CAPITOLO 30

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PREMESSA:

Se ne avete la possibilità, come sottofondo di questo capitolo, ascoltate una musica triste. Per Esempio "Let her go" dei Passenger/"Secrets" dei One Republuc/"Say something" di A Great Big World ft. Christina Aguilera. Buona lettura :3 ♥

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Non sento voci intorno a me. Fluttuo in uno spazio infinitamente bianco, che non ha ne inizio ne fine. Non mi piace questo posto. La roba che mi deve aver iniettato quell' infermiera dev'essere davvero forte. Non so dove andare, non so cosa pensare. Non so più nulla.

A poco a poco vedo il bianco affievolirsi, e inizio a sentire le voci intorno a me. Un mormorio di voci che riesco a riconoscere.

Sbattei le palpebre e mi ritrovai nella stessa stanza d'ospedale. Nina era appoggiata al bracciolo della poltroncina, con la sua solita tuta in ciniglia e le scarpe da tennis. Vicino a lei, su una sedia a rotelle c'era Andrea. Mi avevano detto che non aveva riscontrato danni dopo l'incidente, ma a quanto pareva erano tante le cose che mi nascondevano.

"Hei..." riuscii a sussurrare, attirando l'attenzione dei due.

"Oh tesoro" disse Nina avvicinandosi a me e prendendomi la mano.

"Per quanto ho dormito?"

"Due giorni. L'infermira ti ha dato una corposa dose di morfina..."

"Caspita... Come stai, Andrea?"

Lui alzó la testa e mi rivolse un sorriso triste.

"Sto bene. Ho solo una slogatura alla caviglia. Tu come stai?"

Già, io come stavo? Come mi sentivo in questo momento? Io non mi sentivo, era diverso. La mia salute ora non era importante. Mia sorella stava per morire, come avrei mai potuto sentirmi? La luce dei miei occhi, il sangue del mio sangue, la ragazzina che avevo accudito come se fosse mia figlia, la bimba che avevo giurato di difendere a costo della mi stessa vita ora ci stava lasciando. Ed io me ne stavo su una barella, impotente e senza più lacrime da versare per una tragedia.

"Voglio vederla" fu la mia risposta.

Per un attimo la stanza fu sommersa dal silenzio, quel silenzio inquietante di chi non sa che dire o cosa fare. Poi la porta blu della stanza si aprì, e si fece largo nella stanza un infermiere che portava una carrozzina. La mia carrozina. Mi aiutò a scendere dal mio giaciglio e mi sedetti sulla sedia a rotelle nera, con la seduta in pelle fredda che mi gelava il corpo.

Non feci caso al tragitto che dovetti fare per arrivare alla stanza di Daniela. Riuscivo solo a pensare a come l'avrei trovata e cosa le avrei potuto dire.

Giungemmo davanti ad una porta verde, che aveva degli adesivi ingialliti attaccati. Penoso tentativo di abbellire una porta d'ospedale.

L'infermiere spalancó la porta e davanti ai miei occhi si presentó uno scenario pensoso. Lo stesso scenario che avevo visto dieci anni fa.

*Avevo sette anni, e Daniela era nata da poco. Ero con mio padre. Lui mi stringeva la mano e sembrava non essere intenzionato a lasciarmela. Eravamo in un'ospedale, non ricordo di che città o paese. Percorrevamo i corridoi freddi dell'edificio, illuminati da neon gelidi, senza un'apparente destinazione precisa. Passavamo davanti ad una serie infinita di stanze, dalle quali provenivano a volte urla  a volte pianti. Papà mi stringeva sempre più forte la mia fragile manina, quando arrivammo in un'aula grande e ben illuminata. Seduta nel letto, con addosso un camice verde, stava la mia bellissima mamma. Beh, aveva passato momenti migliori di questo ricordo, ma io me la ricorderó sempre come una donna bella e fascinosa, con dei fluttuanti capelli color oro ed un paio di ipnotici occhi verdi. Quando ero più piccola mi raccontava sempre di come il papà si era innamorato di lei. L'aveva conquistato ai tempi dell'università, quando lei lavorava come barista per mantenersi gli studi. Un giorno papà entró casualmente in quel bar, e la vide per la prima volta mentre serviva due birre a due ragazzi. Poi lei colse il suo sguardo, e ci fu il così detto colpo di fulmine. La mia mamma, in quel lettino, era tutto meno che bella. I suoi capelli erano scomparsi e aveva il volto scavato dalla sofferenza. Papà mi fece avvicinare a lei. Mi guardava con tenerezza, e con uno sforzo immane, mi prese la mano.

"Piccola mia... quanto sei bella. Sono sicura che da grande diventerai proprio una bella ragazza. Ora la mamma deve andare, la mamma non potrà più essere qui a giocare con te. Ma sappi che anche se non mi vedrai, io ti saró sempre accanto. E poi hai il tuo papà, che é il miglior papi del mondo. Andró in un posto più bello, e staró bene. Io saró felice se anche tu lo sarai. Alice, dovrai essere forte, responsabile e dovrai avere cura della tua sorellina. Amala ogni giorno di più, e insegnale le cose più giuste per farla crescere come avrei voluto io. Nella vita incontrerai tanti ostacoli, ma devi promettere alla mamma che ti impegnerai a rialzarti e a ricominciare a correre, ogni volta che verrai abbattuta. Solo chi sa tenere in ordine la propria vita, riesce a controllarla. Me lo prometti?".

Non capivo qui discorsi, ma annuii vigorosamente, per far capire che avava tutta la mia attenzione:

"Te lo prometto."

"La mamma ti vuole tanto bene, non te lo dimenticare."

Aveva gli occhi colmi di lacrime, e non capivo perché. Non capivo dove dovesse andare, quale fosse il posto in cui tanto parlava. Non capivo nulla. Papà si avvicinó a lei, e le diede un bacio, accompagnato da un dolce sussurro che non riuscii a cogliere. Poi mi riprese la mano e uscimmo dalla stanza.

Non sapevo che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei visto mia madre.*

Ora ero li, davanti alla medesima stanza ospedaliera. Ma su quel letto c'era la mia sorellina. Il viso del colore della cenere, la nuca che già si preparava alla perdita dei suoi bei capelli castani, gli occhietti verdi gonfi a causa di chissà quali medicine.

"Dany..."

"Hei Ali, hai visto quante caramelle mi hanno portato? Anche a Mr Tuffy piacciono tanto!"

"Che bello! Gli orsetti gommosi sono veramente buoni" risposi io, cercando un po' di enfasi.

Accostai la carrozzina al suo letto e mi feci spazio accanto a lei. Non ce la facevo a vederla così...stremata. Dovetti raccogliere tutte le forze di una vita per starle vicino. Giocammo con i suoi pupazzetti per un'ora. Non sembrava affatto preoccuoata di quello che le sarebbe potuto succedere tra un mese, due settimane, due giorni o anche domani. Di punto in bianco mi chiese:

"Ali, sto per morire, vero?"

Mi bloccai, non sapendo cosa rispondere. Non c'era esitazione nella sua voce, non c'era paura e nemmeno tristezza. Una semplice domanda, che richiedeva una semplice risposta.

"Stai tranquilla, non permetterò che ti succeda niente di brutto."

La mia voce mi stava tradendo. Non dovevo piangere, dovevo essere forte, per lei. Lo avevo promesso alla mamma.

"Non piangere, Ali. Anche se non saró più vicino a te e papà, andrò dalla mamma e vi guardremo dall'alto. Solo una cosa: mi prometti di tenere compagnia a Mr Tuffy?"

Io dovevo consolarla, dovevo tenerle compagnia e invece era lei che mi stava confortando. Ma forse era così che doveva andare. Forse il destino aveva questo in servo per me, e voleva che affrontassi anche questa difficoltà.

Oh mamma, sono caduta tante, tante volte, e se sono ancora qui vuol dire che sono riuscita a rialzarmi. Sto precipitando ora, di nuovo, mi sento cadere in basso. Sarebbe più facile cadere in depressione, isolarmi del tutto e chiudere i battenti con il mondo. Ma non voglio questo. Non é questo che tu mi hai insegnato. Non voglio deluderti, mamma, e anche questa volta ce la faró.

"Te lo prometto."

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ANGOLO AUTRICE

Ciaoo!! Ragazze, siamo arrivate quasi alla fine di questo viaggio. Mi scuso se non sono molto attiva nello scrivere i capitoli, ma li devo scrivere e riscrivere mille volte, perché sono un'eterna indecisa e ci devo pensare parecchio ':) La fine della Fan Fiction é vicina, e tirando le somme spero che vi sia piaciuta ♥ Ringrazio le ragazze che mi seguono e che votano la mia storia. Siete fantastiche, senza di voi non sarei nulla di tutto questo :) Kisses, Pidge ♥

Ricomincio da MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora