto la grandine Claudio Sona urlò solamente il suo nome. Non aggiunse altro. Solo il suo nome. Guardando il cielo. Come a voler giurare che quel nome sarà per sempre scolpito sulla sua pelle, sulle sue labbra sul suo cuore.

E poi, qualche ora dopo, ritornò a casa e sul tavolo un biglietto,

"Ricordati che quando camminerai, distratto nel traffico e ti volterai, perché una parola un ombra un gesto, ti emozionerà...Ricordati che quando ti spoglierai nel buio vestito dei nostri ricordi, io sarò li accanto a te ti rispecchierai...Solo il tempo per noi sa la verità, se domani io e te ritorneremo qua, incapaci di vivere lontani anche un giorno di più...Solo il tempo dirà se era una bugia o era giusto per noi cercare un'altra via, ora vai devo mordermi le labbra per non piangere più...Ricordati che quando ti cercherai, in una canzone che parla di noi, e si impiglierà tra le tue ciglia una lacrima...Ricordati che quando tu piangerai con le gambe strette seduto sul letto io sarò lì, accanto a te, ti rispecchierai negli occhi miei!

Ti amerò per sempre Claudio

Tuo per sempre

Mario"

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