Capitolo 34

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Il giorno dopo John fu di parola. Andò lui a prendere la collega a casa sua; parlò immediatamente con i due agenti per sapere se c'erano stati movimenti strani, ma la nottata fu tranquilla.
Al suo risveglio Kaylie fu quasi bombardata di domande da parte dei suoi genitori, ma l'unica cosa che poteva dire è che era dovuta passare da John e che dopo li avevano seguiti e per sua sicurezza era stata mandata una pattuglia.
Tutto ciò non mise Mary ed Anthony con l'anima in pace, al contrario, li allarmò per la paura che potesse succedere qualcosa alla vita della figlia, che non tardò a cercare di rassicurarli e metterli allo stesso tempo in guardia.

Arrivata in auto John partì alla volta della centrale, seguiti dall'auto degli uomini che erano li come scorta.
Giunti a destinazione fecero finta di niente. Andarono al loro posto. Ad essi si avvicinò Terence che voleva sapere della bambina:
«Ciao. Tutto bene la piccola?»
«Oh si. Come sono arrivata a casa si è tranquillizzata subito. Ho fatto ciò che c'era da fare e questa mattina saltava già sul letto, segno che sta meglio.»
«Sono contento. Magari organizziamo un'altra serata se ti va.»
«Certo.»
Dal suo ufficio Stevens chiamò sia Kaylie che John. Era ora di lavorare. La ragazza si scusò, ma doveva andare dal capo, e si allontanò; poco dopo anche Terence tornò al suo posto, con dei piccoli dubbi. Li era sembrato strano il comportamento della collega che aveva poco prima. Li era apparso un pò sfuggente.
«Buon giorno capo.»
«Buon giorno a voi.»
«Stamattina sono passato dalla signorina Stephanie per avere il referto dell'autopsia di Johnson. A volte la trovo molto strana quella ragazza. Boh.»
«Eh già. Chissà che avrà mai.» Rispose Kaylie.
«Magari bisogna stare più attenti e osservare bene i suoi segnali per capire cos'ha.» Aggiunse John.
«E con questo che vuoi dire?»
«Oh nulla capo.»
Niente. Nemmeno in quell'occasione il capitano capì che l'assistente della patologa ha una cotta per lui.
«Allora iniziamo.»
Gli agenti si sistemarono meglio sulla rispettiva sedia e Stevens nella sua dall'altra parte della scrivania, e iniziò a leggere quei fogli:
«Aveva dei grossi traumi alla testa; ossa rotte; anche lui, come Turner, presentava delle lesioni sulle nocche delle mani come se avesse fatto a pugni; lividi su tutto il corpo; poi qui parla dei due interventi che ha subito dopo il suo ritrovamento e che, al secondo, è morto in sala operatoria. La causa del decesso sono appunto le lesioni alla testa. Non c'è altro.»
«Una sorta di tortura.» Sentenziò Kaylie.
Stevens annuì. Poi guardò verso la vetrata. C'era Terence che li stava guardando.
Anche John si girò nella direzione in cui guardava il capitano e si voltò immediatamente dicendo alla partner di non girarsi e fare finta di niente.
Stevens li guardò come a chiedere spiegazioni e Carter lo guardò con il viso corrucciato e disse:
«Capo, dobbiamo dirle qualcosa, ma è il caso che lei non faccia movimenti strani.»
«Cosa è successo ragazzi? Su, parlate!»
«Forse sappiamo chi ha rapito la giornalista.»
Kaylie tirò fuori il braccialetto, lo tenne davanti a se mostrandolo al capitano, ma nascondendolo alla vista delle persone che potevano guardare all'interno dell'ufficio.
«Cosa c'entra quello?»
«È della giornalista. C'è inciso al suo interno un "K". È suo per forza.»
«Dove lo avete trovato?»
«L'ho trovato io a casa di Terence.»
«Camden?»
«Si.»
«Maledizione. Ne siete certi che lui c'entri qualcosa con il caso?»
«Si. Ora dobbiamo tenerlo sotto controllo.»
«Certo. Se non avete altro da dirmi andate a fare quello che dovete.»
Stevens rimase molto male a quella rilevazione. Più della verità sulla nascita di Daisy. Almeno quella era una bugia, Terence, invece, è un assassino e le persone li affidano la vita pensando di essere protette.
Poco prima che i due agenti potessero uscire dall'ufficio, il capitano si rivolse alla ragazza:
«Kaylie.»
«Si?»
«Stai molto attenta.»
«Stai tranquillo Roger.»
E uscirono.
Dovevano sbrigare un'altra faccenda: chiamare Bonn e interrogarlo.

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