CAPITOLO 29

1.3K 53 5
                                    

Aprii gli occhi. Non so come, ma di colpo aprii gli occhi e la testa inizió a vorticare furiosamente, come se le ombre dentro alla stanza stessero facendo a gara per acchiapparsi. Ció mi costrinse a richiuderli, ma poco dopo le palpebre si spalancarono di nuovo. Non ricordavo dove mi trovassi, e ci misi pochi secondi a focalizzare l'arredamento povero che mi cirondava. Una poltroncina consumata dall'usura era stata messa in un angolo della stanza, vicino ad un tavolino stracolmo di fiori spudoratamente finti. Un'enorme finestra occupava quasi tutta una parete, e una persiana verde era tirata su per metà. Solo la macchina che produceva dei bip costanti accanto al mio orecchio mi fece assicurare che ero in una camera d'ospedale. E di li a poco ricordai tutto. Io e Andrea che sfrecciavamo ad alta velocità, la BMW che spunta dopo lo stop, io che rompo il parabrezza della macchina e che finisco nell'asfalto ricoperto di vetri. Poi non so come sono arrivata qui.

I miei pensieri furono interrotti dall'arrivo di un infermiera dalla folta chioma rossa e dal camice bianco.

"Oh tesoro, ti sei svegliata, finalmemente. Come ti senti?"

"Mmh...bene" dissi con la bocca impastata.

"Oh, stai tranquilla. Tuo padre è qua fuori, e c'è anche una ragazza e un ragazzo."

"Andrea...come sta?" cercai di scandire le parole, mentre mi prudevano i tubicini che avevo incastrati nel naso.

"Oh, Lui sta bene. Ha solo bisogno di un po' di riposo. Era molto preoccupato per te. È il tuo ragazzo?"

Che infermiera impertinente!! Ma i cazzi propri mai, eh?!

Oh, la mia coscienza. Se la mia coscienza parlava voleva dire che ero viva e vegeta.

"No, é il mio ex..."

"Afferrato" disse l'infermiera.

Soggiunse una terza voce, più profonda e calda, preoccupata alquanto da farmi capire di chi si trattasse.

"Infermiera, come sta... Alice!"

Josh mi corse incontro, tutto trafelato. Si avvicino a me e mi prese una mano fra le sue, guardandomi negli occhi come fossi un cucciolo ferito. Ero così felice che almeno lui stesse bene, dopo tutto quello che era successo. Ma ora tutto sarebbe andato per il verso giusto. Tutto si sarebbe risolto per il meglio, ora che era arrivato Lui.

"Stai bene, tesoro?"

"Non molto... ho avuto tanta paura..." gli risposi con voce mozzata. Iniziai a piangere, forse per lo spavento, forse per lo stress, o forse per qualsiasi altra cosa. Lacrime calde mi percorrevano le guance, e non erano intenzionate a fermarsi. Prima lo stupro, poi l'incidente. Era troppo per me.

"Sshh, piccola mia. Non piangere" e mi bació sulla fronte.

Le sue labbra erano confortevoli, ed un brivido di calore mi percorse tutta la spina dorsale nello stesso attimo in cui ci fu un contatto fra di noi.

Oltre la sua chioma di capelli biondi intravidi sul ciglio della porta mio padre e Lisa. Josh si fece da parte per farli entrare e si avvicinarono a me. Papà aveva un aria frastornata, grandi occhiaie sotto agli occhi e uno sguardo inespressivo. Anche Libi sembrava aver avuto giorni migliori: Le era colato tutto il mascara e sembrava in procinto di piangere, anche lei.

"Siamo contenti che tu stia bene" mi dissero con dei sorrisi poco confortevoli.

"Fortunatamente io e Nina ci trovavamo già qui all'ospedale."

"Come, papà? Eravate già qui?"

Come mai erano tutti qua? Che cosa sta succedendo? E perché sembra che mi stiano nascondendo qualcosa?

Lisa diede una gomitata al braccio di papà, che abbassò la testa e si passò una mano fra i capelli.

"C'é qualcosa che non so?" chiesi preoccupata.

"Signore, non mi sembra il caso... è già abbastanza turbata per l'incidente..." intervenne l'infermiera.

"Papà! Che cosa é successo?"

La mia voce ora era ridotta ad un solo sibilio, quasi a prevedere cioé che era accaduto.

"Alice, noi eravamo già qui per tua sorella. Ha-ha avuto una crisi nervosa e siamo corsi in ospedale. Le hanno diagnosticato un..." e la foce di mio padre fu interrotta da un gemito, ma poi continuó "Un cancro al quinto stadio."

No.

Non è vero.

Una stupida barzelletta.

Non poteva essere vero, tutto questo.

La mia Dany, la bambina più bella del mondo, la bambina che le aveva suprate tutte con la sola forza di volontà, la bambina che aveva rasserenato le nostre buie giornate... No.

"No... Daniela... Non é vero, papà! DIMMI CHE NON È VERO! DEVO ANDARE DA LEI!"

E queste furono le ultime parole prima che la frustrazione prendesse il controllo del mio corpo. Iniziai a staccare tutti i filiche mi tenevano attaccata alle macchine, grossolanamente. Urlavo, imprecavo, e chiamavo mia sorella. Nella mia voce c'era dolore, rabbia, tristezza e tanto altro. Volevo andare da Lei, avrei voluto dirle che sarebbe andato tutto bene, che con me lei era al sicuro. Avrei voluto confortarla.

Scalpitavo per scendere da quel fottuto lettino d'ospedale, gli occhi rossi fuori dalle orbite, le lacrime ad offuscarmi la vista. Josh e papà mi tenevano, e non erano intenzionati a lasciarmi andare. Scalciavo e sbraccuavo, ma invano. Di colpo l'infermiera mi punse un braccio con una siringa, con qualcosa di molto efficace, perché mi rimisi subito a letto, tramortita.

No. Dovevo combattere e andare da lei. Ma che cavolo avevo in circolo nelle vene?

Poi la testa di nuovo prese a vorticare senza sosta. L'ultimo sussurro, prima di cadere in un interminabile sonno, mentre tutti mi guardavano, fu:

"Daniela..."

Ricomincio da MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora