Capitolo 1

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Mancano duecentoquindici giorni, in pratica sei mesi. Mancano solo sei mesi.

Ogni giorno, quando mi sveglio, controllo sul cellulare quanti giorni mancano alla fine del liceo. Amo Santa Monica, amo la mia casa, la mia famiglia, i miei amici, il mio ragazzo, ma non vedo l'ora di trasferirmi a New York. È lì che appartengo, lo so. L'ho saputo fin dal primo momento, quando avevo cinque anni e mamma mi ha portata a Broadway. Ero rimasta così affascinata dal teatro, dal palcoscenico e dalle luci che da quel momento in poi è stato il chiodo fisso nella mia mente. Voglio fare l'attrice, è il mio sogno. Non è solo un sogno, è praticamente la mia vita.

Ho partecipato a quindici spettacoli teatrali da quel momento, dieci a scuola e cinque a Los Angeles, e ho fatto da comparsa in tre film, grazie a papà. Fa l'agente a Hollywood, e questo sicuramente mi ha aiutata a tuffarmi nel mondo dello spettacolo, ma adesso ho quasi diciannove anni, voglio cominciare a lavorare per conto mio, senza raccomandazioni.

Ogni settimana vado a Hollywood e mi fermo sulla stella di Audrey Hepburn col mio mocaccino di Starbucks, sospirando e sognando che magari un giorno anch'io avrò la mia stella sulla Walk of fame.

Ma per adesso devo pensare all'ultimo anno di liceo, agli esami e alla prossima audizione, e devo anche provare a convincere Zayn a trasferirsi con me a New York. Stiamo insieme da tre mesi, ci siamo conosciuti a settembre tramite un amico in comune e ci siamo subito piaciuti. Voglio andare a New York, e averlo lì con me sarebbe perfetto. Ci vediamo pochissimo, dato che la Stanford University dove studia insieme al suo migliore amico Louis dista cinque ore da Santa Monica, ma finora le cose tra noi hanno funzionato. Piace anche a mamma e papà, anche se all'inzio non era ben visto. Finalmente è qui per il weekend e non vedo l'ora di vederlo. Sarà qui fra un quarto d'ora.. Un quarto d'ora!

Provo ad alzarmi, ma la piccola testa bionda di Michael sulla mia pancia me lo impedisce. Dorme sempre con me quando ha gli incubi o quando si sente solo, ormai si è abituato, mamma e papà viaggiano in continuazione, e un bambino di cinque anni deve pur attaccarsi a qualcuno.

«Mickey», sussurro, e gli sposto i capelli dalla fronte. «Mike, devo alzarmi».

Mi fa male vedere il suo viso quando ogni mattina lo lascio dalla nonna. Vuole stare con me, lo capisco, ma devo proprio andare.

Sospira pesantemente, ma non si sveglia.

«Dai Mike, è tardi. Devo andare a scuola, Zayn sarà qui fra poco».

«Mh.. È brutto», farfuglia con gli occhi ancora chiusi.

«Chi, Zayn?», chiedo e lui annuisce. «È il ragazzo più bello del mondo», ridacchio.

«Io sono più bello, lui è pieno di tatuaggi. È brutto».

Rido al suo commento geloso e gli scombino i capelli. «Tu a lui piaci».

«Non è vero, mi guarda sempre male».

Alzo gli occhi al cielo e lo sollevo dal mio corpo. «Forza, alzati e vestiti».

Sbatte i piedi sul letto, ma alla fine apre gli occhi, si alza e va via dalla mia camera.

Entro in bagno e lavo faccia e denti, non ho tempo di fare colazione, tanto oggi c'è assemblea e ho due ore libere, così io e Zayn possiamo incontrare i nostri amici al chiosco vicino la scuola. Faccio una treccia laterale e metto solo un po' di correttore sotto gli occhi e il mascara. Corro nel guardaroba e indosso jeans e maglietta a righe a maniche lunghe. Qui non fa mai freddo, nemmeno a dicembre, ma da ieri le temperature sono calate di una decina di gradi. Mentre metto le Converse nere, Michael entra in camera con i suoi piccoli boxer e una maglietta grigia sporca di quella che sembra mostarda.

«Non quella, è macchiata», dico.

Alza le braccia. «Non so cos'altro mettere».

Sbuffo e vado in camera sua con i lacci ancora sciolti. Apro il cassetto del grande mobile e prendo una maglietta rossa e dei pantaloni blu.

«Non è difficile trovare i vestiti se li cerchi», dico quando gli porto gli indumenti puliti.

Mette una mano accanto alla testa. «Grace, sono alto così, non vedo fin lassù», ribatte.

«Va bene, mettiti le scarpe, quelle blu. Hai lavato i denti?».

Lui annuisce e torna in camera sua.

Metto i libri nella borsa e controllo il cellulare. Sono le 8:30, ma Zayn non è ancora arrivato. Gli mando il messaggio del buongiorno e gli comunico che io e Michael siamo pronti. Risponde dopo qualche secondo, dicendomi che sta arrivando.

Dieci minuti dopo Michael sta divorando il terzo pancake e bevendo il secondo bicchiere di succo di frutta.

«Hai visto? È brutto», dice di nuovo.

«Cosa c'entra che è brutto col ritardo?», rido.

Lui fa spallucce e mostra un piccolo sorriso. «Quando hai detto che tornano mamma e papà?».

«Domenica», gli ricordo.

Lui abbassa lo sguardo e continua a mangiare. So che gli mancano.

Finalmente sento il citofono suonare, e quando guardo la telecamera, il suo bellissimo viso sbuca fuori dal finestrino della sua Mercedes e salto giù dalla sedia, notando Michael che arriccia il naso in disprezzo. Metto il piatto di pancakes in frigo e le posate e il bicchiere nel lavandino, laverò tutto quando tornerò a casa.

Michael mi porge la borsa e mi prende per mano quando usciamo da casa. Percorriamo il viale fino al cancello già aperto. Apro lo sportello posteriore dell'auto di Zayn, faccio salire Michael e infine salgo anch'io. Lui mi sorride dolcemente prima di darmi un bacio sulle labbra. Alle nostre spalle, Mike fa un verso di disgusto.

«Bleah, che schifo», sussurra.

Zayn ride e lo guarda. «Buongiorno campione».

Michael incrocia le braccia e guarda fuori dal finestrino.

Zayn si rivolge a me. «È arrabbiato per il ritardo?», chiede.

«Forse. Anch'io lo sono», scherzo.

Mette una mano sulla mia coscia. «Lo so piccola, hai ragione. La mia sveglia è suonata in ritardo».

Gli mostro un sorriso e lo bacio di nuovo.

«Possiamo andare?», domanda mio fratello.

Zayn ride di nuovo e mette in moto. Dopo una decina di minuti lasciamo un Mike triste dalla nonna e l'auto riparte. Sospiro pesantemente e Zayn se ne accorge.

«Tutto okay?», chiede, e mette la mano sulla mia.
«Non proprio. Stanotte ha dormito di nuovo con me, e mi ha detto che si sente tipo abbandonato dai miei», spiego con rammarico.
Capisco cosa sta passando. Anch'io spesso rimanevo dalla nonna quando i miei partivano. Mamma fa l'agente immobiliare, quindi lavora al telefono quando segue papà. È sempre super impegnato, quindi stanno via anche per più di una settimana, ma io ormai ci ho fatto l'abitudine.
«Da quanto tempo sono partiti?».
«Da mercoledì, tornano domenica».
Lui alza le sopracciglia e sospira nello stesso momento in cui anch'io lo faccio. «Beh, è normale, ha cinque anni, vuole mamma e papà. Però ha te». Mi guarda per un attimo prima di tornare a concentrarsi sulla strada.
«Lo so, per questo non voglio lasciarlo solo».
Torna a guardarmi quando si ferma al semaforo. «Grace, so che vuoi stare con lui, ma ogni tanto anche tu dovresti uscire e divertirti. Stai sempre sui libri e badi a tuo fratello. Da quanto tempo non esci con Zoe e Dean?».
Appoggio la testa contro il sedile e ci penso. In realtà non usciamo quasi mai, sia perché dobbiamo studiare che per via di Mike. «Circa due settimane», rispondo.
«Ecco. E siccome io torno domenica a Stanford, domani andiamo alla festa di Louis. Me l'hai promesso», dice, e la macchina riparte quando scatta il verde. «Hai bisogno di divertirti, e io voglio stare con te».
Sospiro ancora una volta e annuisco. «Hai ragione. Andremo alla festa», concordo e lui mi mostra un bellissimo sorriso. Porta la mia mano alle sue labbra e vi pianta un bacio, facendomi arrossire.
È per questo che lo amo, perché sa sempre come tirarmi su e ha la soluzione a tutto. È cambiato tantissimo per me, e lo apprezzo davvero.
Arriviamo alle 9:00 in punto al Sea Breeze dove tutti i nostri amici ci aspettano al tavolo fuori, il nostro solito tavolo.

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