Capitolo quindici

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"Un giorno ti dirò che ho rinunciato alla mia felicità
per te
e tu riderai, riderai di me"
(Un giorno mi dirai, Stadio)

Rimango zitta, seduta sul divano panna della mia sala che all'improvviso non mi sembra all'altezza della situazione. Dice di chiamarsi Graziella, è stretta in un tubino grigio e bianco, il collo contornato da una collana di perle bianche, uguali a quelle che porta alle orecchie. Suo marito accanto a lei stringe la mano di mio padre. Dice di chiamarsi Marcello, sorride, si complimenta per la casa. Graziella storce il naso guardando il divano su cui sono seduta. Sono certa che non le piace, non può piacerle, l'abbiamo preso in saldo dieci anni fa e la pelle è tutta rovinata, sgualcita e consumata, in un punto c'è anche una macchia fatta con una penna blu che io copro con un cuscino. Marco è seduto accanto a me, l'unico ragazzo che si è seduto su questo divano accanto a me oltre a Paolo, nemmeno Stefano ci si è mai seduto: non invito i ragazzi a casa mia. Se Paolo vedesse Marco ora, accanto a me, non reagirebbe per niente bene, nonostante gli abbia chiesto per favore di sopportarlo, dopo la sua ultima scenata. Anzi, nemmeno. Gli ho chiesto di fare finta, quando Marco mi parla, che non esista, che parlo da sola perché sono pazza. Lui mi ha promesso che farà tutto per me, anche sopportarlo. Marco non dice nulla come me, guarda i nostri genitori davanti a noi che si presentano, che fanno come se fosse tutto normale. Mia mamma è stata zitta per una settimana, per una settimana ha fatto finta che io non esistessi, fingeva anche di dimenticarsi il mio pranzo. Papà ha iniziato ad alterarsi, le urlava contro che non si fa così. Lei non rispondeva nemmeno lui. Stamattina mi sono svegliata, ho fatto una doccia e mentre asciugavo i capelli lei mi ha chiamata. Sono scesa in tuta, con i capelli stretti in un asciugamano come meglio ho potuto nella fretta. Pensavo che avesse finalmente deciso la sua reazione e in effetti sì, aveva deciso: ad aspettarmi in salotto c'erano Marco con i suoi genitori. "Ho chiesto il loro numero alla rappresentate dei genitori della vostra classe", mi ha spiegato, mentre papà mi diceva di sedermi sul divano accanto a Marco. Io e Marco siamo rimasti seduti rigidi sul divano, senza guardarci, senza commentare niente. Poggio una mano sulla pancia, chiudendo gli occhi per pensare ad altro, ma la voce di mia madre non me lo permette.
-Basta con le presentazioni, come vi ho già detto al telefono è una cosa di importanza vitale- Spiega lei, con su una maglietta slavata e informe, le ciabatte da casa e il suo mollettone. Non si sente a disagio nemmeno davanti a loro.
-Sì certo, diteci pure, mi è sembrato piuttosto urgente al telefono- Dice Graziella più disponibile di quanto potessi immaginare.
-Quando ci avete detto che si trattava di Marco, ci siamo preoccupati, gli abbiamo chiesto di più ma lui non ci ha voluto dire niente- Spiega Marcello piuttosto preoccupato. Mia mamma si volta verso di me, mio papà accanto a lei la guarda ignaro di quello che ha architettato mia madre. Lei sposta lo sguardo, guarda me e Marco ora e non smette di fissarci, ci giudica, non me lo perdonerà mai.
-Volete spiegare cosa succede?- Domanda, all'improvviso, alzando le sopracciglia in segno di sfida. Accolgo la sua sfida, forse per la prima volta nella vita. Mi alzo in piedi, ho su una felpa molto larga di papà, per cui non si vede niente. Marco si alza e mi si avvicina un po' spaventato.
-Non glielo puoi dire- Bisbiglia, con la voce un po' rotta da qualcosa che sembrano lacrime. -Ti prego Emma- Continua, deglutendo. Lo guardo un po' dispiaciuta.
-Marco non possiamo, cioè è un caos...- Farfuglio, abbassando lo sguardo. -Alla fine è giusto che lo sappiano anche loro- Concludo, cercando di scorgere una sua reazione positiva. Storce il naso come sua mamma e smette di guardarmi. Prendo un respiro, apro la cerniera della felpa, fino ad aprirla. Mi metto di profilo e guardo Marco accanto a me, forse per non rivedere lo stesso disprezzo in mia madre.
-Sono incinta di Marco da quasi quattro mesi- Ammetto, lui mi guarda toccandosi i capelli più volte. Nessuno dice più niente, riallaccio la felpa e salgo su in camera mia, quando le voci dei genitori di Marco iniziano ad accusarmi, a insultarmi. "Puttana", "vuole solo i nostri soldi", "noi non le daremo niente", "voi gliel'avete fatto tenere?!", "ammettetelo, avete puntato ai nostri soldi e avete usato vostra figlia!". I miei genitori ribattono. Papà mi difende anche un po', mamma semplicemente spiega che lei lo sa solo da una settimana. Che non le interessa come lo crescerò, se lo terrò o no. Che è roba mia e non vuole saperne. Rimango sulla soglia della mia camera, ad ascoltare. Sento Marco interrompere mia madre, fermarla, dirle "scusi signora Marrone". La sua voce è profonda, è strana. Diversa. Sembra serio, sembra freddo, sembra più grande dei suoi diciannove anni.
-Scusi signora Marrone- Lo deve ripetere, perché lei continua ad insistere. "E' roba di Emma". Lo urla. -Signora Marrone, non è roba di Emma- Spiega, con la voce calma. -E' roba mia e di Emma. E non è nemmeno una roba. E' un bambino- La corregge, e io ascolto stupita. -E' una cosa stupida, ma è successo. Nemmeno a me Emma l'ha detto subito, ma come darle torto, guardate che caos. Pensate sarebbe stato diverso se l'avesse detto due mesi fa?- Chiede, mentre scendo qualche gradino per spiare la situazione in salotto. Lui ha una mano poggiata sulla spalla di mia mamma che è bassissima in confronto a lui, la guarda negli occhi, tutti lo guardano come se fosse appena caduto dal cielo, come se prima di questo momento nessuno l'avesse notato per davvero. -Non sarebbe cambiato niente. Avrebbe potuto abortire. Magari senza che voi lo sapeste, stare male, senza che voi lo sapeste. Invece non l'ha fatto, ha preso una scelta coraggiosa, da pazzi, ma dettata dall'amore- Conclude, mentre io mi reggo incredula al corrimano delle scale. Tra tutte le persone che avrebbero potuto capire non mi sarei mai aspettata che proprio lui capisse. Mia mamma smette di ascoltarlo, leva la sua mano dalla spalla, alza gli occhi al cielo.
-Noi non abbiamo i soldi per mantenere un bambino! Non abbiamo nemmeno lo spazio!- Esclama mia mamma guardando mio padre. -Rosario puoi per favore dire qualcosa anche tu? Sembro solo io la cattiva qui!- Si lamenta, gesticolando ampiamente. Mio padre si scompone per un secondo, ma Marco si intromette, e mio padre sembra quasi ringraziarlo con lo sguardo.
-Può stare da noi- Propone lui, guardandomi seduta sui gradini, con la faccia tra le sbarre del corrimano. Arrossisco e mi mordo un labbro, poi lui guarda i suoi genitori e io torno a rilassarmi.
-Quella sgualdrina da noi? E' esattamente quello che vuole!- Dice prontamente Graziella, giocando con la sua collana.
-Sentite, terremo il bambino, che vi piaccia o no- Sentenzia Marco guardandomi di nuovo. -Lavorerò da papà, Emma cercherà un lavoro, continueremo la scuola ovviamente. Quindi qualcosa di part time. Staremo da noi che c'è più spazio, ma penseremo tutto a noi, se vi diamo così fastidio cercheremo anche il modo di trovare un appartamento- Sbotta, non più calmo, ma visibilmente agitato. Mi alzo e lo raggiungo, al suo fianco mi sento in soggezione, soprattutto dopo le sue belle parole.
-Io sono d'accordo con la sua soluzione- Dico, sorridendogli. Lui non ricambia il sorriso, sospira. I nostri genitori continuano a guardarci, nessuno dice più niente.
-Noi potremmo aiutarli- Propone mio padre, tutti si girano a guardarlo piuttosto sconvolti e io gli sorrido di cuore, non avevo dubbi che avrebbe capito. Non avevo dubbi che lui sarebbe rimasto il mio papà. So che anche lui ama già noce come me, come Chiara, come Paolo e a questo punto forse anche come Marco.
-Rosario tu non hai capito- Dice mia madre, guardandolo freddamente. -Io non la voglio più vedere in casa nostra- Lo dice così, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Senza nemmeno guardarmi negli occhi, mia madre mi caccia di casa. Mi poggio a Marco, che colto di sorpresa mi stringe una mano, mi stringe un braccio intorno alla vita, cerca di sorreggermi come può, ma forse non si può. Papà mi si avvicina e lo aiuta, mi sdraiano sul divano, mi dicono di respirare, io faccio come dicono. Mia madre urla di nuovo, se ne va e sbatte la porta della sua camera. Io continuo a guardare mio papà e Marco, che mi chiedono se è tutto okay, se mi sento bene, se è tutto a posto. Io annuisco. Solo che non è tutto okay.

La stella più fragile dell'universo [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora