29. DESTINO

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Entrammo in un'enorme stanza circolare simile alla hall di un albergo e su cui si aprivano diverse porte, tutte rosse. E tutte avevano l'intaglio dell'albero come la porta dello studio del nonno. Senza le serrature, però. Quelle non c'erano. Non c'era nessun mobile, solo un lungo bancone al centro della sala che invitava i visitatori ad avvicinarsi per chiedere informazioni. Ma non c'era nessuno a cui poter chiedere.

In effetti, guardandomi meglio intorno, notai che le persone presenti sapevano benissimo dove andare e si muovevano sicure, senza bisogno di chiedere. Ovviamente anche Strabo, la sicurezza fatta persona.

"Aspettami qui e non ti muovere" disse fissando qualcosa al di sopra della mia testa. "E non parlare con nessuno", aggiunse. Si allontanò e si diresse alla seconda porta alla nostra destra. Non potei fare a meno di notare che, anche questa volta, la aprì senza bussare. Si voltò a guardarmi prima di richiudendola alle sue spalle.

Mi sentivo osservato, lì impalato, al centro del salone. Alzai lo sguardo, più per trovarmi qualcosa da fare che per togliermi la curiosità di vedere cosa stesse osservando prima Strabo.

Monitor.

Decine di monitor, disposti su più file, che si inseguivano lungo la parete sopra la mia testa. Erano tutti accesi e stavano trasmettendo programmi diversi.
Passai con lo sguardo da uno all'altro, poi me ne accorsi.

In uno di questi c'ero io.

Rimasi di sasso.

Il me stesso del monitor mi stava fissando.

"Ma che diavolo...?" Non feci in tempo a finire la frase.

"Muoviti. Ci sta aspettando!" Strabo era già tornato e mi stava tirando verso la porta che gli avevo visto oltrepassare qualche minuto prima.

"Che razza di posto è questo?" chiesi fermandomi di colpo. "E perché un tizio uguale a me in quel monitor mi fissa?" indicai voltandomi anche io per e verificare che l'immagine del video fosse ancora lì.

C'era ancora.

"Questa è una sala d'attesa", rispose tranquillamente, come se mi stesse dicendo la più grande delle ovvietà.

"D'attesa di cosa?"

"Del proprio destino".

Lo odiavo. Lui e le sue ovvietà del cazzo.

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