-E' stata la scelta migliore, davvero, non abbiamo speso nulla ed è bellissima- Commento un'altra volta, accarezzando le coperte bianche della piccola culla che una volta era di Marco. L'abbiamo trovata in soffitta, tra un milione di cianfrusaglie, ancora montata. E' piccola, completamente bianca, ha un enorme fiocco davanti e un adorabile baldacchino di tulle leggero che parte da dietro e si alza di qualche metro, scendendo lungo i fianchi. Ho dovuto lavare tutto dieci volte, perché il bianco si era perso tra la polvere e lo sporco che gli era rimasto appiccicato in diciannove anni, ma alla fine, soprattutto con l'aiuto esperto di Lucia siamo riusciti a farla tornare al suo splendore originario.
-Ricordo quando tuo papà ha portato a casa questa culla- Racconta Graziella, entrando nella cameretta ormai quasi completamente arredata. Abbiamo riciclato un bel po' di mobili, abbiamo speso qualcosa dei nostri soldi, ma relativamente poco e sono davvero fiera di tutto il lavoro che abbiamo fatto. -Eri così piccolo...- Sussurra, avvicinandosi a Marco e ravvivandogli con una mano i capelli riccissimi. Lui ride e si imbarazza un po', anche se cerca di non darlo a vedere.
-Mamma, grazie per aver permesso ad Emma di stare qui- Dice lui, facendosi ad un tratto serio.
-Avete fatto un casino, ma mi sembra che stiate facendo il possibile perché questo casino si riveli solo un'inaspettata e meravigliosa sorpresa- Spiega lei, guardandosi attorno. -Emma, come sta andando a scuola?- Mi chiede poi, continuando ad osservare i mobili bianchi e rosa, i dettagli che abbiamo messo da tutte le parti. Io deglutisco e guardo Marco, fondamentalmente perché nell'ultimo periodo lui è diventato la mia più grande sicurezza e cerco sempre le risposte in lui.
-Ha un po' di difficoltà- Risponde per me. Una volta mi sarei infuriata se qualcuno avesse osato rispondere per me, ma amo quando è lui a farlo. -I professori non capiscono niente- Mi difende, un po' sconsolato. Mi si avvicina e poggia una mano sulla mia, che era ancora intenta ad accarezzare quella culla così bella e soffice.
-Sì, me ne ha parlato tuo papà- Confessa lei, guardandoci. -Ho parlato con Elena e lei sarebbe davvero felice di darti una mano- Propone con un sorriso estremamente dolce, che ripensando a quando ci siamo conosciute mi fa quasi scoppiare a piangere per la commozione. Mai avrei pensato che si sarebbe potuta affezionare tanto a me. Sì, certo, è ancora fredda molte volte e mangio ancora quasi sempre in cucina con i domestici e non a tavola con loro, ma non importa. Pagherei perché mia madre si interessasse anche solo la metà di quanto si interessa Graziella.
-Non posso pagarla- Mi affretto a dire, ringraziando però dell'idea. Lei torna a guardare le pareti della cameretta, quasi a cercare un'idea in quel rosa pesca steso un po' male in alcuni punti, ma semplicemente steso con tutto l'amore possibile. Tutto l'amore che io e Marco proviamo per noce.
-Sarà un nostro regalo!- Esclama avvicinandosi a me, mi prende le mani, scansando Marco e guardandomi negli occhi. -Ne stai passando tante, Emma. A me e Marcello non costa nulla alzare un po' lo stipendio di Elena. Sappiamo che non miri ai nostri soldi, prendilo come regalo di compleanno in anticipo-
-Ma il mio compleanno è tra un mese e mezzo!- Ribatto un po' sconvolta, non sapendo bene in realtà come reagire alle sue parole.
-Emma sei una ragazza fantastica e non meriti di essere abbandonata- Bisbiglia, un po' in difficoltà, forse imbarazzata da questa situazione che per la prima volta capisco essere troppo grande non solo per me e Marco, ma anche per i nostri genitori e tutti quelli che ci stanno accanto. Forse perfino per mia mamma, e semplicemente lei è stata la più debole, l'unica che si è lasciata schiacciare da questa cosa. Ringrazio la mamma di Marco, che se ne va cercando suo marito, probabilmente informandolo di questa novità e Marco mi sorride, riavvicinandosi.
-Sei felice?- Mi chiede, poco prima di baciarmi la fronte. Mi stringe le mani e gli sorrido anche io.
-Non lo credevo possibile, ma sì...- Rispondo piuttosto sicura, alzandomi sulle punte dei piedi per stampargli un bacio sulle labbra. Lui mi stringe, poi si stacca bruscamente dal bacio guardandomi la pancia.
-Nostra figlia mi tiene troppo lontano dal tuo corpo- Commenta, facendomi scoppiare a ridere.
-Pensa che crescerà ancora di più- Gli ricordo, poggiando le mani sulla mia pancia, pensando per un attimo a quanto ancora deve crescere.
-Diventerai come una mongolfiera- Dice lui piuttosto serio, quasi soddisfatto della similitudine che ha trovato. Io gli tiro qualche pugno sulle braccia e lui mi guarda un po' confuso.
-Non è carino che tu mi dia della mongolfiera- Gli faccio notare, rendendo la mia voce un po' più stridula, come quella di una bimba. Lui sgrana gli occhi e scoppia a ridere.
-Ti prego parla così per sempre- Dice ridendo e prendendomi una mano.Stringo due sacchettini con dentro due tutine bellissime. Forse sto esagerando, ma ogni volta che esco con Chiara non resistiamo alla tentazione e compriamo sempre qualcosa per noce, e se all'inizio ero un po' scettica ora ci ho preso la mano e mi fa impazzire. Lei si è fermata al centro commerciale con Simone, credo che volessero andare al cinema o qualcosa del genere e quindi io sono tornata con i mezzi, anche se questo Chiara non lo sa. Le ho detto che avrei chiamato Marco e in effetti l'ho fatto, ma stava lavorando da suo papà e quindi non poteva venirmi a prendere, e non volevo assolutamente pesare su Chiara e Simone, così ho preso l'autobus. Che poi posso prenderlo, insomma, sto bene, aspetto solo una bambina e posso resistere alle occhiatacce delle persone che capiscono che sono piccola. Ormai resisto piuttosto bene. Prima della casa di Marco, che non penso riuscirò mai a definire come "mia", c'è una casa un po' più piccola, con un giardino forse ancora più bello e curato di quello di Graziella. E' la casa di Miriam. Marco me l'ha fatta vedere dalla finestra, quando esce, quando sta in giardino con Rebecca, o quando rimane sul portico di casa a leggere. Mi ha detto che ha sempre avuto la tentazione di scendere e parlarle, ma che non ha mai avuto il coraggio, a parte qualche volta in cui è sceso, è arrivato davanti al vialetto e poi si è semplicemente bloccato, scordando all'improvviso anche il suo nome. Mi sembra sempre così piccolo, così fragile, che non capisco come Rebecca e Miriam non l'abbiano mai più cercato. Continuo a camminare, ma poi mi fermo, davanti al vialetto. Miriam è sul porticato, legge un libro, ha i capelli raccolti in una treccia, e si stringe in una coperta, che copre gran parte della sedia a rotelle su cui è seduta. Non lo so perché, ma mi avvicino al cancello, l'osservo un po' più da vicino.
-Miriam- La chiamo, scuotendo una mano nell'aria. Lei alza la testa dal libro e mi guarda inclinando un po' la testa. Mi osserva strizzando un po' gli occhi e io mi sento all'improvviso una scema, una scema che sta per combinare un caos di proporzioni epiche.
-Sono Emma- Mi presento, cercando una giustificazione per averla chiamata. -Sono un'amica di Marco- Aggiungo, poi faccio una smorfia strana. Un'amica di Marco? Ma che mi salta in mente, aspetto sua figlia, stiamo insieme. Non siamo mai stati amici, siamo sempre stati altro. Miriam chiude il libro sulle gambe e scende da una piccola discesa posta accanto ai gradini, si avvicina ad un interruttore che apre il cancello davanti a me. Apro, non sapendo esattamente quale sia il mio obiettivo e senza sapere come lei si sia fidata di me, tanto da aprirmi.
-Scusami se ti ho disturbata- Balbetto, osservando la copia de "il buio oltre la siepe", chiuso sopra le sue gambe.
-Oh, non importa, l'ho già letto un milione di volte- Mi dice, facendomi un sorriso. Mi siedo su una piccola panchina al lato del vialetto e lei rimane lì accanto, aspettando che dica qualcosa.
-Bella casa- Dico solo, pentendomene un minuto dopo. Che cosa vuol dire, bella casa? Soprattutto se siamo rimaste in giardino? E soprattutto cosa frega ad una diciassette dei complimenti alla propria casa? -Perché mi hai aperto?- Chiedo, dopo che lei mi ringrazia del complimento, anche lei un po' stranita.
-Ti vedo sempre che mi spii dalla finestra con Marco- Risponde, indicandomi la finestra della mia camera. -E poi in casa mia lo sanno tutti- Aggiunge. -Intendo che aspetti la figlia di Marco- Spiega, guardandomi la pancia.
-Non avevo pensato che lo sapessi- Dico, poggiando sul prato i due sacchettini che iniziavano a farmi male alla mano.
-Mia mamma non voleva che lo sapessi, poi Rebecca era distrutta e anche se ha cercato di non dirmi nulla alla fine ha ceduto- Mi spiega, sistemandosi meglio la coperta addosso, forse un po' infreddolita. -Poi sei arrivata a vivere qui accanto...Insomma bastava fare due più due- Conclude, guardandosi la punta dei piedi. -Come mai sei venuta qui?- Mi chiede in un bisbiglio.
-Non lo so io...- Balbetto cercando una scusa che risulti credibile. I miei balbettii confusi vengono interrotti dalla porta di casa che si apre. Rebecca rimane sulla soglia, guardandomi, rimane impietrita per un po', come anche io, all'improvviso spaventata dalla sua possibile reazione.
-Che cazzo ci fai tu qui- Urla e ha tutta l'aria di non essere una domanda, anzi, sembra solo un'affermazione a sottolineare che io qui non ho motivi per starci. Mi alzo in piedi e Miriam sbuffa rumorosamente.
-Reb, non sta facendo niente di male- Mi difende stranamente lei, in un sussurro sbiascicato, come a non volersi realmente far sentire.
-Tu non ti devi avvicinare a lei!- Grida indicando la sua migliore amica, che sbuffa di nuovo, poi viene vicino a noi, mi guarda negli occhi e mi punta un dito contro il petto. -Cosa pensi Emma, eh?- Ora è seria, mi continua a fissare e preme il suo dito tra le mie clavicole. -Di venire qui e far riappacificare tutti?- Chiede, scoppiando poi a ridere da sola. -Il fatto che tu sia rimasta incinta di Marco fa di te soltanto una puttana, non una santa e non credere che questa bambina sistemerà le cose!-
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La stella più fragile dell'universo [IN REVISIONE]
FanfictionEmma ha diciotto anni, una vita piuttosto normale, un migliore amico iperprotettivo e una strana relazione con Marco, il più bello della classe.