Capitolo uno

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Avere diciotto anni non è facile. Avere diciotto anni e frequentare il liceo classico è difficile. Avere diciotto anni, frequentare il liceo classico e avere dei genitori poco comprensivi è il mix perfetto per esplodere, se si conta anche il fatto che sono sempre stata pigra per natura e tendo a temporeggiare in tutto. Entro a scuola, butto lo zaino da qualche parte e mi siedo, schiacciando la faccia sul banco. I miei compagni entrano, mi salutano, io mi limito ad alzare una mano e fare "ciao", lasciando le cuffie schiacciate nelle orecchie. Rimanendo coerente con la mia pigrizia, la mattina mi muovo alla velocità di un bradipo e a nessuno ha mai dato troppo fastidio, tranne che a mia madre, che la mattina cerca sempre invano di avere una sorta di conversazione con me e non si arrende. Io non sono come Checco, no, una delle poche cose di cui sono sicura è che sono l'opposto di mio fratello e alla fine, va bene così. Qualcuno mi scompiglia i capelli svegliandomi dal mio torpore, tolgo una cuffia e gli sorrido.
-Bello mio!- Esclamo come se all'improvviso fossi sveglissima e pronta per una maratona. -Come sei vestito bene- Commento ridacchiando. Lui fa una giravolta su se stesso e poi scoppia a ridere.
-Come sempre, no?- Sottolinea subito -Tu, piuttosto, sembri appena uscita da un uragano o qualche altra catastrofe naturale- Dice osservando i miei pantacollant neri, la maglietta grigia un po' troppo larga e la felpa nera con i polsini rotti.
-Paolo, lo sai che non ho la testa per stare anche a guardare come vestirmi- Sentenzio un po' accigliata, guardando distrattamente l'orario sul cellulare.
-Emmina sai che scherzo. Sei bellissima e puoi permetterti di venire a scuola anche con un sacco della spazzatura addosso, credo che continuerebbero a sbavarti dietro-
-E chi mi sbava dietro scusa?-
-Madonna, sei proprio cieca- Alza gli occhi al cielo e poi sbuffa. -Stefano- Dice, indicandomi il mio ex in fondo alla classe, appoggiato al muro, intento a parlare con il suo migliore amico, Marcello.
-Sai bene che non me ne frega niente, può sbavare quanto vuole- Concludo, tirando fuori il quaderno di matematica.
-Anche Marco-
Rimetto la cuffia che mi ero appena tolta e lui alza gli occhi al cielo sconsolato. Marco è arrivato nella mia classe in seconda superiore, insieme a Paolo. Non si sono mai sopportati molto. Sono stati entrambi bocciati, e con entrambi ho avuto fin da subito un ottimo rapporto, solo che Marco è sempre stato un po' più "strano", o forse sono solo io che mi sono sempre fatta mille viaggi mentali.
-Hai mai pensato alla ragazza ideale che vorresti al tuo fianco?- Domando all'improvviso.
-Sai che non credo a queste cose- Mi risponde mentre tolgo definitivamente le cuffie.
-Sì, lo dici sempre, ma io non ci credo- Mi fermo a pensare -Secondo me ce l'hai in mente una ragazza ideale, dai!- Esclamo ridacchiando. -Se me lo dici, io ti dico com'è il mio ragazzo ideale, con tanto di esempio concreto-
-Allora dimmelo prima tu, Marrone-
-Stella sono piccola, ma non scema!- Gli sorrido e lui mi sorride, senza cedere -Bionda o mora?- Chiedo.
-Scusa e le rosse?-
-Hai ragione: bionda, mora o rossa?-
-E se mi piacessero quelle che si tingono i capelli di colori strani? Tipo azzurri?-
-E' così?-
-No-
-Poche storie allora, dai!- Esclamo sempre più esaltata, e lui forse finalmente cede.
-Okay, bionda- Risponde alzando gli occhi al cielo -Ma questo non significa niente, se dovessi innamorarmi di una ragazza mora di certo non sarebbe un dramma- Precisa subito.
-Ho capito-
-Ora devi dirmi qualcosa anche tu-
-Ah, no, io non sono vergognosa e moralista come te. Il mio tipo ideale è Marco. Almeno fisicamente- Dico guardandolo chino sul cellulare a copiare la versione. Continuo ad osservarlo forse un po' troppo intensamente, tanto che lui si gira e io sposto subito lo sguardo. -Come carattere assolutamente no. Cioè mi piacerebbe che lui fosse stronzo con tutti e dolce solo con me, tanto da non capirci niente e odiarmi, ma non riuscire a smettere di amarmi- Spiego con gli occhi sognanti.
-Che cliché! E' più o meno quello che vogliono tutte- Grida, baciandomi poi una guancia.

Affondo la testa nel cuscino. La sua camera ha il suo profumo, che sembra essere impregnato in ogni cosa, ma in particolar modo nel suo cuscino. Ricordo perfettamente la prima volta che sono entrata in questa camera. Era luglio e faceva un caldo tremendo, avevo il debito in greco e lui pure. A scuola c'erano i corsi di recupero, io mettevo la gonna, qualche vestito, cercavo di non esagerare ma il caldo era sfibrante. Io e Marco ci salutavamo nell'atrio come sempre, salivamo le scale, lui sceglieva di sedersi accanto a me. Ridevamo, scherzavamo, Paolo era in vacanza con altri amici, e il caldo accese qualcosa. Forse se non avesse fatto così caldo o Paolo fosse stato qui a distrarmi non sarebbe mai successo niente. Ma usare il caldo e l'assenza del mio migliore amico come giustificazione è solo una scusa per non ammettere che Marco mi è sempre piaciuto. I suoi occhi verdi, i capelli ricci, le sue mani grandi. Mi invitò a casa sua, sapevo esattamente dove voleva arrivare e io accettai. Da quel giorno la sua camera è diventata il mio rifugio, il suo profumo il mio. Ma lo sappiamo solo io e lui. Mi giro sul lato, osservandolo mentre guarda qualcosa di imprecisato: poi si alza. Ricordo che a colpirmi fu soprattutto l'immensità di casa sua: sapevo che era parecchio benestante, ma non immaginavo così tanto.
-Levati dal mio letto- Mi intima infilando un paio di mutande. Poi si avvicina allo specchio, si sistema i capelli con una mano.
-Se no?- Lo provoco, arrotolandomi il lenzuolo intorno al corpo.
Non risponde, intento a guardarsi allo specchio. Mi alzo, mi avvicino a lui, gli bacio il collo e sussurro -E' inutile che mi tratti male-
Lui non risponde, si stacca e cerca qualcosa da mettersi addosso.
-Non sto scherzando- Dice serio -Devi andartene, io ora devo cenare con i miei e se qualcuno dovesse vederti finirei nei casini- Spiega, infilando la prima maglietta che trova.
-Cosa ci sarebbe di male se qualcuno mi vedesse?- Chiedo all'improvviso, lasciando cadere il lenzuolo a terra. Infilo l'intimo, i pantaloni poi lui si avvicina.
-Emma io te l'ho detto subito che non sei la mia fidanzata-
-Sì lo so- Rispondo abbassando lo sguardo.
-Quando ho voglia di divertirmi ti chiamo e tu vieni qui. Ovviamente tu puoi fare lo stesso con me- Spiega, passandomi la maglietta. Abbozzo un sorriso e lo saluto, un ciao con la mano, due corridoi, una porta e sono fuori da quella casa. Corro più veloce che posso e mi appendo al citofono della casa di Paolo.
-Sei in ritardo- Mi informa appena apre la porta.
-E tu sei seccante- Ribatto un po' accigliata.
-Dov'eri che hai il fiatone?- Mi chiede, mentre mi butto sul divano.
-A casa. Ero in ritardo e ho corso- Mento, cercando il cellulare nelle tasche. Non chiede più niente, va in cucina e torna con il cellulare tra le mani e uno sguardo poco rassicurante.
-Sei in ritardo di un'ora- Mi informa. -Ti ho chiamato quattro volte-
Impallidisco e mi alzo in piedi spaventata, cercando di trovare una scusa che sembri vera.
-Avevo la batteria scarica e non ho potuto avvisarti che sono andata io a prendere Checco a calcio. Poi a casa mi sono scordata di riprenderlo-
-Attenta che a dire così tante bugie ti cresce il naso- Ride, ma mi guarda un po' preoccupato.
-Non sto dicendo bugie, davvero- Dico, alzando le mani. -Puoi prestarmi un secondo il cellulare? Scrivo a mamma che mi sono scordata il telefono a casa-
Mi porge il suo telefono e cerco in fretta il numero di mamma.
"Ciao mà, sono Emma. Sono a casa di Paolo ma ho scordato il cellulare, torno prestissimo". Poi cerco Chiara. Chiara è la mia migliore amica. Lei non è come Paolo, lei non rispetta i miei silenzi come lui, anzi li invade e li rompe. Non perché non mi voglia bene, ma perché ci tiene troppo a me per lasciarmi in silenzio.
"Amo, sono Emma. Sono da Paolo ma ho scordato il cellulare da Marco, TI PREGO VALLO A PRENDERE e non rispondere per nessun motivo a questo messaggio". Cerco di digitare sempre più velocemente e alla stessa velocità elimino il messaggio.
Poi cerco Marco tra i suoi contatti, che è facile visto che è nel gruppo della classe, anche se stranamente non è nemmeno salvato.
"Marco, scusa. Sono Emma, non rispondere a questo numero. Ho dimenticato il cellulare da te. Sta passando la mia migliore amica a prenderlo. Scusa" e cancello.
Paolo mi osserva un po' confuso, quasi si aspettasse un mio passo falso da un momento all'altro.
-Ci vuole così tanto a scrivere a tua mamma?- Domanda, incuriosito.
-Sì scusa...- Rispondo abbassando lo sguardo. Non mi piace mentirgli. Non mi è mai piaciuto mentire alle persone a cui voglio bene, ma Paolo non capirebbe, lui pensa che l'amore sia come quello nei film, pensa che il sesso esista solo ad un certo punto di una relazione stabile, a coronare e completare un rapporto già esistente. Non voglio che pensi male di me, e soprattutto Marco non vuole che nessuno lo sappia e ha ragione. Gli porgo il cellulare e poi gli sorrido. -Cosa c'è per cena?- Chiedo per riequilibrare la situazione.
-Pizza- Risponde -Sono già le nove e mezza, non ho voglia di mettermi a cucinare- Esclama iniziando a digitare il numero della nostra pizzeria di fiducia. Io margherita, lui marinara, una porzione di patatine e tutto sembra tornare alla perfezione.

La stella più fragile dell'universo [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora