Capitolo ventitré

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Tre settimane. La mia pancia è esplosa, noce è grande quanto un melograno e io non entro più in nessuno dei miei vestiti. Mi sono rinchiusa nella mia camera a casa di Marco ed esco solo per andare a scuola, quando ci vado, non ho scelto né Paolo né Marco, ho scelto solo me e la mia decisione non è andata a genio a nessuno, soprattutto a Chiara che dice che non scegliere non è mai neanche un'opzione, che avrei dovuto litigarci con Paolo e urlare, ma io non ho voglia di fare la guerra con nessuno, soprattutto con Paolo. Continuare ad essere la sua compagna di banco sarebbe stato da cretini, oltre al fatto che probabilmente non me l'avrebbe permesso, quindi mi sono seduta accanto ad Elisa, condividiamo la stessa aula da cinque anni e io mi sono resa conto solo ora di quanto sia speciale, pensavo fosse solo una un po' strana, invece è gentile. E' una delle poche in classe a non fare battutine e a non trattarmi di merda come ormai fanno più o meno tutti, facendomi notare che i vestiti non mi entrano più, sottolineando le mie occhiaie sempre più marcate, i miei capelli spesso scompigliati e arrangiati come mi viene. Non riesco a dormire, perché noce si muove, perché penso che forse non ce la farò, anzi sicuramente non ce la farò, sono troppo piccola, troppo stanca. Marco si siede fuori dalla porta della mia camera quasi ogni giorno e mi ripete che vuole parlarmi, che la mia reazione non ha senso e che non è giusto che per colpa di Paolo io lo stia trattando così, poi mi dice che sua mamma ha degli abiti premaman che può prestarmi, che smetterebbero di dire le cose che dicono, che le sente anche lui, che parlano male anche di lui molte volte. Non smetterebbero di prendermi in giro con i vestiti di sua madre, non smetterebbero di parlare di me, di noce, di Marco, non smetteranno mai di farlo, sono la cretina così stupida da rimanere incinta alle superiori e non abortire nemmeno, perché, poi? Nemmeno la conosco noce, l'ho tenuta senza sapere nemmeno come sarà. Magari non la sopporterò, magari non mi sopporterà, magari mi rovinerà la vita e basta, come già sta un po' facendo, anche se non mi piace pensare queste cose di mia figlia.
-Emma- Mi chiama Marco, bussa sulla porta e non apre. Lo sa che non voglio e quindi non lo fa, forse perché ha paura che io reagisca male, mi alzo e mi avvicino alla porta per sentirlo meglio. -Senti è un mese che lavoro da papà per noi, per noce, abbiamo un po' di soldi- Lo spiega con un filo di voce, non si impegna neanche, pensa che nemmeno ascolti, anche se ricalca quel "noi". -Potremmo comprarle una culla. Fare un giro in qualche negozio, prenderle dei vestiti, oppure un peluche. Oppure possiamo prendere in soffitta una delle culle o quella di Sara o quella di Sofia, anche la mia se preferisce e scegliere una stanza in cui montarla. Ci sono un milione di stanze...- Smette di parlare, anche se sono certa che avrebbe voluto continuare. -Vabbè, non ti preoccupare, possiamo pensarci un altro giorno-
Poggio la mano sulla maniglia un po' indecisa, ma alla fine apro la porta. Lui mi guarda un po' sconvolto, stanco. Ha su una camicia bianca e dei pantaloni neri troppo seri, gli manca solo la cravatta e potrei dire che è appena tornato da un matrimonio.
-Ti vesti così per lavorare?- Gli chiedo, non avendoci mai fatto caso prima.
-Mio padre ci tiene, mi fa anche mettere la cravatta, io lo odio- Risponde sbuffando. -Hai deciso di tornare in questo mondo?- Chiede piuttosto seccato, mi squadra dalla testa ai piedi ma si ferma alla pancia mezza scoperta, perché la magliettina rosa con un grosso cuore al centro ormai non mi sta più. Pensavo che sarebbe stato più felice di vedermi uscire dalla mia camera, ma tutto sommato non l'ho trattato molto bene e forse è giusto così, non merito una grande festa per la mia decisione di uscire dal mio letargo.
-Scegliamole una camera- Sbotto, distraendolo da me e il mio corpo.
-Non ha manco un nome, te lo ricordo- Commenta, toccandosi i capelli un po' agitato. -Ma avrà una stanza a quanto pare- Aggiunge un po' frastornato e all'improvviso mi sembra vecchio. Ha diciannove anni e sembra averne trenta, ora, qui davanti a me, con la camicia nei pantaloni, la faccia stanca e i mocassini poco abbinati. Io mi sento terribilmente in colpa, perché alla fine lui si sta facendo in mille e io invece riesco solo ad essere fredda e addirittura cattiva.
-Abbiamo ancora quattro mesi, Marco, il nome possiamo sceglierlo anche il giorno che nasce, per quanto mi riguarda è solo noce- Rispondo, anche se nella mia testa non volevo essere così cattiva, non volevo trattarlo male, ma non ce la faccio proprio più e non riesco a sopportare proprio niente, soprattutto che mi si ricordi tutto quello che ci manca per noce, che in realtà è proprio tutto.
-Noce non è un nome, è un soprannome, le serve un nome vero, non è un bambolotto, è nostra figlia- Spiega più calmo di quanto credessi e smette di guardarmi in faccia, mi guarda la pancia, lo fa sempre, non ho ancora capito perché, se lo spaventa o gli piace.
-Non farmi la morale che nemmeno ci credevi che fosse tua- Ribatto un po' scocciata, facendolo sbuffare rumorosamente, lui continua a fissare la mia pancia, magari si domanda se noce ci sente.
-Me lo rinfaccerai per sempre, eh?- Chiede alzando lo sguardo.
-Lascia stare sono nervosa- Rispondo riaprendo la porta della mia camera, dovevo rimanere lì dentro, sapevo che era un errore uscire, che questa conversazione era già scritta. Dovevo rimanere chiusa lì dentro a farmi i fatti miei, alla cameretta ci penseremo più in là, quando ci sarà tempo, quando avrò di nuovo voglia di fare la mamma.
-Sì solo tu sei nervosa, guarda, non stai facendo assolutamente niente se non piangerti addosso- Ora è lui ad essere cattivo. Lo sa che sto cercando lavoro dal primo momento in cui ho messo piede in casa sua, ma più che dare ripetizioni a qualche ragazzino non riesco a fare e per di più alle mamme non va tanto a genio affidare i loro figli ad una ragazza madre di diciotto anni, incinta. Vedono i miei annunci, mi chiamano, fissiamo una lezione di prova. Mi guardano un po' e dicono che è meglio di no, che poi mi stanco, dovrei riposare. Io dico che non sono stanca, anche se non è vero, ma loro non mi richiamano più, non sono una di cui ci si fida, non so se lo sono mai stata, ma sicuramente ora non lo sono.
-Scusa se mi tengo tua figlia appresso da cinque mesi e sono stanca- E' l'unica cosa che mi viene da dire, anche se alla fine noce è l'ultima a pesarmi, almeno sta zitta, almeno lei non mi giudica, almeno per ora.
-E' anche tua figlia! E tu mi hai davvero rotto il cazzo- Ora urla e Lucia ci osserva mentre pulisce il pavimento della stanza di Marco, poco distante da noi.
-Prima mi vieni a chiamare per scegliere la camera di nostra figlia e poi mi insulti?- Chiedo davvero infastidita dalla sua strafottenza e dal suo modo di rivolgersi a me.
-Ah ora è di nuovo di entrambi? Non puoi trattare di merda tutti solo perché Paolo ti ha trattata di merda!- Esclama ridendo per il nervoso, si appoggia al muro, visibilmente agitato.
-Tu non puoi capire- Bisbiglio abbassando lo sguardo, sfinita già dalla conversazione
-Io capisco più di te- Lo dice velocemente e probabilmente se ne pente un secondo dopo perché sposta lo sguardo, non riesce a tenerlo su di me, sa che ci sto male a non sapere cos'è successo tra lui e Paolo.
-E allora spiegami, che cazzo gli hai fatto? Perché Paolo è un angelo e io non posso crederci che mi abbia trattato così per motivi futili- Urlo e piango, e ora Lucia ci si avvicina, ci chiede se è tutto okay anche se è lampante che non lo è. Marco le dice di lasciarci stare, che non sono fatti suoi e lei si scusa. Entro nella mia camera ma non faccio in tempo a chiudere la porta che lui entra e la chiude dietro di sé, rimanendo a fissare il caos dilagante.
-Ma Lucia non te la pulisce mai 'sta camera?- Chiede, evitando la domanda che gli ho fatto. Non me ne parleranno mai, mi sono arresa all'idea che non saprò mai perché mi hanno condannata a stare così tanto male.
-Io non sono viziata come te, non ho bisogno della serva- Rispondo molto acida, lui mi prende un braccio e mi obbliga a guardarlo in faccia.
-Adesso tu mi ascolti, perché non te lo puoi permettere di fare la vittima, Emma, non dopo che hai deciso di tenere la bambina e hai mosso il mondo per lei e ci hai messo l'anima. Non puoi farlo, perché ora sei una madre, che ti piaccia o no e non puoi rinchiuderti in questo schifo di camera e fare la bambina, perché devi prendere le vitamine e Lucia mi ha detto che non le stai prendendo praticamente mai, e non puoi, io pensavo che tu avessi capito che sei responsabile anche di lei adesso, non puoi buttarti giù così tanto per il tuo migliore amico di merda!- Esclama ad un centimetro dal mio viso, io aggrotto la fronte e gli faccio perdere la presa sul mio braccio.
-Se voi due non foste così coglioni da tenermi all'oscuro delle cose fino a farmi stare una merda magari potrei pensarci alle vitamine-
-Bene, vuoi saperlo?- Chiede sedendosi sul bordo del mio letto. -Chiedilo a Paolo, io non te lo posso dire, ho promesso che non l'avrei fatto- E' di nuovo stanco, come se il mondo non fosse crollato solo addosso a me, ma anche a lui.
-Sono la madre di tua figlia- Lo dico con un filo di voce, perché in realtà non se questo implica davvero qualche accortezza o qualche dovere da parte sua.
-Sì, solo quello purtroppo, quanto siamo stati insieme? Un'ora nel cortile della scuola? Sei stata veloce a lasciarmi per quel cretino di Paolo- Risponde, stropicciandosi gli occhi con una mano e sbadigliando.
-Io non ti ho lasciato, non ci siamo mai proprio messi insieme- Commento io un po' confusa, noi non siamo stati insieme. Lui mi scopava, io sono rimasta incinta, ora vivo da lui, non siamo mai stati insieme se non nelle mie fantasie più belle.
-Ti ho presentata come la mia fidanzata- Spiega, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
-Lo sanno tutti che l'hai fatto solo per noce- Commento un po' accigliata, in realtà più per sfidarlo, per vedere se lo ammette o meno.
-No, Emma. Mi spiace che tu la pensi così, io cercavo solo di darci una possibilità.- Si guarda le mani, poi torna a guardare me. -Capisco che faccia schifo non sapere le cose, ma io ho fatto un casino con Paolo, Emma. Non con lui personalmente, ma lui fa bene ad odiarmi, non posso incasinare ancora di più le cose e non mantenere la promessa- E' sincero, lo capisco perché si è sdraiato sul mio letto e fissa il soffitto e lo fa sempre quando vuole parlarmi di qualcosa che lo tocca profondamente, come se solo il soffitto fosse in grado di sostenere il suo sguardo e all'improvviso quasi mi fa tenerezza.
-Che cazzo hai fatto?- Chiedo, senza riuscire ad affievolire la mia freddezza. Io tengo troppo a Paolo, troppo per pensare che sono tre settimane che non mi cerca, che non lo cerco, non dopo anni che viviamo quasi in simbiosi.
-Ho fatto un casino con Rebecca- Ammette, passandosi una mano tra i capelli.
-Sua sorella?- Chiedo un po' confusa, ma apparentemente più calma. Lui annuisce e io mi siedo sul bordo del letto, sperando che finalmente io possa capirci qualcosa di più.

La stella più fragile dell'universo [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora