Capitolo 29: MARE NERO

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La sera stessa, Ian rientra molto tardi. E' Ashley ad aprirgli la porta ed io, non appena lo vedo varcare la soglia, mi fiondo tra le sue braccia.

"Oh, sono stata così in pensiero, non avrei dovuto ascoltarti, non avrei dovuto lasciarti da solo, ma dove sei stato per tutto questo tempo?".

Lui mi passa una mano sulla schiena, soffermandosi all'altezza delle scapole.

"Perdonami, avevo bisogno di riflettere" soffia tra i miei capelli.

"Lo capisco, però potevi avvisarmi, adesso stiamo insieme, ho bisogno di sapere che va tutto bene, che tu stai bene...". Lo stringo forte al mio corpo e annuso il suo buon profumo.

"Sto bene, sono soltanto molto stanco, devo  riposare e accantonare per un po' questa maledetta ossessione per mia figlia. Quella di oggi è stata una bella delusione, non so cosa mi aspettassi di trovare, sicuramente un indizio, anche piccolo, un qualcosa che rafforzasse la mia speranza...".

Ashley ci guarda, impotente. Le ho raccontato della nostra ricerca, dei registri distrutti con l'incendio e di come il sogno di ritrovare sua figlia, Ian, lo abbia perso per sempre. Ma quel per sempre sembra troppo stretto in un contesto simile e il volto di Ashley si illumina, mentre espone quella che ha tutto l'aspetto di una riflessione originale.

"Potreste andare in ospedale! Tua moglie avrà partorito lì e la bambina sarà stata sicuramente registrata!".

Una scintilla di speranza si riaccende negli occhi di Ian, il quale smette di guardare nel vuoto e fissa la bionda con uno sguardo nuovo.

"Questa si che è una gran bella idea!" esclama.

Ashley sorride, gongolandosi della sua trovata geniale. Ian la prende tra le braccia e la fa girare come una trottola.

"Mettimi giù! Mettimi subito giù!" grida lei, muovendo le gambe.

Ian però continua a farla vorticare e io sono felice di vederlo di nuovo speranzoso. Quando la giostra finisce, Ashley torna con i piedi per terra e gli punta un dito contro il naso. "Non ti darò più un consiglio, stavi per farmi vomitare!" lo minaccia, dopodiché va a sdraiarsi sul suo letto, accendendo la televisione.
Anche io e Ian ci corichiamo.
La notte sta per arrivare e l'indomani sembra già pieno di cose da fare. Mi attacco alla mia dolce metà come una ventosa; le ginocchia incastrate alle sue, le gambe avvinghiate in una morsa e il suo respiro sopra la testa, quel respiro che si fa pian piano più forte e profondo, fino a divenire soltanto un piacevole rumore di sottofondo.
***

Al mattino giriamo per la città, passando in rassegna i tre ospedali più grandi e anche qualcuno dei minori. La ricerca, purtroppo, sembra non avere né capo né coda; ovunque ci sentiamo ripetere la seguente frase: -Mi dispiace, nessuna Nikki Reed ha dato alla luce una bambina nel nostro centro.

Quando accediamo all'ultimo degli ospedali presi in considerazione, la mano di Ian trema, cerco di tenerla ben stretta affinché possa stare più ferma possibile. Seguiamo le indicazioni per l'archivio e impieghiamo quasi dieci minuti per individuare l'ufficio giusto.

"E se non trovassimo niente neanche qui?". Ian mi trattiene, prima di entrare.

"Non succederà" cerco di convincerlo e di convincermi.

"Forse Nikki non ha mai partorito in un ospedale, se la nostra bambina fosse nata a casa? In quel caso non potremmo mai saperlo e non potremmo mai trovarla...".

"È una possibilità, ma dobbiamo tentare, abbiamo ancora una chance". Lo incoraggio con un bacio al lato della bocca. Lui socchiude gli occhi e si gode il momento, rilassandosi un po'.

L'uomo che ci accoglie dietro al bancone è un giovane dai capelli rasati e la camicia hawaiana. Ha una campanella attaccata al labbro inferiore che gli conferisce un'aria sfrontata e arrogante. "Per quale motivo volete informazioni su questa donna? Questa Nikki Reed?" chiede, dopo aver accolto il nostro quesito.

"Questioni private" afferma Ian, restando impassibile. Ormai le frasi fatte e la faccia impostata sono i punti di forza della nostra interpretazione.

Il giovane gli rivolge uno sguardo scettico. "Sa che mi sta chiedendo di accedere a un dato privato?".

Immaginavo che prima o poi saremmo incappati in qualcuno ligio alle regole, ma non pensavo che il più meticoloso degli impiegati fosse esattamente quello più insospettabile, con tanto di orecchino e camicia sobria.

"Lo so, ma è davvero una questione importante, cosa vuole che comporti cercare dati di una donna ad oggi defunta? La privacy non c'entra, non ha alcun senso ormai..." lo supplica Ian.

Alla fine il giovane sembra convincersi e digita nel computer qualcosa. Muove il mouse, clicca, rimuove il mouse e alla fine annuncia: "Abbiamo una Nikki Reed, ed ha partorito nel nostro ospedale".

Ci sporgiamo sul banco, in fibrillazione.

"Anno 1950, il bambino era un maschio ed è morto alla nascita".

Il volto di Ian sbianca di colpo, le sue labbra pure. Gli resto vicino, ho paura che possa cadere a terra da un istante all'altro.

"Ne è sicuro?" dice con il respiro rotto a metà.

Il ragazzo si sgancia i primi due bottoni della camicia, lasciando intravedere il petto glabro e perfettamente abbronzato. "Certo che sono sicuro! Vuole mettere in dubbio il programma di raccolta dati?".

"Allora non è la stessa Nikki Reed che stiamo cercando noi, il parto è avvenuto nel 1945 ed era una femmina".

Il tipo fa schioccare la lingua, leggendo la data di nascita della partoriente.

"E' lei" dice Ian, indietreggiando. "E' lei" ripete, guardando in un punto indefinito della stanza.

Gli stringo la mano, quella che non ho mai smesso di tenere, in realtà. Lo conduco fuori dall'ufficio, lontano dall'impiegato e da ciò che siamo appena venuti a conoscere. Nikki ha avuto un bambino, un bambino che è morto subito dopo aver visto il mondo. Un bambino che probabilmente ha concepito con Paul, cinque anni dopo la scomparsa di Ian.

Ian si siede sulle scale esterne, prendendosi la testa tra le mani, cerca di digerire l'ennesima delusione, questa volta accompagnata anche da un grande senso di frustrazione e confusione.

"Ehi..." mi posiziono al suo fianco, posandogli una mano sulla spalla.

Lui non si muove e il suo dolore è palpabile a metri di distanza. Sentirei molto meno male se mi tirassero i capelli o mi pizzicassero la pelle. Oppure se mi prendessero a schiaffi. Non so cosa dir, non so se abbracciarlo oppure abbandonarlo nel suo guscio di sofferenza.
Alla fine è lui a rompere il ghiaccio, chiedendomi di lasciarlo ancora una volta da solo.

"Sono la tua ragazza, voglio stare con te, voglio consolarti e starti vicino, io...".

Ian mi guarda con due occhi che sembrano lastre di ghiaccio incrinate dalla crudezza della realtà. Non dice una parola in più, ed io capisco che è giunto il momento di andare via. Ha davvero necessità di restare con i suoi fantasmi. E, se voglio stare con lui, anche io devo imparare a conviverci.
Mi alzo e mi incammino verso la fermata del pullman. Ian rimane sui gradini, con le spalle basse e lo sguardo perso nel vuoto.
E' un uomo colpito e affondato, un pescatore che naviga in un mare nero come la pece.
Più mi allontano più quel mare sembra scuro e tempestoso, più mi allontano e più Ian ci sprofonda dentro, con le reti, con la barca, con tutto il corpo. Ed io precipito con lui.

ENDLESS - Anime Nere || Ian SomerhalderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora