-JennyL'aula continuava a riempirsi a dismisura, come se fosse stata progettata per contenere il doppio del numero di persone per il quale era stata costruita, agli inizi del 2000.
Visi familiari, altri sconosciuti, semplici concittadini newyorkesi che si erano disturbati così tanto da venire a seguire un processo a fini mafiosi, in una splendida giornata di sole come quella.Completi eleganti, gente sorridente che si faceva avanti nel bel mezzo della folla alla ricerca di un posto a sedere per la famiglia, mentre altri si scambiavano la mano chiacchierando con amici che probabilmente non vedevano da anni a questa parte. Un'atmosfera alla quale noi non potevamo ambientarci insomma, perché non ne avevamo motivo.
Dopo due lunghe ore di sentenze, domande, schiamazzi, obbiezioni in aula, il giudice Jonathan Wilson Robert Brown, dopo essersi più volte confrontato con la giuria, schierata alla sua sinistra, nel corso dell'udienza, prese la sua decisione e attirando l'attenzione su di lui, dopo minuti di intenso frastuono, batté l'insopportabile martelletto in legno sul piombo.
Gli sguardi dei miei ragazzi erano terrorizzati, spenti, non li avevo mai visti così soppressi, così spaventati. Il nostro futuro pendeva da quelle labbra che tardavano a parlare, ormai.
Fu lì che immaginai l'idea di un'altra vita, completamente distaccata da quella che avevo scelto di vivere nel corso della mia macabra adolescenza. Immaginavo una casa, una bella casa su un bellissimo prato verde in una splendida giornata cocente di maggio, un cucciolo di labrador color sabbia con tinte più scure sotto la pancia che giocava all'aperto con dei bambini, magari i miei, quelli che non avrei mai pensato di avere in vita mia ed un marito, che mi cingeva i fianchi e mi scaldava il collo, guardando con stupore quello che insieme eravamo riusciti a creare. Mi sentii viva, anche nella mia stessa disperazione.
Tutti si ricomposero velocemente quando l'onorevole, schiaritosi la voce, parlò.
"Quest'oggi, si è deciso in aula la sorte di questi due gruppi di malviventi, che per anni hanno fatto fede alla malavita. Ed è per questo che la giuria ha preso la sua decisione." Vidi Louis stringere la mano di suo fratello, Ashton asciugare la sua fronte sudata più volte, Harry sembrar voler svenire all'istante, Zayn mordersi ripetutamente il labbro inferiore e tamburellare con un dito la spalliera della sedia davanti a lui ed io, sofferente per i dannati tacchi e speranzosa di poter avere ancora una seconda chance, soprattutto quando mi focalizzai senza volerlo con lo sguardo su quel biondo, che biondo non era.
Nonostante la forte tensione e il discorso fluido del giudice, io, continuavo insistentemente a chiedermi in cuor mio, dove avessi sbagliato con lui. Se averlo tenuto all'oscuro dalla verità per tutto il tempo fosse servito a qualcosa.
Piccoli flashback di tutti i momenti passati insieme, riaffiorarono nella mia mente.
"La vita è una scalata Jenny, non un monte premi. Non puoi puntare su nient'altro che su te stessa. Siamo gli artefici della nostra sorte, cattiva o buona che sia. Manovriamo noi la vita, noi con le nostre scelte." Mi diceva sempre.
"Vorrei che tu provassi a sentirti sempre così, libera dalle oppressioni della gente, libera di vivere" mi ricordò su quella terrazza di quel grattacielo, assaporando il vento tra i capelli, che dividevano i nostri volti.
"Vorrei che non scordassi mai come vivere veramente." Mi sibilò all'orecchio, stringendo il mio ventre con le sue braccia, fiondando il suo viso nell'incavo del mio collo.
Quante volte avevo sbagliato? Quante volte lo avevo allontanato e fatto di lui una colpa?
Quante volte avevo perso tempo a pensare al mio futuro, dimenticandomi di vivere l'attimo? Quanti attimi ci erano stati rubati a causa del mio orgoglio?
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Forgive me » n.h
FanfictionIl perdono non era di certo il mio forte. Come si riusciva a perdonare delle persone che avevano letteralmente rovinato la tua vita? Come si poteva far finta che il dolore non fosse il responsabile delle scelte che ti erano state riservate? E com...