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«No mamma, tranquilla. Sarò lì in tempo, non ti preoccupare. Vedrai che arriverò prima della cerimonia.», esordisco in apparenza con tono di voce sicuro, ma dentro di me è tutt'altro. E di norma lo sono, sicura intendo, ma non quando si tratta di Eleonor. No, lei non è il tipo di persona che cu tiene a metterti a tuo agio, nemmeno se sei sua figlia.
A meno che non to chiami Sophie, in quel caso le cose cambiano.

E poi non sono sicura nemmeno di arrivare in tempo poiché per arrivare quasi dall'altra parte del paese ci vuole tempo, preparazione mentale, fisica ed emotiva e molta, tanta volontà. Tutto ciò che io non ho. Soprattutto voglia.

Che poi, perché dovrei andare in anticipo ad un matrimonio che poi tale non è? Va bene, è vero, si festeggiano i cinquant'anni di matrimonio, ma non è il gesto in sé, si tratta solo di una festa che include persone over settanta, qualcuno di qualche anno più giovane – sarà quanto? Considerando la presenza di mia madre, intorno ai cinqua? – e poi io, che non ho raggiunto nemmeno i trenta... E come se non bastasse, non ho tenuto i contatti con i cugini quindi prevedo molto divertimento, da tagliarsi le vene insomma.

Già mi immagino stare lì seduta al tavolo in disparte, a mangiarmi le unghie per la noia. Che poi non capisco perché io devo andare in anticipo mentre mia sorella se la deve prendere con comodo?

Ma mia madre invece non la pensa come me, dice che è una cosa importante, unica e bla, bla, bla. Perciò eccomi qui, ad annoiarmi in aeroporto dopo aver passato tutti i controlli. Copro con la mano uno sbadiglio e cerco di accomodarmi meglio su queste sedie gialle e azzurre, benché belle da vedere, ma un'ora seduta sopra ti provoca dolore alla schiena per tutta la vita e credo che la gobba rientri nel pacchetto. Del tipo: paghi uno, prendi due.

L'unica cosa bella che alla fine mi ha convinta è il mare di Olbia, perché è lì che si trovano tutti i miei parenti.

«Lauren non fare scherzi, mi raccomando. Stasera devi essere già qui, intesi?», mi canzona autoritaria.

Dal canto mio, dal momento che per telefono non mi può vedere, alzo gli occhi al cielo e poi torno a guardarmi le unghie del tutto annoiata.
«Sì mamma, sono in aeroporto, te l'ho detto, ho fatto tutti i controlli necessari, aspetto solo di imbarcarmi e prendere il volo.»
Magari con la fortuna che ho, precipitiamo da un'altezza non tanto alta, giusto per annullare il volo e ritornare a casa, nel mio prezioso angolo del mondo. 

Dopo alcuni minuti di attesa saliamo finalmente sull'aereo. Quando inizia il decollo, il mio udito sparisce poco per volta. Non essendo abituata a volare, entro in panico, ma subito dopo constato che mi si tappano le orecchie per via del cambio pressione e mi tranquillizzo.  Mi sento stanca morta e spero di arrivare e poter dormire.

Dopo un'ora e ventidue minuti, l'aereo attera. Finalmente! Rimango, però, bloccata in coda in attesa di scendere completamente e lasciare questo spazio succhia-energie.

Quello che non ho preso in considerazione è l'attesa del tappeto rullante che porta le valigie. E di nuovo inizio a sbuffare per l'impazienza. Il problema nasce quando la individuo e mi brillano gli occhi perché finalmente metto fine a questa agonia, ma come se non fossi sfigata abbastanza, rimane incastrata nel rullo. Di bene in meglio, insomma.

E ora che faccio? Mi mordo le labbra mentre penso sul da farsi e alla fine decido. Costi quel che costi! Mi tolgo le mie preziose scarpe – delle décolleté argento – e salgo sul macchinario per poter salvare la valigia.
Ammetto che gli sguardi degli altri li sento tutti addosso e l'imbarazzo si impossessa di ogni cellula, ma quando l'urgenza chiama, Lauren risponde. Sempre.

«Che cavolo avete da guardare?» mormoro sotto il naso. Più che altro è una frase detta a nessuno in particolare ma aiuta me a distogliere lo sguardo dal mio stesso imbarazzo, senza successo ovviamente. 

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