Capitolo 13

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J guida per un bel po' di tempo.

Non mi stacco da lui per tutta la durata e tengo gli occhi chiusi venendo cullata dal dolce ondeggiare della modo che sfreccia a velocità moderata nel buio e, nonostante il fatto che abbia confermato la versione di Andrew sul mio rapimento, so bene che J mi nasconde ancora qualcosa.

Mi lascio sfuggire qualche lacrima silenziosa.
Certo è stato scioccante per me sapere che J aveva solamente intenzione di uccidermi, e ammetto che mi si è crepato il cuore.
Ma ora, mentre resto avvinghiata alla sua schiena, sento che questa verità non deve abbattermi perché mi sta proteggendo ancora. Proprio come ha fatto quando Mike e Amy  cercarono di tagliarmi l'orecchio e proprio come ha fatto quando Mike cercò di violentarmi.
J aveva ben altre intenzioni che quelle di uccidermi ed è per questo che non devo piangere, ma devo scoprire quale sia la reale verità che mi nasconde.

E poi, beh, quello che abbiamo vissuto dopo non è stata tutta finzione.
Noi ci siamo amati e consumati per davvero. Ci siamo sentiti, uniti e protetti a vicenda...

I ricordi del nostro breve tempo insieme mi fanno mancare un battito e mi stringo ancora di più a lui, fino a sentirlo perfettamente aderito a me.

Sono stupida, lo so.
Ma mi fido lui!

Dopo poco la moto percorre una leggera discesa e si infila in un garage già aperto sul retro di un palazzo malandato.

J spegne il motore e chiude la saracinesca mentre mi ordina di seguirlo.

Fa un po' freddo qui dentro e mi stringo nelle spalle mentre lo seguo un po' impaurita.

Ci inoltriamo lungo una scala in pietra sudicia poco illuminata.
C'è qualche lampadina al neon sui muri in salita che funziona a stento, e altre invece che si accendono e spengono ad intermittenza.
C'è puzza di piscio e un ragazzo è mezzo svenuto su un gradino con del vomito appiccicato su metà viso.

«Non guardare e cammina» mi riprende J davanti a me.

Vorrei poter dire che questo posto fa schifo e che ho perfino paura di venire contagiata da qualche strana malattia, ma J non deve sapere i miei pensieri.
Mi ripeterebbe che devo tornarmene a casa perché questa è la sua vita e io non sono in grado di poter reggerla. E non voglio sentire queste parole, già fin troppo ripetute.

Ora mi è ben chiaro che non ha nessuna intenzione di cambiare e che ha intenzione di vivere in questo modo, ma almeno ho bisogno che mi dica la verità, i suoi segreti, tutto quello che mi nasconde e i suoi reali sentimenti nei miei confronti.

J si ferma al secondo piano e qui ci sono ben sei porte, tutte scheggiate, malamente pitturate e sui muri scuri ci sono varie scritte. Sono raffigurati per lo più peni di varie dimensioni oppure insulti verso qualche ragazza o ragazza.
Si sentono alcuni schiamazzi. Un uomo grida "Troia" a qualche donna che urla di rimando. Una musica rap attutita e un bambino che piange.

Ma dove diavolo sono?

J apre l'ultima porta sulla destra, recuperando una chiave da sotto una mattonella, e mi fa entrare per prima.
Mi segue richiudendosi la porta alle spalle e accende una piccola lampadina che penzola da sotto il soffitto, basso e scorticato per colpa di varie chiazze di umidità.

C'è un solo vano arredato con un divano-letto sfatto posto sotto ad una finestra con del nastro adesivo marrone attaccato su una crepa nel vetro, accanto una cassettiera di legno grezzo, un piccolo tavolo con due sedie pieghevoli, un frigorifero arrugginito e un angolo cottura completamente bruciacchiato. E non voglio immaginare come sia il bagno.

Rapita - parte 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora