Capitolo 24

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Nel pomeriggio John chiamò Vegas per interrogarlo. Mentre componeva il numero nella sua mente riecheggiavano ancora le parole di Kylie: "è il padre di mia figlia" e poi il pianto a dirotto. A riportarlo alla realtà è stata la voce di una donna dall'altra parte della cornetta:
«Pronto? Pronto?»
«Oh, mi scusi signora.» Riuscì a dire John prima che la donna riattaccasse.
«Eh finalmente. Pensavo fosse uno scherzo. Con chi parlo?» chiese la donna dall'altro capo del telefono. Dalla voce poteva sembrare una donna sulla cinquantina. Diretta e sicura di se.
«Cercavo lo Studio legale Vegas.»
«È questo, ma ora, mi vuole dire con chi parlo?»
«Si si certo. Sono l'agente John Carter della Polizia di New York City. La chiamavo per sapere se potevo parlare con il signor Carlos Vegas.»
«In questo momento è con un cliente.»
«Sa a che ora potrei richiamare?»
«No. Non so quanto si potrà trattenere con la persona che c'è ora.»
«Non ha altri appuntamenti?» domandò con fare stupito.
«Mi scusi, ma questo non glielo posso dire. Se vuole provi a richiamare intorno alle 18:30 - 19:00.»
«Farò così allora. Arrivederci.»
«Arrivederci.»
Chiusero la telefonata e l'agente aspettò delle notizie da Kaylie, che nel frattempo aveva mandato l'identikit dell'uomo nelle varie stazioni di Polizia della città e dei borghi. Se questo non fosse bastato l'avrebbero mandato a quelle di tutto lo Stato, e anche oltre confine se fosse necessario. Non dovevano tralasciare niente.
Aveva insistito John a voler chiamare lui stesso in quello studio. Non voleva che la collega parlasse direttamente con quell'uomo che in passato l'aveva fatta soffrire terribilmente abbandonandola con una bambina non ancora nata.
«Novità?» Chiese John vedendola arrivare.
«Per ora no. Devo richiamare più tardi. Tu invece?»
«Nulla. Ho mandato l'identikit e ora vediamo cosa ne esce fuori.»

Nel pomeriggio con accadde nulla e così Kaylie decide di cogliere l'invito che le aveva fatto Terence. Si sarebbero visti per quella sera. Un pò rimaneva titubante, ma al contempo entusiasta della cosa. Aveva l'occasione per conoscerlo meglio. Vedere che persona fosse.
«Questa sera esco con Terence.»
«Ok.» Fu l'unica risposta del collega. Non voleva andare oltre. Sapeva che a lui quella situazione non piaceva proprio. Ma in fondo, a lui, cosa doveva importarli? Niente.
John si alzò dalla sua scrivania e andò via. Per ora non c'era nulla da fare. Kaylie lo guardò per un attimo e tornò al suo PC. Non capiva proprio il suo atteggiamento.

Ore 18:45
«Studio legale Vegas»
«Salve. Sono l'agente Carter. Ho chiamato questo pomeriggio.»
«Ah si. Se attende qualche minuto le passo il signor Vegas.»
«Si. La ringrazio.»
Dalla cornetta partì una musica per attendere che dall'altro capo qualcuno sollevasse la cornetta. Era una musica fatta da un pianoforte. "Non è una musica di attesa classica" pensò John durante quell'attesa che li sembrò infinita.
«Pronto?»
«Eh, salve. Sono l'agente John Carter della Polizia di New York City. Parlo con il signor Carlos Vegas?»
«Si. Mi dica agente. Come le posso essere utile?»
«Vorrei convocarla qui al nostro distretto per domani mattina se fosse possibile.»
«Posso sapere il motivo?»
«Dobbiamo farle qualche domanda sul caso che io e la mia collega stiamo seguendo.»
«Non saprei proprio come posso aiutarvi sa. Comunque domani mattina non posso. Ho un'udienza in tribunale.»
«Allora può venire al pomeriggio.»
«Senta agente, in tal caso lo faccio per cortesia, ma lo sa benissimo pure lei come funzionano queste cose.»
«Certo, ed è per questo che l'ho telefonata. Se no, se preferisce, le mando l'avviso di comparizione.»
Vegas, in quelle parole, intuì che John non aveva molta voglia di stare al telefono e giocare con lui.
«Sono libero domani pomeriggio alle 15:00, le può andar bene?»
«È perfetto. A domani.»
Riagganciarono senza nemmeno salutarsi.
«Capo, dov'è Kaylie?»
«È andata a casa. Ha un appuntamento. Non lo sapevi.»
«Si, me lo ha detto. È con Terence Camden.»
«Già. Ma so che questo non ti piace.» Disse il capitano togliendosi gli occhiali e alzando lo sguardo.
«Non mi piace come persona. Ha la puzza sotto il naso.»
«John, Camden è un ottimo agente. A quanto ne so è anche una bravissima persona. Magari è quello giusto per Kaylie. Sanno tutti e due cosa vuol dire portare la divisa, insomma, troveranno qualcosa in comune!»
Roger intuì i pensieri dell'agente e aggiunse:
«Stai tranquillo. Kaylie se la sa cavare da sola.»
Quelle parole sembrarono rincuorare il ragazzo, ma non placare la sua sensazione che stava per accadere qualcosa di brutto.

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