Capitolo sei

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Istintivamente mi tocco la pancia con le mani, mentre le lacrime iniziano a scivolarmi lungo le guance. Fino a poco fa era un possibilità, ora è una realtà. Chiara mi stringe il più forte possibile, cercando con i palmi delle mani di asciugarmi le guance, ma non ci riesce, scoppiando anche lei a piangere.
-Ho solo diciotto anni- Sussurro, tra i singhiozzi. Chiara prende un respiro profondo, poggia le mani sulle mie spalle. -So a malapena vivere io, come posso insegnarlo ad un'altra persona?-
-Amore, non sei da sola- Dice, sforzando un sorriso, che però è sincero.
-Sì! Hai ragione, non sono da sola, ho il cazzo di bambino di quel coglione nella pancia!- Urlo, sedendomi a terra, con la schiena poggiata al letto e le mani ancora ferme sulla pancia, sperando di percepire qualcosa di diverso, di sentire che dentro di me c'è un'altra vita, un'altra persona, un figlio che conterà su di me.
-Intendevo dire che hai me- Spiega Chiara, sedendosi accanto a me. Chiudo gli occhi, sfogando le ultime lacrime che poi asciugo con la manica della felpa. -Dovresti andare da un medico- Suggerisce, prendendomi una mano.
-Dovrei fare un milione di cose e l'unica che voglio fare per ora è rimanere qui seduta per terra. A guardare il muro-
-Non puoi- Mi richiama, scuotendomi per un braccio. -Non puoi più. Se lo vuoi tenere, devi pensare prima a lui, quindi devi pensare alla tua salute, devi controllare di essere realmente incinta, perché quei cosi a volte sbagliano...Anche se due su due, mi sembra un po' impossibile che siano entrambi sbagliati. Devi prendere le vitamine e stare a riposo, e non puoi urlare come hai appena fatto- Spiega, poi mi bacia una guancia, io mi alzo in piedi e lei mi segue.
-Potrei abortire- Le dico all'improvviso, fissando un punto imprecisato della mia camera. -O darlo via- Realizzo, guardandomi la pancia coperta dalle mani. -Darlo a qualcuno di migliore di me e Marco-
-Non sono certa che tu stia considerando come ci starai. Riusciresti a convivere con una di queste scelte?- Mi domanda, deglutendo un po' spaventata.
-Io non lo so, okay?- Sbotto, massaggiandomi le tempie con le mani. Rimaniamo in silenzio per un tempo che sempre infinito, io in piedi a massaggiarmi le tempie, lei all'inizio in piedi, poi si siede sul mio letto.
-Vorresti un maschio o una femmina?- Mi chiede all'improvviso, ottenendo solo una mia smorfia non proprio felice. -Pensa per un momento che sia fattibile, avere un bambino a diciotto anni, che i tuoi accetteranno tutto, che perfino Marco accetterà la cosa e magari ti aiuterà anche, elimina per qualche minuto tutti i lati negativi- Spiega, rialzandosi in piedi ed avvicinandosi a me. -Maschio o femmina?- Chiede di nuovo, sospirando.
-Maschio- Le rispondo, cercando di immaginarmi il suo viso, i suoi capelli, il suo naso, il colore dei suoi occhi.
-No dai, io voglio una nipotina-
-Stai scherzando!? Io con qualsiasi femmina ci litigo davvero troppo! Tu sei l'unica donna che posso includere nella mia vita- Le spiego, ridendo per la mia teoria un po' strampalata.

Chiara è andata via da due ore. Io sono stesa sul letto a fissare il soffitto di legno della mia camera, con le mani ancora bloccate sulla pancia e credo di non averle mai staccate. Il mio cellulare continua a suonare tra le coperte e io lo lascio fare. E' sicuramente Paolo, che mi chiede se ho fatto la versione che c'è per domani, o magari è pure Marco, magari è lui che all'improvviso ha deciso di scrivermi di nuovo e lui non lo sa, lui non sa niente, nessuno sa nulla. Siamo solo io e le mie mani sulla pancia, e Chiara che è andata via due ore fa e il dizionario di greco poggiato per terra. Mio fratello bussa alla porta. Lo riconosco perché bussa sempre due volte, poi si ferma e bussa un'altra, in una specie di melodia imperfetta. Non rispondo e bussa più forte, alla fine, senza risposta, spalanca la porta e il profumo del suo gel per capelli mi arriva con un pizzico terribile alle narici. -Emma è pronta la cena- Mi comunica, avvicinandosi. -Tutto okay?- Chiede, non avendo ancora nessuna risposta.
-Sì- Sussurro -Adesso arrivo, un minuto che devo fare una telefonata-
Checco annuisce, se ne va e richiude la porta. Tra le coperte ritrovo a fatica il mio cellulare e cerco subito nella rubrica il numero della mia dottoressa, la chiamo e schiaccio il telefono contro l'orecchio.
-Buongiorno, studio della dottoressa Lampreda-
-Buongiorno Carla, sono Emmanuela Marrone-
-Ciao Emma! Tutto bene? Come mai chiami? Non sarà mica successo qualcosa! Ho visto tua mamma stamattina davanti alla scuola media che accompagnava Checco e non mi ha detto nulla- Carla continua a parlare, con la velocità di una mitragliatrice e io cerco di bloccarla appena ne ho la possibilità.
-Ho solo bisogno di fare una visita di controllo- Le spiego, cercando di essere il più cortese possibile. -Il prima possibile- Sottolineo, un po' più agitata.
-Va bene venerdì pomeriggio tardi alle sei? Solo perché ha disdetto una signora che non ce la fa, se no tutti gli altri appuntamenti liberi sono tra una settimana- Mi dice, pensierosa. -Se è tanto urgente puoi venire domani mattina in ambulatorio, non è su appuntamento e dovrai stare in fila per un po'-
-Va benissimo domani mattina in ambulatorio-
Mi lascia l'indirizzo, mi saluta, metto il cellulare in tasca e poi finalmente scendo a cenare. Casa mia è abbastanza grande: al piano terra abbiamo la sala, la cucina, un bagno, la lavanderia e la camera dei miei genitori. Su di sopra, invece, c'è un bagno, camera mia e quella di Checco, più un piccolo ripostiglio scavato nel muro. Non è molto grande, ma in quattro ci siamo sempre entrati alla perfezione. Tolgo le mani dalla pancia ed entro in cucina. Forse è meglio che lui o lei che sia rimanga nella mia pancia, ché in questo mondo mi sa che non c'è spazio per una persona in più, ma io posso tenerlo nella pancia e proteggerlo finché non ci sarà abbastanza spazio, finché non ci sarà un mondo tutto suo. Entro in cucina e tutti già mangiano: mamma, papà e Checco e una testa che non riconosco. Cerco di metterla più a fuoco mentre mi siedo accanto a quella testa che non conosco.
-Ah finalmente ci degni della tua presenza!- Esclama mamma, piuttosto inacidita. Mio papà si mette a ridere e mi dice di lasciarla perdere, che fa sempre la pesante, ma che alla fine alla mia età era peggio di me. Io rido, inizio a mangiare la pasta.
-Lei è Martina- Mi spiega Checco, indicandomi la ragazzina castana seduta accanto a me.
-Ciao, piacere, Emma- Dico stringendole la mano e lei si imbarazza un po'.
-E' venuta per una ricerca di storia e papà l'ha invitata a cena- Mi spiega mamma un po' seccata. Mio papà non è poi così estroverso, gli piace avere compagnia solo a tavola, soprattutto a cena, mentre mamma preferisce sempre solo noi quattro. Noi quattro, o forse noi cinque. Mi sfioro la pancia con una mano e sorrido, seppure poco.
-Che lavoro di storia avete fatto?- Chiedo, poi, togliendo la mano dalla pancia.
-Un cartellone schifosissimo!- Urla mio fratello, alzando gli occhi al cielo. -Davvero una palla, diglielo Marti-
-Non era poi così male- Sussurra, sempre più rossa in viso Martina, che cerca invano di addentare più pasta possibile come scusa per non parlare più.
-Ma non lo vedi che la metti in imbarazzo?- Domando a mio fratello, disperata. -Per favore eh Checco! Le buone maniere- Lo rimprovero, scoppiando a ridere per la sua faccia. Martina ride insieme a me e lui si finge offeso. Mentre rido, mi fermo a guardare Checco, con la sua smorfia buffa e penso che il bambino che ho nella pancia lo chiamerà zio, zio già da così piccolo e mia mamma nonna e mio papà nonno. E io mamma. Continuo a mangiare, quando il mio telefono inizia a vibrare incessantemente nella tasca lo prendo e leggo l'ultimo messaggio che è di Paolo.
"Dobbiamo parlare".

La stella più fragile dell'universo [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora