"Lui vive in te, lui ride in te o sta provandoci, è in te, si scalda in te, dorme o chissà lui sta già ascoltandoci"
(In te, Nek)
Mi siedo su un divanetto del bar, mi è sempre piaciuto questo posto. Ci venivamo tutti insieme il sabato pomeriggio a fare merenda quando ero piccola: d'estate prendevo il gelato all'ace, e mi sembrava speciale perché non l'avevo mai visto da nessun'altra parte il gusto ace; d'inverno prendevo la cioccolata calda. Le proprietarie mi conoscono da tutta la vita, anche se abbiamo smesso di venire tutti i sabati. Io sono cresciuta e non mi andava più, Checco ha iniziato ad avere le partite di calcio il sabato e abbiamo perso la nostra tradizione. Nonostante questo, ho continuato a venirci e per me e mio fratello è sempre stato il nostro posto. Ordino una cioccolata calda per me, niente per Checco, lui ha i gusti difficili, non gli piacciono molte cose e non mi va di decidere per lui. Mentre parlo con la cameriera lo vedo entrare dalla tendina anni '80 del bar e mi saluta, con lo skate sotto il braccio, saluta qualcuno che non riesco a vedere fuori dalla porta ed entra, si siede di fronte a me, leva il giubbotto, il cappello. Flora, una delle proprietarie gli urla scherzosamente di non poggiare lo skate sul divanetto perché gli taglia le gambe. Lui le fa la linguaccia e lo poggia a terra. Quando lo guardo penso sempre che io non ero così grande alla sua età. Né fisicamente né mentalmente e non ho mai capito perché lui sia sempre cresciuto più in fretta di me.
-Mi hai preso qualcosa?- Domanda guardando i messaggi sul cellulare.
-No, non sapevo che prenderti- Mi giustifico, cercando di spiare un po' quello che scrive sul cellulare. Lui sbuffa e chiama la cameriera prendendosi un cornetto vuoto e un bicchiere di succo. Ovviamente, dopo avermi ricordato che lui non ha soldi e devo pagare io.
-Dove sei stata a dormire?- Chiede incuriosito, blocca il telefono e lo poggia sul tavolino. Deglutisco, cercando di rimanere calma. -Mamma e papà erano stranissimi, hanno litigato tutta la sera, non ci ho capito niente- Spiega con una smorfia strana. Abbasso lo sguardo, non mi va che lui subisca i litigi dei nostri genitori scatenati dalle mie scelte.
-Eh Checco, devo dirti una cosa importante-
La cameriera ci porta quello che abbiamo ordinato, la ringraziamo e lui mi guarda in attesa che io dica qualcosa. -Bé...Non starò più a casa nostra- Cerco di spiegare, mordendomi un labbro.
-Che vuol dire?- Chiede lui mentre addenta il cornetto che si sbriciola sporcando tutto il tavolo.
-Checco aspetto un bambino...- Glielo dico guardandolo negli occhi, forse per la prima volta lo ammetto senza abbassare lo sguardo, senza vergognarmi. Lui strabuzza gli occhi e si batte un pugno sul petto per deglutire il pezzo di cornetto che gli ha bloccato la gola.
-Cioè divento zio?- Domanda, non curante di tutti i problemi. Annuisco sorridendogli, lui gioisce e inizia ad urlare che è una cosa bellissima. Poi si blocca e mi guarda confuso. -E perché non stai più a casa?-
-E' davvero una cosa complicata...Diciamo che sono a casa del papà di tuo nipote- Spiego, semplificando il più possibile. Non mi va che anche lui se la prenda con mia mamma, non voglio complicare ancora di più le cose, voglio che sia felice di noce pienamente, che non veda mio figlio come un ostacolo, almeno lui che ha solo dodici anni.
-Io avrò diciotto anni e lui...- Si ferma -Aspetta è maschio o femmina?-
-Ancora non lo so, lo chiamiamo tutti noce per ora-
-Allora, io avrò diciotto anni e noce ne avrà sei- Dice, contando con le dita impiastrate dello zucchero del cornetto. -Sarò uno zio fighissimo- Conclude con un sorriso enorme.
-Non ti mancherò a casa?- Gli chiedo rubando un pezzettino del suo cornetto.
-Sei pazza, mi prendo la tua camera che è più grande- Risponde ridendo. -Scherzo, mi mancherai-La mia camera a casa di Marco è meglio di come mi aspettassi, è grandissima e ha una finestra enorme da cui c'è una vista pazzesca sul giardino curatissimo, non è molto distante da quella di Marco, che ieri sera è venuto a chiedermi se fosse tutto okay un milione di volte. Ho riso per la sua improvvisa preoccupazione e lui mi ha detto che non sa che cosa fare. Si è seduto sul letto accanto a me e si è confidato con me per la prima volta da quando ci conosciamo, mi ha detto che è strano, che non pensava che la sua vita potesse prendere questa piega. Gli ho detto che non lo pensavo neanche io, poi ha iniziato a parlare del laboratorio che ha già contattato per fare il test del DNA e ho smesso di ascoltarlo, io so già cosa dirà quel test. Istintivamente le mie mani si poggiano sulla mia pancia, seduta sul bordo di questo letto immenso.
-Noce, il tuo papà è un po' stupido...- Bisbiglio, come se qualcuno potesse sentirmi e sconvolgersi. -Non prendertela però, ha solo paura- Spiego, sospirando. -Abbiamo tutti paura- Sottolineo lasciandomi cadere sul letto. -Senti ma tu che ne pensi del tuo papà?- Chiedo osservando il soffitto di legno di questa stanza che continuo a sentire un po' ostile. E' come quando vai in albergo e entri nella tua stanza e ci vuole un po' ad abituarsi. In vacanza è più facile però: sai che tornerai a casa ad un certo punto. -Io non lo so come convincerlo che è il tuo papà, vorrei che mi credesse Noce, vorrei che mi credesse per davvero- Sbuffo e continuo a parlare essenzialmente da sola, prendendo il mio computer che era ancora dentro una valigia. Lo apro e faccio una ricerca veloce "test di paternità prima della nascita". Una marea di siti mi si aprono davanti e scopro che è una cazzata, che ci vuole davvero poco a fargli vedere che non sparo cazzate, che sta facendo bene a prendersi cura di noce. -Noce!- Urlo con un sorriso soddisfatto -Solo duecento euro e mi crederà...- Sussurro storcendo un po' il naso per il prezzo eccessivo. -Ti pare Noce? Lo sai che fanno? Mi prendono un po' di sangue, un po' del suo e guardano. C'è scritto che il tuo sangue ora è dentro di me- Continuo, tenendo gli occhi incollati allo schermo. -Tutti volevano buttarti via e non hanno capito che tu sei nel mio sangue, che non possono portarti via da me- La porta si apre piano e io mi volto un po' imbarazzata. Marco si passa una mano tra i capelli e deglutisce come se fosse capitato nella mia stanza per caso, ma io non ci credo molto al caso. Mi metto seduta bene sul letto e lo guardo in attesa che dica qualcosa.
-Scusami volevo solo- Arranca e si guarda intorno -Scusami- Ripete -Non volevo ascoltare-
Alzo le spalle, cercando di nascondere il mio imbarazzo al meglio.
-Tanto te l'avrei detto a cena- Spiego, anche se in realtà mi dà molto fastidio che lui mi abbia sentito parlare con Noce.
-Perché lo chiami Noce?- Mi chiede un po' stranito. Io sorrido e guardo per terra, il tappeto morbido che copre il parquet della camera.
-Non lo so, la ginecologa aveva detto "è grande come una noce" e io ho iniziato a chiamarlo così, anche se ora è cresciuto...Non so se tu lo noti, ma in questi ultimi giorni la mia pancia è lievitata- Commento ridendo. -Per la sedicesima settimana dovrebbe essere grande come un avocado- Spiego, prendendo il cellulare. Gli mostro l'app che ho installato che fa vedere le dimensioni di Noce, spiega che cosa si sta formando in questa settimana e dà dei consigli su come gestire la gravidanza.
-Sei alla quindicesima settimana- Dice, leggendo lo schermo, poi ride -E' grande come una mela- Continua, e ride guardandomi.
-Che vuoi?- Chiedo un po' infastidita, ma ridendo anche io per la sua espressione buffa e scomposta mentre ride.
-Ti ho ficcato una mela nella pancia- Scoppio a ridere, picchiandolo scherzosamente su un braccio. -Che poi la mela non basta, diventerà una cosa stratosferica!- Esclama, scorrendo le immagini dell'app che terminano con un'anguria.
-Sarò gigantesca- Commento un po' dispiaciuta. Lui mi guarda, sospira.
-Emma lo so che hai paura- Cerca di rassicurarmi, passando una mano tra i capelli. -Ho duecento euro- Dice poi, e io stringo gli occhi per cercare di capire cosa vuole dirmi. -Ho paura anche io, io vorrei fidarmi di te ma non sono sicuro di poterlo fare, non abbiamo avuto niente io e te, lo sai che era solo sesso- Spiega, smettendo di guardarmi. Io abbasso lo sguardo, non era solo sesso, non lo è mai stato. -Ho bisogno di esserne certo al cento per cento. Io ho duecento euro, facciamo questa cosa- Torna a guardarmi e i suoi occhi verdi mi pregano di dargli retta, di cedere e io annuisco, dicendogli che è giusto così.
-Marco!- Urla una vocina dal corridoio.
-Che vuoi?- Urla lui dalla mia camera, per far capire dov'è. Una bimba riccissima e con gli occhi forse più verdi di Marco entra silenziosamente in camera, guardandomi con sospetto.
-Ciao- Dice guardandomi. Ricambio il saluto e le sorrido, lei si avvicina a Marco e gli chiede se può chiedergli una cosa all'orecchio.
-Sara dai, Emma non ti mangia!- Esclama lui, accarezzandole i capelli. Credo che Marco sia ossessionato dai capelli, ma pensavo solo dai suoi, invece in questi due giorni che sono stata da lui ho visto che tocca sempre i capelli delle sue due sorelline. Sara e Sofia hanno sette anni, sono identiche e faccio un po' fatica a riconoscerle, Lucia dice che è solo questione di tempo e le distinguerò perfettamente. Sara è un po' più timida, mentre Sofia è più espansiva, ad esempio.
-Mamma e papà non ci sono stasera- Dice lei, dondolando su se stessa un po' imbarazzata di parlare davanti ad un'estranea. -Elena ha chiesto se mangiamo tutti insieme in cucina, non in sala da pranzo- Marco si illumina. Le bacia la fronte e si alza in piedi, prendendola in braccio. Io li guardo, non capendo realmente: la sala da pranzo a casa mia è dentro alla cucina. Non c'è differenza tra le due stanze.
-Certo piccola- Le dice. -Mangiamo tutti insieme- Le scompiglia i capelli e lei sorride, mostrando lo spazio vuoto di un dentino caduto.
-Anche Alfonso!- Esclama lei ridacchiando, non pensando più a me.
-Anche Emma- Aggiunge lui guardandomi.
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La stella più fragile dell'universo [IN REVISIONE]
FanficEmma ha diciotto anni, una vita piuttosto normale, un migliore amico iperprotettivo e una strana relazione con Marco, il più bello della classe.