Lui vede cose che gli altri non vedono.
Lei ha un segreto, probabilmente più di uno.
Lui non sa ancora di cosa è capace.
Lei appare all'improvviso.
Lui è reale, lei forse no.
Insieme danno alla parola ALTRO un significato inaspettato.
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Diciamo che riesco a vedere "cose" che sfuggono al resto delle persone, forse perché impercettibili o troppo anormali per essere notate, o forse, semplicemente perché solo da me si lasciano vedere. Sì, deve essere così, e a me piace pensare che sia una loro scelta. Si dice che tutto nella vita dipenda da delle scelte che uno fa. Bene. Io sono strano. Ma non l'ho scelto io. Mi consolo pensando di essere speciale.
"Nathan scendi, la cena è pronta".
"Vengo".
Mamma mi sta chiamando, è pronto in tavola. Bè, almeno questa è una cosa normale. D'altra parte vivo in una famiglia normale, circondato da persone normali, in un paese fottutamente normale. Tutto intorno a me lo è. Ogni piccola, stupida, banale, schifosissima cosa. Poi, però, ci sono io, con tutto quello che vedo e che so che devo nascondere. Essere "speciali" è una fregatura. E mi pesa.
"Guarda che non ti chiamo più!"
"Arrivo!".
Devo smettere di scrivere questo diario.
Scesi le scale. Gradino dopo gradino le solite foto raccontavano in pochi metri tutta la mia vita, ridotta sul muro a qualche istantanea. Mi fermai, lasciandomi sfuggire un sorrisetto. Nessuno si era mai chiesto perché a sei anni sotto l'albero di Natale stavo guardando dalla parte opposta rispetto a dov'era mio padre agghindato con barba, berretto rosso e tutto il resto.
Sul pianerottolo gli specchi mi riflettevano diviso in stretti rettangoli verticali: tre sezioni di me con pause di intonaco giallino. Avevo i capelli sconvolti. Erica me lo avrebbe sicuramente fatto notare. Sarebbe stato meglio sistemarsi almeno la maglietta. Non che badassi più di tanto a quello che diceva, o che avere la sua approvazione fosse lo scopo della mia vita, ma mia sorella diceva troppo spesso quello che pensava, e quello che pensava non era mai quello che pensavo io.
"E' inutile che cerchi di sistemarti. Sei senza speranza! Sbrigati se non vuoi restare anche senza cena!"
"Togliti quell'espressione dalla faccia Erica, non ti dona!"
"Mi rifiuto di credere che tu abbia il mio stesso patrimonio genetico!"
"Cosa..."
Eccola. Appare sempre così, all'improvviso. Talmente inaspettata che ogni volta resto senza fiato, in apnea totale. Ogni cosa intorno sparisce, il mondo si svuota, non sento nemmeno il battito del mio cuore e rimango immobile, con lo sguardo fisso su di lei. È come se fosse alle mie spalle, davanti alla porta d'ingresso. La vedo riflessa nello specchio, un'immagine nitida, che mi rapisce completamente. Stasera è vestita di blu: è bellissima. Mi sta guardando. So che guarda proprio me, ma non capisco. Chi è? Cosa pensa? Cosa vuole? Ogni volta ho come l'impressione che stia cercando di dirmi qualcosa. Ma cosa?
Faccio finta di sistemarmi i capelli. Lei sorride. O almeno così mi sembra. I nostri occhi si incontrano un secondo, un attimo, una frazione temporale che non quantifico.
"Ma che hai? Sembri imbambolato"
Una voce lontana chilometri ruppe la bolla che mi racchiudeva, la stanza riapparve e con essa tutto quello che mi stava intorno. "Co..me?" Mi girai distrattamente verso mia sorella che mi stava fissando, perplessa.
Mi rivoltai subito. Anche il cervello ricominciò a pensare veloce, ma ormai il contatto era perso e tutto quello che mi rimaneva era un sorriso. O almeno volevo credere che lo fosse stato davvero.
La cena scivolò via in fretta e non feci nemmeno caso ai commenti di Erica: c'era posto per un unico pensiero, così forte da monopolizzare tutti i neuroni, così grande da non lasciare spazio per nient'altro.
La vedevo e la rivedevo. Zoom. Particolari. Primi piani.
L'ho sognata anche questa notte. Lo faccio sempre più spesso ultimamente,e mi rendo conto che nei miei sogni è ancora meno reale di quello che credo sia nella realtà. Se è realtà. Non lo so, è complicato.