Capitolo 32

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«Elinor, posso sedermi?» Mi dice lui non appena si ferma al mio tavolo.

Resto immobile con la tazza di caffè stretta tra le mani e non riesco a dire nemmeno una parola.
Cerco di guardarlo in viso e capire chi diavolo possa essere, ma il cappello che indossa gli oscura gran parte del viso. E poi, anche il tono della voce non mi sembra affatto familiare.

Ma lui, anche senza il mio permesso, si siede difronte a me. Nota il mio cellulare sul tavolo e io istintivamente lo prendo e lo metto nella tasca dei jeans, pronta a chiamare qualcuno semmai dovesse avere l'intenzione di farmi del male.

«Stai tranquilla» sembra leggermi nel pensiero oppure deve essere evidente il terrore sul mio viso «Voglio solamente parlarti. Sai, un discorso innocuo proprio da padre e figlia» percepisco il suo sorriso, ma io mi acciglio.

«Ma chi è lei?» Trovo il coraggio di chiedere.

Allarga le braccia «Tuo padre» e si toglie il cappello rivelando un viso a dir poco raccapricciante.

«C-cosa?» Mi ghiaccio all'istante e lui sorride, rivelando la forma della mascella un po' distorta.

Ha pochissimi capelli e gran parte del suo viso ha delle grosse macchie dovute a delle ustioni gravi.

Non riesco a staccargli gli occhi di dosso e penso di scappare da un momento all'altro.

«Tua madre non ti ha mai parlato di me?» Chiede fintamente offeso.

Faccio cenno di no con la testa e inizio a guardarmi intorno alla ricerca di una via di fuga. Possibile che sia davvero lui il tizio che ingravidò mia madre?

«L'avevo immaginato, sai? Lei e Leonard erano perfetti per stare insieme... E stupido com'è ha creduto all'istante che tu fossi figlia sua»

«Leonard è mio padre!» Lo interrompo.

«Non essere sciocca» risponde scuotendo la testa, ma non perde il sorriso storto «Ti ho vista crescere, Elinor. E tua madre ha sempre saputo della mia presenza, nonostante mi fosse stato vietato di avvicinarmi a te»

Ma io non so cosa rispondere. Mi rifiuto di crederci.

«Poi...» continua «Sei scappata e mi hai reso tutto più facile»

«Perché ci seguiva in continuazione?" Chiedo trovando il coraggio di non temerlo.

«Perché sono tuo padre! Merito di stare con mia figlia, non credi? Ora sei adulta e puoi decidere di fare le cose anche per conto tuo»

«E perché dovrei crederla? Nessuno mi ha mai parlato di lei. Io non ho la certezza di essere davvero sua figlia. Sono sempre cresciuta con Leonard e lui non mi ha mai fatto mancare nulla. E ora, se non le dispiace, dovrei ritornare a casa!» Faccio per alzarmi ma lui mi blocca puntandomi sul dorso della mano la forchettina del dolce, e preme leggermente intimandomi di farmi ritornare a sedere.

Il cuore salta qualche battito e mi siedo, zittendomi di colpo.

«Hai ragione» inizia lui «Non hai nessuna certezza, e poi chi mai vorrebbe un padre come me? Sono un poveraccio vecchio e deturpato... Ma immagino che tu non sappia nemmeno chi mi ha procurato tutto questo» si indica le ferite sul viso e io continuo a stare in silenzio. Ma con l'altra mano libera, sotto il tavolo, sfilo piano il telefono dalla tasca e cerco di chiamare mio padre.
«Non lo sai?» Aggiunge.

Faccio cenno di no e posa la forchetta prendendo un profondo sospiro «È stato lui...»

«Lui chi?» Chiedo puntando più volte lo sguardo verso l'entrata per distrarlo e per poter pigiare il numero di mio padre.

«Jack!» Sbotta, ma non si lascia distrarre «Lui mi ha fatto tutto questo!» E sembra innervosirsi non appena pronuncia il suo nome.
Ma cosa c'entra J con lui? Forse l'ha ferito per tenerlo lontano da noi? Quindi J sapeva che quest'uomo è mio padre?

Ma io continuo a non rispondere e deve notare la mia espressione confusa perché aggiunge «Davvero non ti ha detto nulla? Eppure lo avevo avvisato» e riprende a giocare con la forchetta, e approfitto per dare uno sguardo al mio cellulare non appena abbassa lo sguardo.
«E certo che non ti ha detto nulla di me. Jack è solamente un fallito. Un piccolo bastardo che porta ancora il peso delle colpe di non aver saputo proteggere quella puttana della madre e quella drogata della sua fidanzata» parla con disprezzo e io intuisco tutto all'istante.

Non può essere!
Non può essere che il patrigno di J sia davvero mio padre.
No! Mi rifiuto di credere che mio padre sia un uomo spietato e senza cuore!
Non posso dimenticare il male che ha fatto a J quando era solamente un bambino e non posso accettare le botte date a quella povera donna che lo amava, e per finire la casa distrutta di Frank e Evelyn. No! Assolutamente non posso accettarlo!

E se J l'ha ridotto in questo stato pietoso allora sono contenta! Sì, perché io lo conosco solamente come un uomo spregevole e non come un padre amorevole che ha fatto di tutto per vedere sua figlia.

Abbasso per un attimo lo sguardo e stringo il telefono nel palmo. «I-io vorrei parlarne con mia madre...» dico forzando il tono pacifico e cortese, lasciando cadere i suoi pareri su J.

«Mi sembra giusto» dice raddrizzandosi con la schiena e intanto io ho avviato la chiamata a mio padre.

«Mi capisca... Lei mi sta dicendo una cosa del tutto nuova che nessuno mi aveva mai accennato prima d'ora. Sono un po' scossa adesso e non è neanche una delle mie giornate migliori» spero che mio padre stia ascoltando, ma intanto il mio cuore batte a mille.

Lui annuisce e con lo sguardo si perde per qualche attimo nelle luci al neon del soffitto.
«Certo. Capisco perfettamente. Ci sta che questa notizia ti abbia scioccato, ma non credere che sia tanto stupido da non sapere che stai armeggiando con il cellulare sotto il tavolo. Stai chiamando Jack?»

«Non sto chiamando Jack!» Sbotto alzandomi di scatto e mi porto il cellulare all'orecchio «Papà!» Urlo e mi rassicuro non appena sento a sua voce.

«Con chi sei, Elinor?» Chiede allarmato e intanto io cerco di scappare.

Ma questo tizio che insiste di essere il mio vero padre, mi afferra per un braccio e io mi dimeno attirando tutta l'attenzione della caffetteria che corre in mio aiuto.
Qualcuno inveisce su di lui intimandogli di lasciarmi andare e per non attirare attenzione, lascia la mia presa e intanto io scappo fuori mentre dico a mio padre il posto in cui mi trovo, servendomi dei nomi delle insegne che ci sono intorno.

Ma un'interferenza interrompe la chiamata e quando arrivo alla mia auto, mi accorgo di aver lasciato le chiavi all'interno della caffetteria. Ma col cavolo che vado a riprenderle e quindi inizio a scappare per strada alla ricerca di un taxi che possa portarmi direttamente a casa.
Sono sicura che mio padre farà qualcosa e che avviserà la polizia, anche se forse non dovrei allarmarmi più tanto. Non credo voglia farmi del male. Lo avrebbe già fatto, no? Ha solo cercato di mettermi paura per costringermi ad accettare il fatto che sia davvero mio padre, niente più. E ora è braccato all'interno della caffetteria mentre io ne approfitto per allontanarmi e nascondermi, ma non rinuncio a chiamare J nonostante il mio telefono stia per spegnersi.

«Elinor...» mi risponde appena dopo due squilli.

«Tu! Lo sapevi che quel pazzo del tuo patrigno dice di essere mio padre?» Sbotto a squarciagola e col fiatone.

«Dove cazzo sei Elinor? Ti ha fatto qualcosa?»

«Lo sapevi sì o no?» Insisto.

«Elinor dimmi dove cazzo sei!»

«Non lo so come diavolo si chiama questo posto. In una caffetteria alla stazione di servizio Johnson & co. Ma tu perché non mi hai detto nulla? Che diavolo vuole da me?» Il suo tono allarmato e la domanda di prima Ti ha fatto qualcosa? mi mette seriamente in ansia.

«Ascoltami: prendi la seconda dopo la stazione alla tua destra e prosegui sempre dritto. Riconoscerai immediatamente la strada e ti troverai a casa di Frank e Evelyn. Rimani lì. Sarai al sicuro...» e la chiamata cade mentre sta per aggiungere dell'altro e il mio cellulare si spegne.
Ma seguo le sue indicazioni e corro per la strada senza fermarmi un attimo. Non appena sarò arrivata userò il loro telefono per chiamare mio padre e farmi venire a prendere, e i battiti del mio cuore iniziano a decelerare non appena riesco ad allontanarmi un bel po' dalla caffetteria.

Rapita - parte 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora