28. STRABO

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"Da dove vieni?"

Ero talmente preso dai miei ragionamenti che non avevo neppure notato la porta da cui, con ogni probabilità, ero arrivato. Di fianco ad essa c'era un ragazzo, alto, molto magro, e moro, con strani orecchini lungo tutto il lobo destro. Un taglio di capelli asimmetrico e i tatuaggi che gli decoravano il braccio fino alle nocche della mano che mi stava tendendo, lo rendevano ancora più strano.

Gli bastò guardarmi il collo con una rapida occhiata per constatare "Non sei di questo mondo". Poi, dopo avermi scrutato così a fondo che ebbi quasi la sensazione che potesse leggere il mio dna, aggiunse: "Questa porta conduce ad Alter, ma sono più che sicuro che non vieni neanche da là, mi sbaglio?"

I suoi occhi erano viola e io mi domandai se fosse un colore naturale o se portasse un paio di lenti. Questo tizio doveva avere un punteggio altissimo di carisma, pensai. Aveva l'eyeliner nero, oltre ad un non trascurabile trucco ugualmente nero intorno agli occhi, eppure non sembrava minimamente uno sfigato. Anzi. Era magnetico. Tutti si volterebbero a guardarlo, conclusi, sia maschi che femmine, senza distinzione di sesso.

"No, non ti sbagli" gli risposi

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"No, non ti sbagli" gli risposi.

"Io non mi sbaglio mai, infatti" disse strafottente "sei umano, vero?"

"Sì. Questa è Panfilia?"domandai a mia volta.

Mi girava intorno alla ricerca di non so quale dettaglio. Non sapevo se era voluto, ma mi stava mettendo a disagio.

"Qui sono io quello che fa le domande" sentenziò.

Portava un paio di pantaloni stretti e a vita bassa, una t-shirt un po' logora e una specie di camicia così larga da fargli quasi da abito. Il tutto completamente nero, fatta eccezione per un lungo guanto rosso che gli lasciava scoperte le ultime falangi della mano sinistra. Dalla maglietta spuntava un collare che riconobbi subito: era uguale a quello che indossava Nia la sera che ci incontrammo nella mia camera.

"Ho già visto quel coso" dissi indicandoglielo.

"Non è possibile!" esclamò stupito.

"Sì, te l'assicuro" ribadii "ed era proprio simile a questo. Non potrei sbagliarmi perché è un oggetto troppo particolare!" Non sembrò per nulla convinto della mia sincerità fino a quando non dissi "quella volta mi sembrò persino che le estremità si muovessero da sole".

"Chi ha osato usare un catalizzatore sulla Terra?" Perfetto, adesso era anche spazientito! Avevo cercato un modo per iniziare un dialogo costruttivo, ma, a quanto sembrava, avevo scelto l'oggetto di discussione sbagliato.

"Senti, facciamo così, ripartiamo da capo!" dissi consapevole che dovevo in qualche modo sbloccare la situazione. Così stavo solo perdendo tempo prezioso.

Per fortuna lo pensava anche lui. "Mi chiamo Strabo e sono il guardiano di Panfilia, colui che presiede al controllo di questa porta, che come ti ho già detto, conduce ad Alter".

Non aveva molto senso, pensai, perché io ero venuto dalla Terra, non da Alter.

"Io sono Nathan, e una stramaledetta ragazza di questo mondo mi ha spedito qui, mentre lei in questo momento probabilmente è su Alter al posto mio".

"Sei uno dei due guardiani della porta umana?"

"No" risposi. Come, non mi fa nessuna domanda sulla ragazza?

"Però hai la chiave di Alter?" insistette invece.

"No, non sono un guardiano, ma" dissi frugandomi inutilmente nelle tasche vuote "avevo entrambe le chiavi" forse, se gliele avessi mostrate, mi avrebbe aiutato "ma, purtroppo, ora non le ho più, perché sono rimaste inserite nella porta quando le ho usate per aprirla".

"Hai davvero fatto ciò che hai appena detto?" mi chiese avvicinandosi così in fretta che istintivamente arretrai di qualche passo.

"Sì". Era un bene o un male?

"E hai detto di aver visto muoversi le estremità di un catalizzatore come questo, giusto?"

"Se con catalizzatore intendi il collare, sì, e, se proprio vogliamo essere precisi, mi era sembrato che cambiassero forma".

"Sei davvero sicuro di essere umano?"

"Sono il ritratto di mio padre con tutti i difetti di mia madre, sarebbe davvero troppo per essere una menzogna biologica" replicai spazientito. Mi sembravo Erica. Stessa ironia. Stesso tono di voce.

"Allora c'è un'unica spiegazione possibile: sei un archetipo" concluse.

"Questa parola la odio", sbuffai.

"Non dovresti stare qui, dovresti essere su Alter".

"Bé, almeno su questo siamo d'accordo!" Il pensiero di Zoe e di quello che mi aveva fatto mi fece incazzare nuovamente "era quello il mio intento, infatti, ma sono stato fregato".

"Andiamo" disse prendendomi un braccio "dobbiamo parlare con Nova". Capii dalla sua espressione che per lui questa era un'urgenza, qualcosa di vitale. Non sapevo se lo fosse anche per me, ma, istintivamente, mi lasciai trascinare. E comunque che altro potevo fare?


Era ormai giorno e ci stavamo dirigendo svelti verso la città: un insieme di edifici, acqua e specchi in un accecante connubio color bronzo.

"E chi sarebbe questo Nova?" domandai cercando di stare al passo.

" Il Programmatore".

"Nel senso di creatore?" domandai ripensando al diario del nonno e non potendo fare a meno di pensare ad un programmatore in senso informatico.

"Nel senso di depositario del sapere" specificò.

Una cosa non escludeva l'altra, mi dissi.

Attraversammo un'enorme piazza lastricata ed entrammo in un vicolo stretto che costeggiava un canale d'acqua color dell'ambra. Finalmente ci eravamo fermati. Davanti a noi c'era un grande portone rosso, della stessa tonalità accesa della porta di legno dello studio del nonno.

"Dimmi, ha un significato particolare il colore rosso?" mi venne naturale chiedere.

"Significa riservato agli addetti" rispose senza batter ciglio.

Gli guardai il guanto. Lui se ne accorse e sorrise.

Entrammo senza bussare.

Strabo doveva essere un addetto.

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