Capitolo 15

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Il giorno successivo, di prima mattina, Steph stava arrivando alla centrale per portare il referto dell'autopsia su Turner che si era svolta puntualmente ieri sera alle 20:00.
Arrivò davanti all'ufficio di Stevens, bussò, ma non rispose nessuno.
«Non è ancora arrivato.» disse una voce alle sue spalle. Steph, a quelle parole, si voltò.
«Sono le 8:00, arriverà comunque a momenti.» continuò ad aggiungere guardando l'orologio. Era un uomo. Basso e con i capelli rasati a zero. Pareva avere circa 30 anni. Stephanie lo scrutò con attenzione, e pensò che per l'età che doveva avere sicuramente era in sovrappeso.
«Grazie. Aspetterò fuori allora.» Rispose.
«Può aspettarlo comodamente in quella sedia li» aggiunse lui indicando il posto.
«Ah. Allora aspetterò li. Grazie.» Disse sorridendo.
«Prego. Comunque io sono Genaro.»
«Stephanie.» Così dicendo si presentarono e si strinsero la mano.
«Io ora devo andare. Il mio turno è finito. È stato un piacere conoscerti.»
«Anche per me. Allora buon riposo. Ciao.»
Genaro ricambiò il saluto con un gesto della mano e si avviò verso la porta. Nel momento che fece per uscire entrò Stevens, e ci mancò poco che si scontrassero.
«Signorina Stephanie. Ha portato qualcosa per me?»
«Si capitano» disse alzandosi un pò goffamente.
Talmente era preso dalla gestione della stazione di Polizia che non si è ancora reso conto della cotta dell'assistente della patologa per lui.
«Le posso offrire un caffè?»
«Si, grazie.»
La ragazza non prendeva mai più di un caffè al giorno, ma a quell'invito non poteva proprio dire di no. Era cotta, ingenua, ma non stupida. Sapeva bene quando afferrare le occasioni.
«Prego, si accomodi.» Disse Stevens indicando il divanetto in un angolo della stanza, vicino alla macchinetta del caffè, e al lato della scrivania.
«Quanto zucchero?» Aggiunse prendendo le bustine e voltandosi verso la sua ospite in attesa di risposta.
«Uno, grazie.»
«Sa, è la prima persona che conosco che dopo ogni gesto cortese ringrazia.»
«Ah. Io...»
«È una cosa molto educata. Questo è quello che intendevo.»
«Bè, la devo ringraziare ancora. Stavolta per il complimento, ma le dico anche grazie per il caffè.» disse prendendo la bibita calda che le stava porgendo il capitano.
I due si sorrisero per qualche secondo, bevendo poi l'espresso in silenzio, per gustarlo meglio.
«Buonissimo.»
«Eh, lo so. È italiano! In un viaggio che ho fatto in Italia, sono stato nella regione che si chiama Campania. Li sono andato in un bar a Napoli. Quando ho chiesto un caffè ho detto: "un caffè espresso". Il barista mi ha guardato come se fossi un alieno, e allora mi ha detto: "guardi, è già sottinteso che il caffè è espresso. Non bisogna sottolinearlo". Poi, porgendomi la tazzina aggiunse: "Poi, se vuole gustarlo meglio, non lo deve bere troppo veloce. Bisogna gustarlo. Anche per questo si dice: pausa caffè". Chi meglio di loro lo possono sapere?! Dal giorno ho deciso di bere solo questo tipo, per quello ho lasciato il mio numero di telefono e l'indirizzo, così me lo faccio spedire.»
«Ora capisco. Infatti è buonissimo. Io non sono mai stata in Italia, mi piacerebbe andarci un giorno.»
«Gliela consiglio. È un bellissimo posto. Non a caso la chiamano: Il Bel Paese.»
Roger si alzò e si sedette nella sedia dietro la scrivania. Steph lo raggiunse sedendosi anche lei nella sedia, ma davanti alla scrivania.
«Allora, tornando alle cose più serie, mi può dire cosa avete scoperto?»
«Certo, allora: parliamo dei primi due omicidi?»
Stevens fece cenno di si con la testa e Steph, dopo aver tirato fuori i fogli dalla cartella celeste iniziò:
«Abbiamo trovato quello che potrebbe essere l'arma del delitto. Abbiamo chiesto aiuto anche al laboratorio per tutte le ricostruzioni.»
«Si, si. Va avanti.»
«Dai calchi e dalle risonanze risulta che Black e Dale sono stati pestati con un oggetto di lunghe dimensioni. Dalle particelle rilevate risulta che sia una mazza da golf. Non abbiamo capito se è la stessa o due identiche. Siamo riusciti, comunque, a risalire anche al modello, per via della loro composizione. Pare che siano pure di quelle costose. Poi, nel frattempo che venivano torturati con le mazze, venivano anche presi a calci e pugni. Questo è accaduto ante mortem, cioè prima della loro morte. Dopo giorni di agonia...»
«Agonia?»
«Si capitano. Erano agonizzanti. Abbiamo trovato delle ossa rotte e degli ematomi su tutto il corpo. Se non fossero morti per il colpo dritto al cuore, lo sarebbero per i traumi alla testa. Ci sono andati giù pesanti. Abbiamo rilevato delle fratture sulle ossa che si erano appena rimodellate, altre che si stavamo rimodellando e alcune che non hanno fatto in tempo perché li hanno uccisi subito dopo averle causate. Come le stavo dicendo, il colpo dritto al cuore è stato quello fatale. A causare ciò è stato un coltello. A parere nostro sembra un tagliacarte. La forma sembra coincidere. Infine...» disse girando pagina «dopo la morte, hanno cancellato le impronte digitali con dell'acido. Fortunatamente erano già morti. Hanno usato un acido molto corrosivo. Probabilmente chi lo utilizzato, se non è stato attento, avrà qualche cicatrice.»
«Sono stati dei sadici.»
«Un pò si.» disse facendo un cenno positivo con la testa. Poi aggiunse: «Probabilmente quando li torturavano li tenevano imbavagliati e legati in modo che non si potessero muovere. Quando sono stati trovati i corpi, come già sa, erano legati con del nastro e imbavagliati sempre con il nastro usato per i polsi. Dentro la bocca avevano un pezzo di stoffa. Sarà stato per non farli urlare.»
«Mi sa dire più o meno quando sono avvenuti i decessi?»
«Si. Black intorno al 20 febbraio, ed è stato ritrovato il 24, mentre Dale è stato ucciso intorno al 19 marzo, ed è stato ritrovato il 24. Hanno più o meno un mese di distanza tra una morte e l'altra.»
«Ok. Di Turner cosa sa dirmi?»
L'assistente patologa posò via i primi fogli e, sempre dalla stessa cartella, ne prese di nuovi.
«Di Turner li posso dire che è morto intorno al 9 di aprile. Dal laboratorio danno più o meno quel giorno per le larve ritrovate. La causa della morte sembrerebbe una contusione alla testa che li sarebbe stata fatale. È morto quasi subito. Sul corpo non aveva segni di tortura come gli altri due; abbiamo rilevato dei piccoli ematomi. Poi, aveva le nocche della mano lese, come se avesse fatto a pugni. Erano lesioni simili a quelle dei pugili. Dalla scheda non risulta facesse pugilato. Per quanto riguarda le ossa, poche fratture, ma nulla di serio. E per terminare, aveva i polsi legati. Hanno usato lo stesso tipo di nastro dei primi due, ma non risulta che fosse stato imbavagliato e che avesse qualcosa all'interno della bocca, infatti poi non abbiamo trovato nulla al suo interno. Tutto qui.»
«Ah!»
«Cosa c'è capitano?» chiese Steph con aria sbalordita.
«Strano che questo non sia stato torturato come gli altri due.»
«Questo è quello che dice l'autopsia. Io non so dirle altro.»
«Si, certo. Come al solito è stata molto gentile.»
«È il mio lavoro.»
«Arrivederci.» Salutò Stevens alzandosi e accompagnandola alla porta.
«Arrivederci capitano.» Rispose lei con fare timido.
Durante il lavoro e con tutte le persone, escluso il capitano, Steph si poneva come persona che non ha paura di dire la sua. Con la presenza della persona che le faceva battere il cuore ogni volta che lo vedeva, diventava una ragazzina impacciata e imbranata. Una che non sa mai cosa dire.
Uscì dall'ufficio con lo sguardo perso nel vuoto, avendo ancora nella mente il volto dell'amato e felice di quel caffè che le ha fatto scoprire un lato di lui che non conosceva. Lo aveva sempre visto come un uomo casa-lavoro, lavoro-casa. Ma da come le aveva raccontato quella vacanza, aveva capito che anche lui amava viaggiare. Avevano molte cose in comune, ma come fare il primo passo?
E con questa domanda tornò al suo laboratorio e al suo lavoro. Non aveva più scuse per stare li.

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