10. RISCONTRI

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Mi sbagliavo. Dalla mia postazione non avevo ottenuto altro che continui rimproveri della professoressa Miller che, sicuramente, in cinque anni, non aveva mai pronunciato così tante volte il mio nome come in quelle due ore.

La campanella dell'intervallo suonò quando ormai avevo capito che, se volevo sapere chi fosse davvero questa Zoe, avrei dovuto chiederglielo direttamente.

Il problema era che quest'idea non l'avevo avuta solo io. La nuova arrivata, infatti, venne letteralmente investita dalle altre ragazze della classe, troppo avide di particolari per poter attendere la pausa pranzo.

"Rassegnati, sicuramente per il prossimo quarto d'ora sarà occupata", notai una leggera ironia nelle parole di Adam.

"Mmm" mi limitai a rispondere. "Vado in bagno" aggiunsi, e mi avviai in corridoio.

Mentre mi lavavo le mani sentii due ragazzi di un'altra sezione commentare l'arrivo della nuova studentessa di cui avevano già un'accurata descrizione fisica. Evidentemente le voci si spargono molto più in fretta dove non accade mai nulla di particolare. Afferrai un po' di carta per asciugarmi e mi resi conto che mi aveva infastidito ascoltare i loro commenti. Non è che lei fosse solo mia o cos'altro, ma fino a quella mattina credevo di essere il solo a poterla vedere e, di sicuro, non ero pronto a condividere con l'intera scuola qualcuno di così speciale per me. Ecco tutto. Gonfiai le guance e sbuffai. Fortunatamente erano già usciti, lasciandomi solo con le mani ancora mezze bagnate e pieno di dubbi.

"Maledizione!" sbottai guardando il mio riflesso allo specchio.

Mai prima d'ora mi ero sentito così patetico. Lei era lì. Finalmente. Vera, reale, prima stanza a destra alla fine del corridoio. Certo, non ero ancora riuscito a vedere l'albero, ma qualcosa dentro di me sapeva anche senza bisogno di vedere. Quella non era una ragazza come le altre e quell'incontro non era una coincidenza. L'avevo sognato così tanto, così tante volte, che ora che avrei potuto parlarle non sapevo cosa dire. Ad essere sinceri c'era una parte di me che, nel profondo, sperava che quella non fosse davvero lei, ma solo una bellissima ragazza che le somigliava. Ed eccolo qui il vero motivo, il perché mi ero rifugiato in bagno e non avevo avuto il coraggio di andare a parlarle fregandomene di tutto il resto.

Giunto a questa conclusione picchiai la mano destra sul lavandino urlando a me stesso "Ma che diavolo mi è preso!?" Avevo aggrottato le sopracciglia e la bocca si era ridotta ad una smorfia di disgusto. Vedermi allo specchio mi riportò in qualche modo alla realtà. Per un attimo ebbi modo di guardare il mio riflesso, prima di spalancare la bocca davanti a quello che aveva preso il posto del mio. Mi voltai per controllare, ma nulla, era solo nello specchio.

Scuoteva la testa insistentemente. Non udii alcun suono ma capii perfettamente che anche questa volta mi stava dicendo un "no!"

"No a cosa?" le chiesi.

Ma non ci fu alcun cambiamento.

Cercai di ragionare velocemente, spaventato all'idea che, come al solito, da un momento all'altro lei potesse svanire. Pensandoci bene, non aveva mai parlato durante i nostri incontri, ma ero sicuro che in un modo o nell'altro capisse le mie domande, perché, anche se solo a gesti, un minimo di comunicazione c'era stata. Tagliai corto e pensai che avrei potuto farle solo domande dirette, a cui rispondere facilmente con un sì o con un no.

"C'è qualcosa che non va?"

Il mio ragionamento funzionava, perché ora mi stava rispondendo sì con la testa.

"Qualcosa di brutto?"

Ancora sì.

"Ha a che fare con la tua apparizione a scuola stamattina?"

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