Capitolo 50: MASCHERA DI FERRO

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Nel viaggio di ritorno c'è grande tensione. Abbiamo dovuto anticipare il volo, per fortuna Dakota aveva prenotato il pacchetto con l'assicurazione. Adesso siamo seduti in attesa del decollo. Ian si trova un paio di file dietro a me, Jamie un seggiolino avanti e Dakota al mio fianco. Dopo la notizia del tornado nessuno di noi riesce a pensare ad altro se non a quello che troveremo una volta giunti in Florida. Jamie è preoccupato, sta facendo una telefonata dietro l'altra per cercare di capire quali danni abbia subito il Siren. Quando il comandante accende i motori, l'hostess lo invita a spegnere l'apparecchio. L'aereo sale, in picchiata verso il cielo azzurro, sento il cuore arrivare in gola e trattengo il fiato. Dakota guarda fuori, masticando una gomma. La rotta è tranquilla, nessuna perturbazione, nessun uomo che russa al mio fianco o bambino che piange, anche se il rumore che fa Dakota con il chewing-gum è davvero fastidioso. Frugo nella mia borsa alla ricerca di un paio di cuffiette.

"Holland, posso chiederti una cosa?" mi chiede lei, prima che possa far partire la mia playlist.

La guardo di traverso. I suoi occhi si posano sulle mie labbra e poi risalgono sul mio naso e sui miei capelli un po' arruffati.

"Io ti sto antipatica?".

Resto con la bocca semichiusa.
Sì, molto.
Mi stai molto antipatica. Penso.

"Ho come la sensazione che tu non ti trovi bene in mia presenza, sei molto sfuggente e chiusa..."

Poso il lettore sulle ginocchia, lascio che le cuffiette mi cadano dalle orecchie e guardo il retro del sedile che ho di fronte.

"In realtà, sì, mi metti a disagio" le confesso. Aspetto una sua risposta, ma non arriva. Con la coda dell'occhio vedo la bruna arricciare le labbra e mascherare un sorriso.

"Mi dispiace, credo che sia una questione di pelle, di feeling. Io non capisco affatto il tuo stile di vita, non capisco se a volte lo fai apposta a provocarmi..." chiarisco.

"E' per quel discorso che ho fatto a tuo padre?" dice, improvvisamente seria.

"Anche per quello" ammetto. "Non avresti dovuto permetterti di rivolgerti a lui in quel modo, insinuare che avesse bisogno di un'altra donna... le persone non sono tutte come te e Jamie, non pensano soltanto a stupidi giochetti erotici!".

"Quindi è questo che pensi di me?" ride. Non sembra arrabbiata per quello che le ho appena detto. Non sembra nervosa e nemmeno pronta a difendersi o contrattaccare. Semplicemente posa la nuca sul poggiatesta e si infila un paio di occhiali da sole dalle lenti scure.

"Sai, un uomo è un uomo, anche un padre. E ha i propri bisogni da soddisfare".

Una vampata di calore improvvisa mi fa colorare le guance, sento la gola seccarsi e non so quale forza misteriosa mi tenga ancorata a questo seggiolino, senza che afferri la mia compagna di viaggio per i capelli.

"Mio padre non è così" sibilo, contrariata.

"E' ciò che pensano tutti. E' quello che pensavo anche io del mio" dice.

L'hostess passa nel corridoio sculettando, porta con sé giornali e riviste. Mi incanto a guardare le sue scarpe giallo canarino, mentre dentro la mia testa realizzo il vero significato delle parole di Dakota.

"Non è passato neanche un mese dalla morte di mia madre, che già lui si vedeva con una ragazza che poteva essere sua figlia" aggiunge.

Resto in silenzio, stordita e imbarazzata.

"Forse hai ragione, i Johnson sono proprio una famiglia di pazzi alternativi!" guarda le nuvole fuori dal finestrino. "Jamie è stata la mia fortuna, mi ha raccolta quando ero a pezzi, mi ha ricostruita e adesso è la mia famiglia. A lui devo tanto, tutto! E adesso, questo maledetto tornado non ci voleva proprio. Il Siren è la nostra casa, è la nostra vita!".

"Io... mi dispiace...". Il mio cuore si stringe al suo racconto e non riesco a dire altro.

Lei fa spallucce e riprende a masticare la gomma con energia. Improvvisamente non mi da più noia. E' un suono così tenue rispetto al fragore che mi ha appena confessato da essere addirittura ignorato. E la ragazza che è al mio fianco mi sembra una donna diversa. Dietro a quei suoi modi plateali, al frustino di una cacciatrice di uomini, c'è la solitudine di chi ha perso una madre e visto naufragare un padre. E' una persona ricucita. Proprio come me.
***

La strada dall'aeroporto al molo di Jacksonville Beach è deserta. Le abitazioni che si affacciano sulla costa sono letteralmente flagellate. Ci sono detriti, assi di legno e macerie ovunque.
A un certo punto siamo costretti a lasciare l'auto su quello che resta di un parcheggio e fare l'ultimo tratto a piedi. Ian mi tiene per mano. Jamie cammina veloce, vuole arrivare al Siren il prima possibile. In giro ci sono un sacco di persone e anche sulla spiaggia. Le cabine dei surfisti sono state spazzate via come foglie. A riva sono ormeggiate alcune tavole colorate, le onde dell'oceano vi sbattono contro, riempiendo il vuoto e la desolazione che ci circonda. Il cielo è coperto di nubi, è minaccioso e sembra abbia intenzione di piovere da un momento all'altro. Abbiamo lasciato una primavera soleggiata a New York per ritrovarci nel bel mezzo dell'inferno.

"Holly! Ian! Ehi!".

Qualcuno ci chiama, sbracciandosi a metri di distanza.

"E' Ashley" dice Ian, aguzzando la vista.

Più ci avviciniamo, più vediamo i suoi capelli biondi muoversi nel vento. Quando la raggiungiamo lei ci salta letteralmente al collo.

"Oh! Siete qui, siete qui" ci strattona.

Ian si lascia abbracciare, poi volge lo sguardo a Jamie e Dakota. Stanno correndo sulle scale che portano alla terrazza. Le assi di legno sono ancora tutte in piedi, anche le colonne sembrano stabili. La statua della sirena, situata all'ingresso, è a terra e le vetrate sono in frantumi.

"Sulla costa è stato terribile, metà degli edifici sono danneggiati" dice la mia amica.

"Vado da loro" Ian si allontana, lasciandomi un bacio tra i capelli.

Ashley indossa un paio di jeans e un body bianco con lo scollo profondo. I suoi seni sono prosperosi e ben evidenti. Dai lobi le pendono un paio di orecchini dorati. Scivolo con lo sguardo sulle sue mani, fasciate dentro un paio di guanti da lavoro.

"Stiamo aiutando" mi spiega, mostrandomi i guantoni.

"Stiamo?".

"Sì, io e Ed e anche gli altri... chiunque vuole può dare una mano..." dice, guardandosi intorno.

"Dunque... tu e Ed?"

Ashley abbassa lo sguardo a terra. Fissa la sabbia per una manciata di secondi e poi torna sui miei occhi. "Vogliamo riprovarci" dice.

"Quindi con Penn è davvero tutto finito? Lo hai lasciato per Ed, hai lasciato il tuo cavaliere mascherato per un ragazzo che in passato ti ha presa soltanto in giro..." scuoto la testa, mandando giù il groppo che ho in gola.

"Non sono stata io a lasciarlo, Holly!". La sua voce è bassa, per un attimo temo che si metta a piangere. I suoi occhi chiari si spostano sulla spiaggia, su Ed Westwick. E' insieme ad altri ragazzi e stanno cercando di ripulire la spiaggia dalle schifezze che il tornado vi ha portato. "Penn da un giorno all'altro ha deciso che non doveva più parlarmi, non si è degnato di darmi una spiegazione del suo comportamento, ha semplicemente preso le distanze..."

"E tu ti sei buttata subito tra le braccia di Ed, senza neanche cercare di capire per quale motivo abbia agito così. Penn ti ama, io ne sono sicura..."

"Mi dispiace, Holly, questa volta stai sbagliando. Ed mi ama, non Penn. Non Penn". Le sue mani tremano, mentre si spingono ad abbracciarmi. Le lacrime che prima era riuscita a trattenere adesso sgorgano fuori come fiotti di una fontana. La sua debolezza l'ha fatta riavvicinare a Ed, ma il suo cuore piange.
E anche il mio, con lei.

ENDLESS - Anime Nere || Ian SomerhalderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora