CAPITOLO 31

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Tre mesi. I tre più lunghi mesi della mia vita. Dopo la prima visita, finalmente ero riuscita a sapere tutto sulla salute di Daniela. Leucemia, la stessa malattia della mamma. Un caso davvero strano, per essere solo una bambina di sette anni. Ancora non mi capacitavo di come fosse arrivato velocemente: perché a lei? La mia dolce Dany... perché Tu mi dovevi portar via anche lei?

I medici avevano da subito provato la chemio terapia, ma si erano fermati non appena videro che la cura la faceva star male più del tumore stesso.

Le avevano dato un mese e mezzo di vita. Al che ci eravamo tutti rassegnati.

I primi tempi piangevo tutte le sere, non appena se ne andava anche l'infermiera per il controllo notturno e non appena Daniela si addormentava. Poi, dopo aver finito anche le lacrime, mi rassegnai anche a quello. Non aveva senso quello che stavo facendo. Ma ormai cosa aveva più senso? Se non ci fosse stata la vocina fastidiosa della mia coscienza, probabilmente mi sarei buttata giù da un balcone. Ma poi c'erano anche le parole della mamma, che non mi avrebbe mai perdonato un gesto del genere.

Mi sentivo irrealizzata, mi sentivo vuota.

Ed ora? Finisce così? Condannata a vivere con i minuti contati?

Avrei voluto urlare tutto il mio dolore, ma non ce la facevo. Provavo e riprovavo davanti sllo specchio, ma non appena cercavo di cacciare un urlo non usciva altro che un suono stridulo e insensato. Anche la mia voce era troppo addolorata.

Per la prima volta riuscii a capire il significato della famosa frase 'vivi la vita come se fosse l'ultimo giorno'. Oggi ci sei, poi ti addormenti e magari non ti svegli più.

Così trascorsero questi mesi, pregando Dio, Allah, Buddah o qualunque altra divinità celeste di far risvegliare ogni mattina quella bambina, ma allo stesso tempo pregando che potesse lasciare questo mondo il prima possibile, per porre fine alle sue sofferenze.

Ci facevamo forza a vicenda, noi tutti, per non far pesare troppo questa tragedia, ma dentro eravamo devastati. Ero devastata.

L'unica che non sembrava triste era lei, Daniela. Non so dove la trovasse tutta quella forza, ma anche con una brutta malattia addosso, riusciva ad illuminare le nostre giornate.

Così trascorsero questi ultimi tre mesi, tra scuola e ospedale. Papà si era rassegnato nel chiedermi di andare a casa. Non l'avrei mai fatto. Sarei rimasta li con lei tutto il tempo che avrei potuto. Perché quando una persona se ne va, ti rimane sempre quella sensazione di non avere mai fatto abbastanza...

E anche in questa circostanza ho capito il significato della frase 'gli amici si riconoscono nel momento del bisogno'. Non appena Daniela si é ammalata, si sono dileguati tutti, come le blatte quando arrivano i disinfestatori. Compagni di classe, amici lontani, conoscenti si sono limitati a una serie di bigliettini e chiamate di condoglianze, ma nemmeno una visita.

Solo Lisa, Laura e Roberta hanno avuto il coraggio di rimanere accanto a me. O a quello che rimaneva di me. Ogni giorno mi accompagnavano in ospedale, e si davano il cambio per tenermi compagnia. Una volta mi portavano gli hamburger del Mc, un'altra il cibo cinese del ristorante non molto lontano da scuola. Cercavano sempre di farmi ridere, ma il più delle volte invano. Apprezzai molto i loro gesti, ma probabilmente ero troppo preoccupata dai miei problemi per accorgermene.

E poi era rimasto Josh. Ero sicura che non mi avrebbe mai lasciata. Nonostante non uscissi più da tre mesi, nonostante non avessi occhi altro che per Dany, lui mi stava vicino, tenendomi fra le sue braccia quando mi sentivo mancare, dandomi un bacio sulla fronte quando avevo carenza di affetto.

Tre mesi. I tre più lunghi mesi della mia vita. E poi successe quello che nessuno si augurava.

Una sera, eravamo solo io e lei, nella stanza, e le stavo leggendo un libro sulla principessa e il ranocchio. Leggevo e leggevo, cercando di rendere la lettura più coinvolgente.

"E mentre la principessa si avvicinava all'orribile ranocchio..."

"Ali..." la sua vocina flebile staccó i miei occhi dal libro.

La macchina che controllava i battiti cardiaci produceva i suoi soliti bip, ma passavano troppi secondi tra un suono e l'altro per essere un battito normale. Iniziai a preoccuparmi

No, non puoi andare adesso... non sono ancora pronta.

"P-prometti di rimanere con me...?"

"Daniela devo chiamare l'infermiera!" esclamai con voce disperata.

"No..." mi rispose lei in un soffio.

"Non posso non fare nulla! Devo chiamare qualcuno! Cosa ti senti? Ti fa male qualcosa?"

"Resta con me."

Restare li? Senza avvisare nessuno? Aspettare che la morte la cogliesse fra le mie braccia. Non cel'avrei mai fatta. No, non mi poteva chiedere questo. Non sapevo se era un falso allarme o se stava per lasciarci veramente. Il suo faccino dolorante mi fece cambiare idea. Mi accoccolai di fianco a lei, una mano nella sua, l'altra ad accarezzarle i ciuffetti di capelli. Ormai non era più una bella bambina, ma un mucchio di ossa tenute insieme da un sacco di pelle color cenere. Il viso scarno, gli occhi spenti. Persino loro avevano perso la loro naturale lucentezza verdastra. Il mio cuore batteva velocemente, ma questa volta non avrei pianto. Volevo che l'ultimo ricordo che avesse di me fosse quello di una sorella in gamba, che non si fa trascinare dalle paure degli attimi.

Lei era immobile, gli occhi aperti, le mani strette nelle mie. La mia piccolina. Aveva dimostrato un grande coraggio nella sua breve vita. Non meritava di andarsene così.

Per la prima volta in questi tre lunghi mesi una lacrima solitaria le scese dalla guancia, e sussurrò:

"Resterai con me?"

"Sempre."

E i bip della macchina che ci stava accanto si trasformarono in un fischio continuo.

Addio, Principessa ♥.

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