Capitolo 4

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Ho seguito il consiglio di Brenda.
Dopo avermi salutata, con la promessa di sentirci dopo la cena dai Baker, sono andata a dare la notizia a mia madre che per poco non è morta d'infarto nel vedermi vogliosa di uscire.

«Sei bellissima, tesoro» mi bacia la guancia con un po' troppa euforia per i miei gusti nel vedermi vestita e pettinata.

«Mamma, ho solamente tolto il pigiama» alzo gli occhi al cielo.

Ma lei mi accarezza e mi sorride «È un gran passo avanti. Starai bene, figlia mia»

Annuisco e sorrido forzatamente, tenendo per me il vero motivo del voler partecipare alla cena.
Ma dopo un po' ci raggiunge papà mentre si abbottona la giacca e si avvicina a noi con un sorriso.

Sembra essere tornato tutto alla normalità.
L'episodio del rapimento e della notizia sconvolgente di non essere sua figlia sembrano ormai essere un ricordo lontano.
Insieme abbiamo preferito lasciarci tutti gli errori alle spalle e di non rovinare il nostro avvenire.

«Allora, siete pronte?» Ci chiede facendo un movimento delle spalle per sistemarsi la giacca e mi rivolge uno sguardo «Bentornata tra noi, Elinor» e si avvicina per sorridermi e accarezzarmi il viso.

Mia madre conferma che siamo pronte, anche se mi sussurra di volermi vedere con un bel vestito anziché con un paio di jeans, un maglioncino e le scarpe che mi regalò J.
La ignoro e seguo papà fino alla macchina, prendendo posto sui sedili posteriori.

E mentre mia madre prende posto sul sedile anteriore, il motore si accende, i cancelli si aprono e la strada scorre lenta fuori dal finestrino, mi perdo in un altro ricordo.

Ormai qualcosa nel nostro rapporto si era rovinato.
Non avevo più una comunicazione diretta con J e intravidi un messaggio sul suo cellulare dal mittente memorizzato Ed.
Mi crollò il mondo addosso.
Il pensiero che fosse ritornato il delinquente criminale di prima, mi faceva venire il voltastomaco.
E stetti a letto tutto il giorno. Lui non si fece vedere. E alla fine mi alzai per andarlo a cercare.
Girai mezza città, ma di lui nessuna traccia.
Mi avventurai perfino negli angoli più schifosi e macabri, ma niente. Non sapevo che fine avesse fatto.
Ma quando rientrai a casa lui era lì. Ad aspettarmi preoccupato.
«Dov'eri? Ti ho chiamata un milione di volte» mi disse posando il cellulare.
«Io... io ti stavo cercando...»
Ero confusa.
Un misto di sentimenti si propagava dentro di me: la paura di perderlo, la speranza di non vederlo andare via, il dubbio sulla tranquillità del nostro rapporto... Ma non soffermai troppo a pensarci perché corsi verso di lui con un'aria decisa e arrabbiata.
Come minimo credette che volessi riempirlo di schiaffi e invece lo baciai. Anzi, lo divorai.
Avevo bisogno di sentirlo vicino. Carne e carne. Fiato a fiato.
Avevo bisogno di ritrovare il nostro equilibrio, la nostra passione sfrenata, la nostra voglia di stare insieme contro tutto e tutti.
I miei baci erano disperati. Violenti. Insaziabili. Arrabbiati...
E le mie mani gli stringevano il viso. Lo stringevano forte, impedendogli di fuggire via e obbligandolo a rimanere.
E niente fu più bello delle sue mani che si posarono sulla parte bassa della mia schiena, delle sue labbra che ricambiarono il mio bacio in modo spregiudicato e di come si muoveva avida la sua lingua intorno alla mia.
Ci strappammo i vestiti da dosso. Facemmo l'amore come non l'avevamo mai fatto. Fu brutale e disperato.
Io lo stringevo fino a marchiarlo col mio odore e graffiarlo con le mie unghie, e lui mi inchiodava sotto di lui fino a far aderire perfettamente i nostri corpi.
Ero felice, confusa e annebbiata. Ma non capii che quello era il suo modo di dirmi addio.
Mi stava amando con tutto sé stesso, a modo suo, senza parole, senza regali e senza dediche mozzafiato. Lui mi stava amando con le labbra, con gli occhi, con le mani e con il corpo.
Voleva sentirmi sua. Fino in fondo. Senza pudore e senza rimpianti, per l'ultima volta.
Ci donammo entrambi completamente, lasciandoci i segni e i lividi di una storia che non morirà mai.

Mi si stringe lo stomaco nel ripensare a quella sera.
Fu così intenso e doloroso, ma fui così stupida da credere che quello fu l'inizio di una riconciliazione.
E in parte ci fu... O almeno credevo.
J era combattuto tra l'essere quello che è sempre stato e tra l'essere la persona migliore che io volevo che fosse.
E quindi ha iniziato a nascondermi il suo problema, mentre io volevo solamente che fosse sempre presente alle stupide feste di mia madre e che diventasse esattamente come me.
Ma se l'ho fatto è stato solamente perché volevo dimostrare a tutti che non c'è mai stato nessun rapimento. Che ci amavamo nonostante la diversità di vita, nonostante i caratteri opposto e nonostante il giudizio della gente.

Cavolo! Non l'ho capito.
Mi ha dato più segnali e io li ho sorvolato tutti.
Avrei dovuto aiutarlo diversamente e invece ho sbagliato tutto.

Vorrei poter ritornare indietro e sistemare tutto.
Magari andando via con lui, lontano da questa vita troppo agiata e a viverne una più umile, lontani da tutta questa gente.

«Siamo arrivati» esclama mia madre mentre mio padre varca il cancello automatico della dimora Baker.

Inizio ad essere un tantino agitata.
Ho paura di scoprire qualche verità che non mi piacerà per niente. E l'idea che Andrew possa avere avuto a che fare con il passato di J riguardo a cose losche mi fa venire i brividi, perché non so proprio cosa aspettarmi.

I coniugi Baker ci attendono all'ingresso e alla cena c'è anche Walter con la sua famiglia.

Mi salutano tutti con un caloroso affetto, contenti di essermi lasciata alle spalle un criminale come J.
Ogni volta che lo vedevano, come minimo credevano che prima o poi J sarebbe andato a derubarli.
La notavo la loro aria diffidente, di ribrezzo e di timore. Ma J neanche li guardava.

Forzo qualche sorriso e ricambio i saluti.
Walter sembra davvero contento di vedermi.
«Sono felice che ci sia anche tu»

«Grazie... » intavoliamo una breve chiacchierata mentre i nostri genitori si dirigono in sala da pranzo.

«Come stai?»

«Meglio» sospiro «Sai dov'è Andrew?» Mi giro intorno, ma non lo vedo.

«In camera sua. Non credo che parteciperà alla cena... Sta un po' giù ultimamente» alza le spalle e fa un'espressione indifferente.

«E non sai perché?»

Scuote la testa «No, e non è che mi interessa. Lo sai che io e Andrew non ci parliamo molto»

Già.
Andrew è sempre stato il solito viziato figlio di papà, soprattutto da piccolo, che prendeva in giro Walter perché era troppo grasso e credulone, il che facilitava ogni presa in giro che gli riservava.

Decido di non incalzare su questo punto e dico a Walter di raggiungere i nostri genitori a tavola, ma prima mi congedo per qualche minuto richiedendo l'utilizzo del bagno.
E ovviamente, salgo le scale e mi precipito in camera di Andrew, entrando senza nemmeno bussare.

Lo trovo stravaccato sul suo enorme divano davanti alla TV, con il volume completamente basso, e il cellulare attaccato all'orecchio.
Ma i segni sul viso non passano di certo inosservati e un brivido mi corre lungo la schiena nel pensare che possa essere stato veramente J.

Rapita - parte 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora