Capitolo 5

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Sono già passati cinque giorni dall'inizio della 'punizione'. Le indagini le stava portando avanti il capitano in persona. Non è che non si fidasse degli altri agenti, pensava solo che dato che avevano iniziato le indagini Kaylie e John era giusto farle continuare a loro.
Un pochino li dispiacque tenerli dietro la scrivania, voleva farli tornare sul campo, ma in lui c'era sempre il timore dell'insubordinazione che non lo faceva stare tranquillo. La sua paura più grande è che poteva accadere qualcosa di brutto ai suoi agenti e lui non sapeva dove fossero. Era protettivo con tutti.
Era talmente preso dai suoi pensieri che non si accorse che qualcuno stava arrivando nel suo ufficio; era Stephanie, o come la chiamano tutti Steph.
Aprì la porta sicura che Stevens l'avesse vista. Appena la vide Roger indietreggio di qualche passo scuotendo la testa tornando alla realtà:
"Oh mi scusi. Non avevo capito che era sovrappensiero".
"Non si preoccupi Stephanie" era rimasto l'unica persona che ancora la chiamava con il nome completo.
"Le serve qualcosa?"
"Le ho portato dei documenti. Penso che riguardino l'indagine in corso, quella dell'ultimo omicidio. Quello che sta seguendo Kaylie.."
"Si ho capito. Dammi pure. Grazie"
Steph li passò i documenti non guardandolo negli occhi. Ogni volta che lo guardava arrossiva e iniziare a balbettare e, a volte, a dire frasi senza senso. Il capitano era talmente preso dalla dall'iniziare a leggere da non accorgersi immediatamente che lei lo stava ancora fissando. Si imbambolava sempre.
"C'è qualcos'altro?"
"Oh no". E scappò via dall'imbarazzo. Tutti sapevano della sua cotta. E come sempre il diretto interessato non si accorgeva.
Erano passati alcuni anni da quando lo vide per la prima volta, ma non si è mai fatta coraggio. Si vedeva una donna non tanto bella. Invece lo era eccome: 45 anni, capelli ricci castani, occhi verde chiaro, alte e snella, teneva al suo fisico, ma nonostante tutto non si credeva all'altezza. Quando tutti la guardavano era impossibile non fare un confronto: lui 56 anni, ma non era quello il problema; robusto con un pò di pancetta, capelli cortissimi quasi a zero, occhi castano scuro ed era poco più basso di lei, senza tacchi. Ormai aveva rinunciato persino a quelli dalla volta che erano vicini e lui l'aveva guardata dal basso verso l'alto rimarcando la differenza di statura.

Appena Stevens finì di leggere i fogli si tirò indietro nella sedia e rimase a guardare il soffitto come se stesse cercando qualcosa.
Non capiva cosa centrassero un tagliacarte e una mazza da golf.
Ad un tratto riprese a leggere con più attenzione:
"Pugnalato al petto, dritto al cuore con un tagliacarte. Pestato presumibilmente con una mazza da golf".
Si ripeté le due frasi per cercare di dare un senso a quelle righe, ma non ci riuscì.
Era come se si stesse ossessionando nel tentativo di venirne a capo.
"Medicina legale. Chi parla?"
"Sono il capitano Stevens. Mi ha fatto portare dei documenti dalla signorina May. Le posso chiedere se siete sicuri che sia proprio una mazza da golf lo strumento utilizzato per il pestaggio?"
"Ne siamo sicuri al 99,9%. Abbiamo riscontrato delle pestature sul cranio conformi alla mazza. I particolati ritrovati fanno si che sia pure una di quelle costose. Ora non ricordo il materiale, ma.."
"Ho capito. Mi bastava questo. La ringrazio. Arrivederci" e mise giù la cornetta senza rendersi conto di non aver aspettato il saluto dall'altra parte.
"Ragazzi, è ora di pranzo. Mollate quelle carte e andate a mangiare".
Kaylie e John non credevano a quelle parole. Il capitano era uscito dall'ufficio per farli staccare un pò dal lavoro che stavano facendo.
Talmente erano contenti di quelle parole, che furono come n angelo sceso sulla Terra, che non se lo fecero ripetere due volte. Corsero subito via per paura che Stevens potesse cambiare idea.
Appena rientrarono in ufficio, dopo circa un'ora dato che non volevano assentarsi troppo, ci rimasero un pò male; pensavano che la 'punizione' era terminata, ma evidentemente si sbagliarono e tornarono tra quelle carte. A terminare il lavoro.
"Ragazzi, siete andati a casa di Peter Key?"
"No capitano. Ci stavamo andando cinque giorni fa quando ci ha richiamato" rispose John.
Il capitano fece solo un cenno per annuire che aveva capito. Sembrava che li volesse veramente torturare. Prima li ha mandati a pranzo, poi quella domanda.
Si misero nuovamente a catalogare i fogli, che sembravano non finire mai.
Quasi alle 18:00 chiamò i due agenti e annunciò:
"La vostra 'punizione' finisce domani. Vedete di obbedire stavolta. E ora fuori. Tornate a lavoro".
Li mandò nuovamente via con un piccolo sorriso sulle labbra. Kaylie fece un salto di gioia. Finalmente poteva tornare a investigare su quel caso di omicidio.

Il giorno successivo mentre erano tutti e tre nel suo ufficio, Stevens mise al corrente Kaylie e John delle nuove scoperte, anche se non erano poi così tante.
"Andate a parlare con questo Day, Key, Rey o come diavolo si chiama. Vediamo se almeno lui sa qualcosa".
"Si capitano" e uscirono per avviarsi verso casa di quell'uomo con la speranza che almeno lui avesse qualche informazione.
Non ci misero molto. Arrivarono dopo circa mezz'ora, quasi per l'ora di pranzo. La Gold guardava estasiata quel quartiere; era molto raffinato, case con giardino a destra e a sinistra. Le dava una sensazione di tranquillità. Assomigliava molto al suo.
Si fermarono davanti a una casa rosa chiaro, il giardino aveva un recinto bianco e delle piante piccole molto curate. Bussarono alla porta due volte. Non sembrava ci fosse nessuno all'interno. Come si girarono per andare via aprì un uomo di bell'aspetto; non era molto alto, ma aveva due occhi che rimandavano al celeste molto chiaro, quasi ghiaccio.
"Salve" salutò con aria di stupore. Non si immaginava di aprire la porta e di trovarsi due agenti davanti.
"Si. Siamo gli agenti Carter e Gold. Cerchiamo il signor Peter Key" rispose John.
"Sono io. È successo qualcosa?". La sua espressione cambiò immediatamente diventando interrogativa e cupa.
"Vorremmo farle qualche domanda su dei suoi vecchi amici se fosse possibile" aggiunse poi.
Si accomodarono tutti e tre in un grande salone. John tirò fuori dalla tasca ella giacca la fotografia che lo ritraeva con gli altri 5 amici.
Peter la guardò e abbozzò un sorriso affermando:
"Non vedevo questa foto da un'eternità. Dove l'avete presa?"
"Dal padre di Michael Black" rispose Kaylie per poi domandare:
"Siete ancora in contatto?"
"No. Ci siamo tutti persi di vista. I gemelli Gordon sono partiti per l'Europa quando eravamo ragazzini. Gli altri, invece, da quando mi sono diplomato e mi sono trasferito qui. Da ragazzo non ero un santo e dopo il diploma ho deciso di chiudere con il passato e con i casini. Ora vivo qui con mia moglie Lois e i miei due figli Samuel e Sarah. Come mai tanto interesse?"
"Ci dispiace darle noi la notizia, ma Michael Black e Karl Dale sono stati uccisi e speravamo che potesse dirci qualcosa" rispose la Gold.
"No. Non so che dirvi. Sono anni che non li vedo e non li sento. Non so che fine possano aver fatto. Mi dispiace per loro".
Lasciarono nuovamente un altro bigliettino nella speranza che se ci fosse qualcosa, qualsiasi cosa, di essere chiamati.
Per i due era un nuovo buco nell'acqua. L'indagine sembrava non portare a niente.
Avevano un altro tentativo da fare. Parlare con David Johnson.

Dopo il pranzo aspettarono con impazienza in macchina che rientrasse l'uomo. Questa volta non volevano farselo sfuggire. Appena lo videro scesero subito dal veicolo e li corsero contro.
Dalla prima Johnson non sembrò affatto contenti di vederli.
"Ho pagato tutto. Non ne ho più una" gridò e cercando di raggiungere al tempo stesso la porta di casa.
La Gold e Carter non capivano di cosa stesse parlando.
"Si fermi. Non sappiamo di cosa stia parlando" gridò a sua volta Kaylie.
L'uomo si fermò all'improvviso esclamando:
"Pensavo che foste per le multe. Vi giuro che le ho pagate tutte!"
I due agenti si guardarono prima in faccia e in coro risposero:
"Ha fatto il suo dovere!". Non era la prima volta che capitava loro di dire le frasi insieme, come se pensavano sempre la stessa cosa.
I tre entrarono in casa e si accomodarono nel salotto.
"Che diavolo sta succedendo? E David?"
Johnson fece uno scatto alzandosi in piedi appena arrivò la moglie dall'altra stanza.
"Ah, siete ancora voi!" esclamò alla vista degli agenti.
"Come ancora voi?!" chiese stupito l'uomo rivolgendosi alla donna.
"Sono venuti qui qualche giorno fa che ti cercavano".
"E non mi hai detto niente?"
"Si vede che me ne sono dimenticata!"
"Come al solito. Ogni volta che qualcuno mi cerca fai sempre così. Non è più tollerabile una cosa del genere".
Kaylie e John provarono a sedare quella discussione, ma non ebbero molto successo. Furono cacciati dalla casa; fecero in tempo a lasciare nel tavolino posto all'ingresso il bigliettino con i recapiti telefonici.

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